Non sei male tutta bagnata, opossum

«Mamma, io vado!» grido oramai dalla porta di casa, con in bocca una manciata di mandorle. Le butto giù ingurgitando un succo di frutta all'arancia rossa e scendo di corsa le scale che portano al portone principale: mio padre mi aspetta già con la macchina in moto.

«Ci sarà mai una volta in cui arriverai a scuola puntuale?» mi domanda esasperato, passando la grande mano tra i capelli rossi come i miei.

«Non quest'anno papà, non quest'anno.»

I suoi grandi occhi azzurri si posano su me e, con aria rassegnata, si limita a fare un cenno di dissenso con la testa.

Mi siedo, mi sistemo la maglia corta bianca, sollevo il bacino per tirare su i pantaloni a vita alta e mi metto la cintura di sicurezza. In pochi minuti siamo già nel caotico traffico della città e vedo mio padre che, a differenza degli altri automobilisti, è calmo: lui è qualcosa di inumano, non si arrabbia mai, non impreca mai, è un portatore di pace, è il nuovo Gandhi.

Il telefono s'illumina e sullo schermo del Samsung S8+ scorgo il nome di Claudia, la mia migliore amica.

-Sei di nuovo in ritardo?- scrive lei. Sblocco il telefono e, in un lampo, le rispondo:

-Sono quattro anni che me lo chiedi ogni mattina.-

-E sono quattro anni che ti aspetto con un cornetto alla marmellata davanti a scuola. Muoviti o me lo mangio io!- risponde lei. Blocco nuovamente il telefono e sorrido: Claudia è quell'amica che ho sempre desiderato, quell'amica di cui ho sempre letto, quell'amica che ho sempre visto nelle serie tv e film preferiti.

Ci siamo conosciute il primo giorno del primo superiore e, da allora, non ci siamo mai separate. È stata la prima persona con cui ho legato davvero, con cui non ho messo il mio solito scudo, la prima a cui ho confidato segreti, incertezze e paure. La prima e unica che sa tutto su me e Sebastian, sul perché ci stuzzichiamo, ci facciamo i dispetti, ci odiamo.
L'unica che sa da cosa è scaturito il mio silenzio e il mio ignorarlo: l'unica che voglio e che vorrò per sempre al mio fianco.

Finalmente mio padre arriva dinnanzi il piazzale della scuola, slaccio la cintura di sicurezza, do un bacio sulla guancia a mio padre, lo saluto e scendo, raggiungendo la mia migliore amica mentre sventola la bustina bianca del bar, contenente il mio amatissimo cornetto integrale con la marmellata. So benissimo di aver già fatto colazione a casa ma non posso farci nulla se ho sempre fame, fame di dolci. Qualsiasi cosa ingrassi mi fa venire fame, trasforma il mio stomaco in un pozzo senza fondo ma, quando finisco di mangiare tutte quelle schifezze, il senso di colpa mi uccide e, come prassi, il pomeriggio vado in palestra e corro fino a crollare.

Non voglio essere grassa, non voglio essere derisa, voglio essere in salute, voglio poter camminare a testa alta senza sentirmi a disagio. Non voglio essere la ragazzina delle medie, con qualche chilo in più, l'apparecchio sporgente e i brufoli che intasavano la mia fronte: non voglio più sentirmi chiamare 'ugly Iris' o 'big cow' o, ancora, 'acne vivente'.
Non che me ne importasse del giudizio altrui, ma vedevo con i miei stessi occhi quanto fossi ripugnante e questo mi faceva capire perché nessuno volesse avvicinarsi a me.

L'estate della terza media decisi di iniziare ad andare a palestra ma, i miei genitori, vedendomi ridotta davvero uno straccio, decisero di fare qualcosa di più: mi mandarono a un centro estivo allestito per persone in sovrappeso. Ricordo che prima di partire, il pomeriggio tolsi l'apparecchio e mi sentii già più bella: la mia immagine riflessa era migliorata e, quella stessa sera, per andare a cena dagli Smith, decisi di vestirmi in modo carino e truccarmi anche un po'. Niente e nessuno poteva rovinare la gioia che provavo in quel momento ma, non ci fu pensiero più sbagliato. In quella casa abitava e risiede ancora il figlio del diavolo: Sebastian Smith.

Appena entrai, Anna, la madre di Satana, mi disse che ero davvero bella quella sera e io, emozionata, mi convinsi ancor di più del mio pensiero. Poi però, le parole fredde di quell'essere, distrussero nuovamente la mia autostima: «Non era l'apparecchio a renderti brutta, piuttosto eri tu a rendere brutto l'apparecchio.»

Lo guardai e soffocai le lacrime che mi pungevano gli occhi, strinsi le mani in un pugno, mi avvicinai a lui e gli diedi un ceffone in pieno volto.

«Vai all'inferno, Smith» dissi.

«Io sono l'inferno» sogghignò lui prima che la madre lo mettesse in punizione.

Anna provò in tutte le maniere a scusarsi ma non era di certo colpa sua se aveva partorito un bastardo del genere. Provò a dirmi che Sebastian era maleducato, che io ero una bella bambina, sapevo che quello stronzo aveva ragione: durante tutta la cena non desiderai altro che arrivasse il mattino seguente.

Quell'estate fu la più difficile della mia vita: corse mattutine, pasti sani e non esattamente abbondanti, esercizi, sport tutto il giorno. Eravamo sempre in movimento. Ma, tornata a settembre, dopo che né i miei e né gli Smith mi vedevano da tre mesi, stupii tutti con ottimi risultati: il mio corpo era tonico e longilineo, i brufoli, merito dell'alimentazione equilibrata, erano del tutto scomparsi.

Quando scesi dalla macchina che, a giugno, mi aveva portata via, mi diressi di corsa nella mia villa, aspettandomi di trovare mia madre e mio padre. Quando entrai, invece, trovai anche gli Smith, Sebastian compreso. Feci cadere le valige a terra, confusa dalla presenza di quel ragazzo; gli applausi e gli abbracci degli altri presenti erano nulli, l'unica cosa che riuscivo a percepire era lo sguardo di Seb su di me: non riuscivo a capire cosa stesse pensando, cosa stesse provando. Sapevo solo che i suoi occhi non lasciavano i miei e questo mi spaventò.

«Ben tornata Iris» disse lui, con un ghigno poco piacevole.

«Grazie» risposi io confusa.

«Ora posso andare? Non ho voglia di stare qui con Lockness» esordì lui, rivolgendosi alla madre.

«Sebastian! Ma ti sembra il modo?» gli domandò Anna, rossa in volto.

«Vattene pure, neanche io voglio avere la tua faccia da cazzo davanti a me» risposi a tono. I suoi occhi guizzarono a cercare i miei e, se solo gli sguardi potessero uccidere, io sarei morta in quel preciso istante.

«Bene» disse lui.

«Bene» risposi io e, fu così, che quella sera me lo tolsi dai piedi.

In un secondo finisco il mio amatissimo cornetto ma, una piccola parte di marmellata mi cade sulla maglia. Afferro la goccia col dito e, con fare svelto, succhio quest'ultimo, stringendolo tra le labbra carnose.

«Iacoangeli, sei così disperata da succhiare un dito?»
No, non posso e non voglio crederci. 'Perché lo incontro sempre nei momenti meno opportuni?' Chiudo gli occhi, respiro profondamente e cerco di non rispondere ma, prima che la mia mente possa prevalere, la mia bocca ha già agito:

«Sei per caso invidioso, Smith?»
'Cosa gli ho appena chiesto? Sono stata davvero maliziosa con lui dopo due anni che lo ignoro? Iris, contieniti!'

«In realtà stavo per vomitare alla visione di te che succhi qualcosa» ribatte lui, ridendo e varcando la soglia del grande portone bianco.

«Lo odio, davvero. Non lo sopporto. Non può cadere per le scale, sbattere la testa e andare in coma vegetativo?» domando a Claudia, seguendo Sebastian con lo sguardo.

«Iris, tu... Tu non stai dicendo davvero» dice lei. Mi volto e vedo quasi un'espressione di puro terrore dipinta sul suo volto. Annuisco facendo una faccia davvero inquietante e lei si allontana da me. Sento squillare il telefono, lo prendo e mi accorgo che non è il mio ma è quello di Claudia. Sta guardando lo schermo e sorride prima di iniziare a scrivere.

«Chi è?» le domando, avvicinandomi a lei e dandole una gomitata, per poi fare su e giù con le sopracciglia in modo ammiccante.

«Un ragazzo con cui sto uscendo. Oggi se vuoi te lo faccio conoscere. Andiamo al cinema a vedere 'The conjuring', lui porta un amico così non ti sentirai a disagio» dice Claudia, mostrandomi quegli occhioni verdi misti a blu, grandi come quelli del gatto con gli stivali di Shrek. Lo fa sempre; ogni volta che vuole ottenere qualcosa, mi fa lo sguardo languido ma, io, a uscire con un ragazzo, non ci tengo proprio.

«Me lo farai conoscere un altro giorno, non ho voglia di dovermi trovare appiccicato il suo amico» rispondo io, avviandomi in classe.

«Neanche se ti dicessi che ti compro tutti i popcorn al caramello che vuoi?» domanda Claudia. Non ho bisogno di voltarmi per sapere che sul viso ha la sua solita espressione soddisfatta: sa fin troppo bene che per nulla al mondo direi di no ai fantastici popcorn al caramello.

«Ti odio» rispondo senza voltarmi.

«Grazie, grazie, grazie» urla entusiasta, prima di raggiungermi ed entrare in classe assieme.

Ci sistemiamo ai nostri posti in fondo a destra, vicino la finestra, e tiriamo fuori dai nostri zaini il pesantissimo dizionario di latino, astuccio e quaderno.

In una frazione di secondi entra nell'aula la professoressa Mastracci, compressa nel suo tailleur blu notte: capelli castani perfettamente legati in uno chignon, gli occhi nocciola contornato da grandi occhiali quadrati verde smeraldo e la ventiquattrore nera. Il ticchettio dei tacchi bianchi, abbinati alla camicia, risuona nell'aula silenziosa. La sedia si sposta senza far rumore, il registro si posa sulla cattedra e la sua voce inizia a risuonare per l'appello. Alla fine di esso, senza alzare lo sguardo, preleva dalla valigetta il suo libro di testo e dice:

«Iacoangeli, vai a fare venti fotocopie di pagina centotrentasette. Mi serviranno per il compito in classe della quarta B, più tardi.»

Mi alzo di scatto, annuisco e afferro il libro, per poi uscire dalla classe. 'Quarta B eh? Tanti disauguri, Smith' penso, con un ghigno malefico. Mi avvio in segreteria che si trova al secondo piano, proprio vicino la palestra. Fischietto e saltello per la gioia: 'Chissà quanto si dispererà più tardi il signorino Sebastian. Vorrei tanto vedere la sua faccia di merda sbiancare.'

Arrivata dinnanzi la porta della segreteria, sento una voce chiamarmi:

«Opossum, cosa ci fai qui?» Ho già la pelle d'oca: il suono della sua voce mi irrita in una maniera esorbitante. Decido di non rispondere, abbasso lo sguardo sul libro e poi, la stronzaggine che è in me, prende il sopravvento. Mi volto e rispondo:

«Sto andando a fare le fotocopie per il vostro compito in classe.» Non riesco a fare a meno di sorridere davanti alla faccia sconvolta e impaurita di Sebastian.

«Fammi vedere la pagina» dice, avvicinandosi e allungando il braccio per prendere il libro che ho in mano.

«Scordatelo» ribatto, facendogli una linguaccia e nascondendo il libro dietro la schiena. Lui, restando davanti a me, allunga il braccio dietro la schiena, facendo aderire i nostri petti e facendomi inalare a pieni polmoni il suo profumo: 'Che diavolo sta facendo? Perché mi manca l'aria?'

Lo spingo via e, guardandolo in cagnesco, gli urlo: «Che diamine fai? Non avvicinarti più in nessun modo a me!»

Il suo sguardo prima confuso, si trasforma in divertito: «Perché Iris? Per caso ti faccio qualche strano effetto?»

Imito un conato di vomito e mi volto per poter entrare in segreteria ma, senza avere il tempo di accorgermene, mi ritrovo con i piedi che non toccano più il suolo e i capelli che svolazzano in aria: sono sulle spalle della persona che più odio al mondo.

«Smith, mettimi giù!» ordino, scalciando come una pazza. Mi accorgo che stiamo entrando in palestra e la paura mi assale:

«Perché siamo qui? Cosa vuoi farmi?» chiedo isterica, dimenandomi sempre più.

«Calmati, non voglio mica ucciderti» risponde lui pacato. Sento una porta aprirsi e capisco subito dove siamo: nello spogliatoio maschile.

«Sebastian, cosa cazzo vuoi farmi?» domando, impaurita.

«Ora vedrai.» Il suo tono non fa presagire nulla di buono e, pochi secondi dopo, ne ho la certezza.

Il rumore dell'acqua mi fa spalancare gli occhi, sento Sebastian che cerca di posarmi a terra ma, con un gesto furtivo, mi aggrappo alla sua schiena, così, in pochi istanti, ci troviamo entrambi sotto il getto d'acqua, completamente bagnati, uno sopra l'altro.

Dal basso guardo lui negli occhi: è sorpreso, non si aspettava di certo di inzupparsi assieme a me. La sua gamba è tra le mie, il suo viso è davvero vicino, così vicino che posso notare la piccola cicatrice che gli feci io dodici anni prima. Le sue braccia sono tese vicino i miei fianchi. Le sue labbra carnose sono schiuse, mostrando leggermente la dentatura perfetta. Le fisso in silenzio. Vedo i suoi occhi guizzare verso il basso; deglutisce: seguo la traiettoria e vedo che la maglietta bianca lascia intravedere l'intimo del medesimo colore. Arrossisco, cerco di coprirmi con il libro: «Smettila di guardare!» urlo. Poi, una risata, la sua.

Si alza, scostandosi da sopra di me e solo allora mi accorgo di quanto il mio fiato sia corto e il battito accelerato: 'Dannato Smith!'

«Non sei male tutta bagnata, opossum» dice lui, tirando il ciuffo nero all'indietro. Colma di rabbia, mi alzo da terra, lo spingo lontano e urlo:
«Questa sarà la prima e ultima volta che mi vedrai, in qualche modo, bagnata!» Esco da lì e, regolando di nuovo il respiro e i battiti, torno in segreteria.

°Spazio autrice°

Ecco qui un nuovo capitolo!
Cosa ne pensate di Claudia? Ha ricattato Iris con i popcorn al caramello... Cioè chi riuscirebbe a dire di no al gatto con gli stivali di Shrek e i popcorn al caramello?
Io no ahahah
Fatemi sapere cosa ne pensate nei commenti ❤️
~A presto~

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