CHAPTER 4
Conta, Mo. Conta fino a quando il tuo respiro torna normale.
Ero abbastanza sicura che non era colpa del Signor Tumnus, se respiravo male. Non era ancora ora di svegliarlo.
Uno. Due. Tre. Quattro. Cinque.
L'orologio in centro sulla parete frontale della classe, sembrava ticchettare sempre più veloce, e la lancetta dei secondi si perdeva qualche numero andando avanti nel suo percorso, ma ero abbastanza sicura che era il mio cervello che proiettava solo alcuni fotogrammi di quel momento, cancellandone alcuni.
Sei. Sette. Otto. Nove. Dieci.
Il mio indice sinistro si muoveva senza senso, ma ero abbastanza sicura che erano i miei impulsi nervosi a far andare a ritmo il ticchettio dell'orologio con il tamburellio del mio dito, che picchiettava sul banco bianco.
Undici. Dodici. Tredici. Quattordici. Quindici.
Il Dottor Nolan mi aveva detto che quando non riuscivo a respirare bene dovevo contare, per calmarmi.
Sedici. Diciassette. Diciotto. Diciannove. Venti.
La campanella squillò e la voce della Professoressa Mills si spense. Tutti i banchi si stavano svuotando e i miei compagni stavano uscendo dalla porta blu della classe.
La Professoressa Mills rimase ancora con la penna che le ondeggiava nella mano, seduta.
- Lei non se ne va, Signorina Meller?
Ventuno. Ventidue. Ventitré. Ventiquattro. Venticinque.
Mi accorsi leggermente più tardi che la Professoressa Mills stava parlando.
13:12, diceva l'orologio. Una delle poche cose che mi piacciono della mia scuola sono gli orologi affissi sulle pareti. Non sono digitali.
13:13. Tutti gli studenti erano usciti da tre minuti, e la Professoressa Mills attendeva incauta una mia risposta. La sua penna non ondeggiava più.
Ventisei. Ventisette. Ventotto. Ventinove. Trenta.
Feci per scuotere la testa, in segno di negazione. Poi riflettei: è davvero peggio rimanere con la Professoressa Mills o andare da Jesse?
Per un attimo pensai di rimanere, poi riguardai gli occhiali storti della Professoressa Mills e prima che il mio corpo andasse impulsivamente a sistemarglieli, in una frazione di secondo il mio cervello elaborò un nuovo piano neurale. Presi lo zaino di scuola accanto al banco con la mano destra, e con la sinistra impugnai la maniglia del carrelletto dello zaino del Signor Tumnus, che era sotto la sedia.
Trenta. Trentuno. Trentadue. Trentatré. Trentaquattro. Trentacinque.
Staccai le gambe dalla sedia un po' troppo velocemente, il che mi fece ricadere e sbattere tre anelli della spina dorsale contro l'appoggia schiena di plastica verde.
Trentasei. Trentasette. Trentotto. Trentanove. Quaranta.
La seconda volta che provai ad alzarmi, cercai di spingere indietro la sedia, con la forza dei miei polpacci, per aver più spazio tra le gambe di ferro della sedia e il banco che stava davanti a me.
Gettai il mio zaino di scuola sulle mie spalle, e iniziai a camminare, assieme al Signor Tumnus.
Piede destro, piede sinistro. Piede destro, piede sinistro.
- Ciao, Mo - fece, con la mano, la Professoressa Mills. Ma io non riuscii a dirle niente, per via di quel groppo d'ansia alla gola. La mano destra toccò istintivamente il cerotto sul dito medio della mano sinistra, sulla seconda falange.
Dovevo lavarmi le mani.
Uscii dall'aula con il piede destro. Continuando a camminare mi resi conto di fare 95,5 centimetri ad ogni passo che cadenzavo. 2,5 centimetri in più del normale. Quando mi domandavo il perché di questo fatto, elaboravo immediatamente la risposta: Jesse.
Mi resi conto che nella mia testa c'era una nuvola bianca, tra le tante nel cielo, che formava la parola Jesse. C'era anche la proiezione della professoressa Mills che blaterava e scriveva sulla lavagna bianca col pennarello lavabile nero il nome Jesse tra i numeri e le espressioni algebriche che il mio cervello si ricordava dalla lezione precedente.
C'era anche mamma, che mentre mangiava una Cesar Salad al Crab's mi parlava, pronunciando il nome Jesse.
Vi trovai anche un fiumiciattolo, tra la sabbia, che si incurvava e formava sempre le stesse lettere.
Continua a contare, Mo.
Quarantuno. Quarantatré. Quarantacinque. Jesse.
Okay, Mo. Non contare più.
Mi accorsi di non sentire le ruote del Signor Tumnus roteare accanto a me. Quindi guardai in basso, sulla mia sinistra, e il carello che la mia mano reggeva era fermo, poi spostai lo sguardo qualche centimetro più a destra e notai che il Signor Tumnus non camminava perché i miei piedi non stavano camminando.
Credo di aver borbottato un diamine, prima di ripartire. Ero talmente impegnata a cercare di ricordare cosa c'era dopo il quaranta che mi dimenticai di avanzare.
Piede destro, piede sinistro. Piede destro, piede sinistro. Piede destro, piede sinistro.
Uscii dalla porta principale. Quella l'avevo misurata quando andavo in seconda superiore. Sapevo che il mio piede misurava rispettivamente 21,80166666666667 centimetri, e contai 13 miei piedi per arrivare da un capo all'altro della porta, calcolai che misurava in larghezza 283,42166666666667 centimetri. L'altezza non l'avevo ancora calcolata.
- Oh mio Dio! Caspita, quanto ci hai messo? - disse Jesse avvicinandosi - Ho addirittura avuto il tempo per stilare una lista sulle probabili morti accidentali che ti sarebbero potute capitare.
- Come sei drammatico...
- Senti, erano usciti tutti da almeno dieci minuti.
- Io direi dodici.
- Cosa?
- I minuti. Penso che siano usciti tutti dodici minuti prima che uscissi io.
- Ancora peggio, Mo! Ancora peggio!
- Dimmi la lista.
- Quella delle tue Probabili Morti Accidentali? - in quel momento trapassammo il cancello del giardino della scuola, e girammo sulla destra.
- Si. Prima stavi parlando di quella. Io conosco solo quella tua lista, Jesse. Di quale altra lista avremmo potuto parlare?
- Okay - schiarì la voce, mentre il mio zaino tentennava sulla mia schiena ad ogni passo che facevo.
- Numero uno: Avresti potuto inciampare tra i fili dei tubicini del Signor Tumnus, picchiare la testa contro lo spigolo del banco e ci saresti rimasta secca.
- Il Signor Tumnus non mi avrebbe mai fatto uno sgambetto.
- Si, Mo. Ma... Okay. Numero due: avresti potuto essere stata punta da un'ape e morire di asfissia.
- Come sai della mia allergia delle api?
- Punto numero tre: La Professoressa Mills avrebbe potuto offrirti un bicchiere d'acqua bell'impregnato di cianuro.
- Come fai a sapere che c'era la Professoressa Mills? Come fai a sapere della Professoressa Mills?
- Cielo. Quanti problemi ti fai, Mo?
- Perché il cianuro?
- Come?
- Perché il cianuro? Perché non l'arsenico? Io avrei usato l'arsenico.
- Oh, beh. L'arsenico è più doloroso. Ti avrei sentito urlare da fuori.
- Nei film l'arsenico sembra meno doloroso. Non fanno urlare gli attori nel film, se avvelenati di arsenico.
- Beh, perché loro non sono davvero avvelenati di arsenico.
- Ma dovrebbero far finta di esserlo.
- Comunque... Numero quattro: un killer psicopatico sarebbe potuto entrare di soppiatto e sparare all'impazzata.
- Non credi che avresti potuto sentirlo, da fuori?
- Oh, si. Forse si.
La biblioteca era come me la ricordavo, solo un po' più grande. Probabilmente perché ero piccola, e quando sei più piccolo la percezione di spazio cambia. Ed è una cosa strana perché è impossibile che un edificio si possa rimpicciolire, e anche se tu diventi un po' più grande non puoi di certo superare in altezza un edificio (sarebbe l'unico modo per vederlo davvero più piccolo). Quindi, è davvero strano come gli occhi ti possano ingannare (era per questo che una volta i Padri si facevano accecare, almeno non potevano essere condizionati dalla vista, e riuscivano a prendere decisioni rispetto a quello che sentivano).
Le pareti erano marrone scuro, facevano tanto contrasto col soffitto, che era di un bianco latte. Non aveva granché senso.
Era divisa in quindici settori, nel piano inferiore, e sei in quello superiore (una combinazione di numeri orrenda).
Jesse mi faceva strada, girando da un lato all'atro di ogni scaffale, fino ad arrivare all'ottavo di quello inferiore.
- Credi derivi dal latino o dal greco? - chiede, soffermando il dito indice su due libri, nella quarta mensola a partire dal basso, accarezzando il dorso di ognuno dei due, intento a leggere.
- Forse latino.
- Andata.
Prese il Signor Tumnus prima che potessi farlo io, lo prese di peso e lo mise su una sedia del tavolo rotondo sulla sinistra della biblioteca. Io mi ci sedetti vicino, e Jesse di fronte a me. Aprì il libro, con lo stesso dito col quale prima lo aveva accarezzato. Lo aprì su una pagina che sembrava a caso, poi tornò indietro di qualche decina di pagine.
- Emme, emme, emme... - andava ripetendo, finche l'indice non si fermò su una parola, che io non vidi ma potei immaginare, ed esclamò: -Emme! -
Andò giù, tenendo il segno e sfregando contro la pagina ruvida.
- Avevi ragione, deriva dal latino!
- Cosa dice?
- Dice che significa potere del pensiero, oppure forza psicologica e, ah! - prese il libro con tutte e due le mani. Incurvò un sopracciglio.
- Cosa?
- Questa si che è strana.
- Che cosa? - spinsi la testa in avanti, per cercare di vedere che c'era scritto di così interessante.
- Può significare anche inesistenza.
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