CHAPTER 5
- Allora, prendiamo due porzioni di alette di pollo e patatine - disse Jesse guardando il commesso che digitava sul monitor della reception del Crab's.
- Le alette le preferisce piccanti? - disse il ragazzo dietro al bancone.
Jesse mi guardò.
- Piccanti?
- Piccanti. - gli risposi.
Jesse ritornò a guardare il ragazzo.
- Piccanti.
- Le portate via?
- Si.
- Due minuti e arrivano.
13:23
Una cosa che odio del Crab's (direi l'unica) è che al banco dicono "due minuti" ma in realtà sono mediamente sei. Voglio dire, dite la verità, no? Che vi costa dire sei minuti invece che due?
Se tu dici "due minuti" una persona si potrebbe organizzare per uscire esattamente due minuti dopo aver ordinato per andare a prendere un aereo da Heathrow per arrivare al Los Angeles International Airport, ma visto che i minuti son sei e non due, questa persona sarebbe salita sull'aereo con quattro minuti di ritardo, rischiando di perdere il viaggio.
13:28
Cinque minuti. Ci hanno messo cinque minuti.
Jesse prese le buste marroni e unte che il ragazzo (che a quanto pare si chiamava Adam, visto che si è accorto che il colletto della Polo gli copriva la targhetta spillata sul petto con su scritto il suo nome, e l'ha spostata) aveva appena appoggiato sul bancone.
- Bon apetit.
Perché la gente parla francese quando non è in Francia, ma quando è in Francia parla in inglese perché si rende conto che in realtà non sa il francese, ma solo le cose basilari come "Bonjour madame" oppure "Ca va?" oppure "bon apetit" che non servono assolutamente niente quando vai in Francia?
Conclusi che Adam non mi piaceva.
- Quindi dove andiamo a mangiare, visto che non ci sediamo nel Crab's? - devo ammettere che ero un po' combattuta.
- Aspetta e vedrai.
Che palle, le sorprese. Cioè, mi piacciono, ma mi mettono ansia e mi fanno venir voglia di lavarmi le mani.
Entrammo in una via chiusa e Jesse iniziò ad incurvare la schiena e a fare passi più lunghi e leggeri, fino ad arrivare ad una siepe alta e spessa, messa su un lato di un cancello bordeaux per far passare le macchine dei condomini.
- Mo! Qui, vieni qui! - bisbigliò.
Mi resi conto di essere rimasta ferma a vedere cosa Jesse aveva intenzione di fare.
- Oh! - in un attimo mi misi come lui, con le spalle contro quella siepe sperando che non ci fossero api.
- Sei pronta?
- Pronta? Cosa dobbiamo fare, Jesse?
- Scavalcare quel cancello è la parte più difficile, ma poi sarà un percorso liscio liscio.
- Che cosa?!
- Dai, Mo. Prometto che ne vale la pena.
- Ma come faccio con il Signor Tumnus?
- Lo butti di là prima di salire.
- Che cosa?!
- Scavalco prima io, così lo prendo al volo.
- Che cosa?!
- Smettila di dire "Che cosa".
- Scusa. Ma il Signor Tumnus pesa e si farà male lui e anche te.
- Non pesa tanto, Mo. Dai ce la puoi fare. - Lui iniziò a correre verso il cancello e io mi impancai. Guardai il Signor Tumnus e credetti che magari era l'ora di accenderlo e ficcarmi i tubicini nel naso, ma era troppo tardi.
Jesse si aggrappò alle sbarre verticali del cancello, e mise i piedi sulle tre sbarre orizzontali. Ad ogni passo si alzava sempre di più, fino a che pensai che poteva cadere rovinosamente, ma lui allungò la gamba destra e la mise dall'altro lato del cancello. Riprese l'equilibrio, e poi gettò di là anche l'altra gamba e scese, passo dopo passo, fino ad arrivare cont tutti e due i piedi sull'ultima sbarra orizzontale, poi balzò e si ritrovò di nuovo coi piedi per terra, pulendosi le mani facendo sbatterle tra di loro.
- Cazzo. - Imprecai. - Okay, facciamolo.
- Lancia, Mo!
Presi con due mani il Signor Tumnus.
- Scusami. - Gli sussurrai.
Lo iniziai a far ondeggiare, finché la spinta poteva riuscire a spazzarlo dall'altro lato e così fece, e Jesse lo riprese.
- Grande, Mo! Non pensavo avessi tanta forza in quelle braccine molli. - disse ridendo.
- E io che faccio?
- Ti ricordi come ho fatto io?
- Si.
- Allora fallo.
Allungai il piede destro e lo misi sulla prima sbarra orizzontale. Attaccai le mani su quelle verticali e spinsi, tirandomi su. Misi anche il piede sinistro sulla seconda orizzontale e andai sempre più in alto, fino a scavalcare il cancello e scendere dall'altra parte. All'ultima orizzontale (pensando di giocare alle parole crociate) misi tutti e due i piedi, sentendo le mani di Jesse sulla mia schiena, per aiutarmi a fare l'ultimo salto.
Di nuovo, tutti e due i miei piedi erano saldi a terra, e Jesse levò le mani.
- Fatto! Ora per di qua.
Prese la mia mano e iniziò a correre con sotto l'ascella a mo' di baguette il Signor Tumnus. Quasi quasi inciampavo, da quanto mi tirava. Ma era una bella sensazione. Tutto era più bello quando c'era anche Jesse.
Si fermò su una vetrata, nella quale c'era un ascensore. Ci appoggiò le spalle, incrociò le braccia e le gambe e iniziò a fischiettare, guardando il muro sulla sua sinistra.
Una signora, da dentro la vetrata, aprì la porta dell'ascensore e se ne uscì tirando fuori un mazzo di chiavi. Ne scelse una automaticamente, guardandosi i piedi, e poi la infilò nella serratura della porta della vetrata, questa fece un rumore meccanico e si aprì. Avanzò senza accorgersi di Jesse, e si indirizzò verso il cancello.
Jesse la guardò andarsene per due secondi e mezzo, e prima che la porta si chiudesse la prese di scatto e la riaprì di nuovo del tutto.
- Andiamo.
Entrammo e aprimmo la porta verde che odorava di metallo dell'ascensore e Jesse mi spinse dentro, per poi seguirmi.
Schiacciò il pulsante col numero più alto che vi era nell'angolo dell'ascensore e questo prese a salire.
Sullo schermo in alto comparivano i numeri in scala, con una tonalità di colore che non avevo mai visto prima, forse perché si era logorato col tempo. Non seppi definire se era blu o verde.
1
2
3
4
Ogni cinque secondi scattava il numero successivo.
5
6
7
8
Le porte scorrevoli si aprirono automaticamente e noi uscimmo. Ci ritrovammo su un pianerottolo giallo chiaro con due porte di legno scuro ai lati più piccoli.
Jesse riprese la mia mano e girammo sulla destra, dove trovammo una porta simile alla vetrata di prima. Jesse l'aprì e ci sfrecciò dentro, e poi su per le scale. Al quindicesimo gradino bianco le scale finivano con un altro pianerottolo, dove sta volta si trovava solamente una porta di metallo rossastra un po' più stretta e un po' più alta.
- Pronta? - disse col fiatone.
- Mh-mh
Diede una spallata alla porta, e si aprì, traballando e emanando un rumore ovattato che echeggiava nel pianerottolo.
Una luce intensa uscì dallo spiraglio aperto, facendomi strizzare gli occhi, finche man mano si abituarono.
- Ta daah! - Disse aprendo il braccio sinistro verso la porta.
Scavalcò il piccolo pezzo di ferro fissato per terra, anche questo rosso, mise il Singor Tumnus accanto a lui e poi chinò la testa e porse la sua mano verso di me, dicendo un - Prego, signorina - che mi fece sorridere. Presi la mano e cercai di fare la finta seria rispondendo con un - Quale onore -
Scavalcai anche io il pezzo di metallo, e la luce che filtrava tra i ricci di Jesse si trasformò in un bellissimo paesaggio, con il sole che calava tra il rosa e l'azzurro del cielo, trasformando le giganti nuvole bianche in giganti nuvole rosse che ricoprivano l'orlo del tetto grigio e piatto su cui ci trovavamo.
La porta si chiuse col vento alle nostre spalle.
- Ti piace?
- È la cosa più bella che abbia mai visto, Jesse.
Sorrise, creando delle fossette ai lati della bocca, che non avevo mai visto.
- Dai, mangiamo.
Ci sedemmo accanto al muro che arrivava al massimo al mio bacino e avvicinai il Singor Tumnus a me.
Aprii il suo zaino e un odore di fritto si espanse fuori.
- Mh, che odorino. - Rise Jesse.
Diedi una delle due buste marroni e unte a lui e l'altra la aprii io, e iniziai ad addentare l'aletta che pareva più piccola, guardando ancora il cielo.
- Oggi sulla seconda falange dell'indice destro, eh?
- Cosa? - distolsi lo sguardo incrociando i suoi occhi azzurri.
- Andiamo, Mo. Che altro potresti avere sull'indice? - disse imitando la mia voce.
- Oh, mh-mh.
- Perché?
- Perché l'ho messo sulla seconda falange del dito indice destro o perché metto i cerotti?
- La seconda. - bofonchiò con la carne nella bocca.
- Non lo so per certo. Ma il Dottor Nolan dice che potrei farlo per proteggermi.
- I cerotti non ti proteggono. Ci sono altre cose che ti possono proteggere.
- Ah, si? E per esempio?
- Le persone, Mo. Come tua madre, o il Dottor Nolan.
- O tu?
- O io. Si, Mo. - lo disse con un tono lieve, facendomi tremare le mani.
- Dammi la mano, Mo - Poi prese il mio indice e sfilò il cerotto.
- Ew, è unto. - rise e risi anche io, accorgendomi che era ora di accendere il Signor Tumnus. Anche Jesse se ne accorse.
- Svegliamo il Signor Tumnus? - disse, pulendosi le mani e finendo di masticare il boccone appena strappato dalla seconda ala che addentava.
Annuii e prese lo zaino, accendendo il Signor Tumnus e districando il tubicini.
- Ecco, ti aiuto. - si avvicinò, e provò a infilare nel mio naso uno dei due apici del tubo.
- Aspetta, aspetta! - risi, aiutandolo con la mia mano destra, priva di cerotto, posandola sulla sua.
- Fatto.
- Grazie.
Addentò un'altro morso dall'ala.
- Secondo te è più come l'aria che non si vede ma c'è, oppure è come gli unicorni che siccome va di moda crederci ci credono tutti, ma in realtà sanno che non ci sono per davvero?
- Di che cosa stai parlando questa volta, Mo?
Morsi la mia seconda ala, finendola.
- Inesistenza.
- Beh, mi piacerebbe che tu fossi un unicorno.
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