La festa
Ieri, con Claudia, non siamo riuscite a escogitare nessun piano anche solo lontanamente decente. E, per di più, il pensiero di Gabriele, non ha aiutato di certo nella concentrazione. Mi domando ancora come mai abbia avuto una reazione del genere, come mai non mi abbia cercata e parlata per il resto del tempo. Sono rimasta a casa loro fino a sera, eppure non si è nemmeno degnato di venire da me per chiarire. Anzi, ha preferito uscire per andare chissà dove. È stato Mimmo, poi, a riportarmi a casa. Non mi ha scritto nessun messaggio della buona notte, nessuna chiamata, nulla. Ma ora non ho tempo di pensare a cosa gli sia passato per la mente. Mi giro e rigiro più volte nel letto: oggi non ho voglia di alzarmi. Vorrei che fosse già domani, vorrei che questa giornata fosse già volta al termine. Non credo di essere abbastanza forte da riuscire ad affrontarla.
«Iris, pensi di abbandonare il tuo letto, o devo prendere atto che siete diventati una cosa sola?» domanda mia madre, entrando nella stanza, da sopra di me. La guardo quasi supplicante:
«Considerami una cosa sola con lui» dico, afferrando il cuscino, ove sopra la federa, vi è la stampa di tanti, piccoli, graziosi, amorevoli fenicotteri rosa.
«Muoviti, pigrona. Non puoi oziare tutto il tempo» incalza mia madre, tirando via il piumone bianco e lasciando ai miei piedi scoperti, l'incontro con il gelo.
«E dai! Altri cinque minuti!» imploro, strappandole via la coperta dalle mani.
«Iris Iacoangeli, sono le undici e trentasette minuti! Credo di averti concesso più di cinque minuti» sbotta, lanciando per aria il rettangolo che mi teneva calda. 'Questo mostro non può essere mia madre' penso, trascinandomi contro ogni volontà fuori dal letto. Afferro un paio di mutande con sopra il mio animale preferito, un reggiseno abbinato e vado in bagno a farmi una doccia. Una volta uscita, mi asciugo, indosso l'intimo pulito e mi rinfilo il pigiama rosa prima di scendere a pranzare.
«Ciao, amore» mi saluta mio padre: mi avvicino a lui e gli lascio un bacio sulla guancia. Mi siedo al mio posto mentre mia madre posa in tavola una teglia contenente della lasagna: 'Mi serviranno tre ore di palestra per smaltire una porzione di questa.'
«Cara, quanta ne vuoi?» mi domanda il mostro. Mi alzo e mi servo da sola, senza darle la possibilità di abbondare com'è solita fare.
«Stasera non saremo a casa. Se vuoi puoi chiamare Claudia per farti compagnia» asserisce la donna seduta di fianco a me. 'Cavolo! Mi sono anche dimenticata di avvisare i miei genitori della festa di compleanno!'
«In realtà avrei una festa. Mi sono dimenticata di avvertirvi, scusate» ammetto, giocando con il cibo che ho nel piatto. Spero non facciano storie per averli avvisati tardi.
«Di che festa si tratta?» domanda mia madre, ingerendo poi una grande porzione di primo.
«Si tratta di Greta, una mia compagna di scuola.»
«A che ora devi essere lì?» continua mio padre, guardandomi col suo solito sorriso stampato in volto.
«Alle nove inizia la festa.»
«Ti passa a prendere Gabriele?» chiede Teresa, lanciandomi un'occhiata ammiccante. Mio padre la guarda interrogativo e io, intanto, sento stringersi lo stomaco. Ancora non l'ho sentito e, sinceramente, non saprei nemmeno se stiamo ancora insieme oppure no. Non credo sia normale reagire in quel modo e sparire senza un evidente motivo.
«No, lui deve studiare» arranco la prima scusa che mi viene in mente. Ma il mio tono non mi sostiene: chiunque capirebbe che stia mentendo. I miei genitori si guardano e, senza far domande, mio padre mi dice:
«Ti accompagnamo noi, tesoro.» Annuisco e li ringrazio mentalmente per non avermi surclassata di domande a cui, neanche io, sarei stata in grado di dar risposta. Con malavoglia, finisco la porzione di pasta che ho nel piatto, mi alzo, sparecchio e, con la scusa di avere un mucchio di compiti da svolgere, salgo in camera mia. Sblocco lo schermo del cellulare e trovo solo qualche notifica da parte dei social e un messaggio proveniente dalla mia migliore amica:
-Buongioro, sorella. Sei viva? Quel coglione di mio fratello sta ancora dormendo.- Sorrido al suo preoccuparsi per me e mi sbrigo a risponderle. Apro l'eastpack e prelevo il raccoglitore e i libri che mi serviranno per i compiti: dodici pagine di esercizi di matematica, una versione di latino, un tema sull'attualità e quaranta pagine di storia.
«Ma quando ce li hanno assegnati tutti questi compiti?» domando, frustrata come non mai. Decido di iniziare da matematica, una delle mie materie preferite.
Arrivata alla fine della versione di latino, finalmente alzo la testa dal raccoglitore, alzo le braccia verso l'alto e faccio in modo che la schiena produca un rumore simile a uno scrocchio. Prendo in mano il telefono, lo sblocco e vedo che ho ricevuto diciotto messaggi: tre da parte di Claudia, quattordici da parte di Gabriele e uno da parte di un numero sconosciuto. Decido di aprire quest'ultimo e, dall'immagine profilo, capisco subito di chi si tratta: Greta.
-Ciao, sfigata. Ti aspetto questa sera alla mia festa, ovviamente accompagnata da Sebastian Smith. Xoxo- 'Xoxo? Siamo in gossip girl?' penso. Guardo l'ora e mi accorgo che sono già le otto meno dieci. Salto in piedi, facendo cadere la sedia a terra:
«Cazzo, cazzo, cazzo!» impreco contro me stessa e mi maledico per non aver né messo una sveglia né aver tenuto d'occhio l'orologio. Rispondo in fretta a Greta e mi accingo ad aprire l'armadio: 'E ora cosa mi metto?' mi domando, guardando la sfilza di vestiti appesi alle grucce. 'Perché dovrebbe interessarmi come vestirmi se, l'unico motivo per il quale sono invitata alla festa di Greta, non c'è? Devo trovare al più presto un modo per trascinare Satana alla dimora dell'inferno.' Poi, un lampo di genio: lui va in classe con Greta, perciò è stato sicuramente invitato.
«Mamma! Visto che anche Sebastian è invitato alla festa, puoi chiedere agli Smith se posso andare con loro?» urlo dalla mia camera. In un istante, la donna entra in camera, già con il telefono vicino l'orecchio.
«Ciao, Anna. Scusa se ti disturbo ma so che Iris e Sebastian, stasera, dovranno partecipare al compleanno di una loro amica. Mi chiedevo se Iris potrebbe venire con voi o andare con Sebastian» dice mia madre. Ho il cuore in gola: so perfettamente che Pumba non li ha informati di ciò e, per questo, potrei andare in contro la morte. Ma il patto è che io porto Smith alla festa e lei mi svela il suo segreto. Poi sta a Greta riuscire nell'intento di portarselo a letto. Trasalisco: un senso di disgusto misto a fastidio mi pervade al pensiero di Sebastian che bacia e fa molto di più con quella ragazza.
«Grazie, Anna. A tra poco.» Queste parole mi fanno tornare ad ascoltare mia madre che, per fortuna annuisce.
Torno a pensare alla possibilità che Greta riesca nel suo intento e, nonostante non sia nessuno, la cosa m'infastidisce, parecchio. Non voglio che le sue labbra assaporino quelle di Sebastian: in un certo senso ne sono gelosa. Non voglio che tocchi la sua pelle come ho fatto io quella notte. Non voglio che il suo respiro si mischi con quello sbagliato. Non voglio che qualcun'altra faccia accelerare il battito del suo cuore, fino quasi a farlo scoppiare.
Mi guardo allo specchio e decido che, stasera, Sebastian sarà mio: manterrò la mia promessa, ma non le permetterò di raggiungere il suo obbiettivo. Lui non è un giocattolo, lui non è un bambolotto: anche se lo nasconde al mondo, lui un cuore ce l'ha. 'E vorresti che fosse tuo, perché il tuo è già suo' mi gioca un brutto scherzo la coscienza. Scuoto la testa a questo stupido pensiero e, tornando a guardare nell'armadio, lo sguardo ricade sul vestito che avrei dovuto indossare ai miei diciotto anni: prendo l'abito lungo bordeaux di velluto, mi spoglio del pigiama e lo indosso: lo scollo lascia scoperte le spalle candide, in perfetto contrasto col colore scuro del tessuto; le forme vengono messe in risalto grazie all'aderenza dell'abito: 'Perfetto' penso, sorridendo al mio riflesso.
Mi siedo sullo sgabello, dinnanzi la toletta lilla presente in camera. Prendo l'arriccia capelli e lo metto a scaldare, mentre sul viso applico del leggero fondotinta, seguito da della cipria. Gli occhi sono leggermente colorati di marrone, messi in risalto con una linea d'eyeliner e tanto mascara. Frugo nell'astuccio dei trucchi fino a trovare la giusta tinta per le labbra, perfettamente abbinata al vestito. Velocemente arriccio i capelli, spruzzo del profumo e infilo ai piedi i tacchi rubati a mia madre.
Afferro il telefono e, con molta attenzione, scendo le scale: ho il cuore in gola e il cervello che non mi aiuta. Non so cosa sto facendo, non so in che guaio mi sto cacciando ma so che è la cosa giusta da fare, o almeno credo. Mio padre e mia madre sono lì, alla fine della scalinata, che mi guardano con occhi sognanti:
«Tesoro, sei... sei...» Mio padre non riesce a finire la frase che posso benissimo vedere una lacrima solcargli il viso, in preda all'emozione.
«Papà, non è la prima volta che mi vedi uscire» gli dico, abbracciandolo forte.
«Lo so, ma...» prova a dire, senza alcun successo. Mi volto verso mia madre e posso leggere la fierezza nei suoi occhi. Il citofono interrompe quel momento e i battiti accelerano: non ho il coraggio di guardare quel viso colmo di rabbia. Deglutisco e, con una lentezza straziante, mi avvio verso la mia morte. Apro il cancelletto ed esco, trovandomi davanti il Range Rover degli Smith: Anna scende e mi saluta entusiasta, riempendomi come al solito di complimenti prima di abbracciarmi. Apro la portiera posteriore e, amareggiata, trovo il sedile vuoto.
«Sebastian, dopo la palestra, ti raggiungerà lì» mi rincuora Anna, con un tono poco convinto: sappiamo entrambe che lui non verrà. Saluto James e, in silenzio, arriviamo alla lussuosissima dimora della festeggia: dinnanzi a noi si apre un cancello in ferro battuto, con sopra incise le iniziale dei genitori di Greta. Questo mastodontico portone apre la porta a un viale alberato in ghiaia: già da qua giù si possono vedere le luci, colorare la facciata della villa . La musica risuona ad alto volume e, una volta arrivati, un uomo dai capelli neri laccati, apre lo sportello a me e Anna. Lei declina, dicendo di avermi solo accompagnata. Io invece scendo dal veicolo e ringrazio tutti prima di seguire la freccia che indica di avviarmi su per la scalinata. Un volta in cima, mi volto a guardare il paesaggio: la grande dimora color ocra, è circondata tutta in torno da vasti metri di giardino: più in la noto una piscina tonda con delle palme e una piccola cascata. A destra vi è anche il maneggio privato della famiglia e, tutto a sinistra, si estende un discreto campo da golf e due campi da tennis. Tutta quella ricchezza quasi mi disgusta: sono tentata di fuggire via, di scappare da questo posto che non mi appartiene ma, senza poter dar atto al mio pensiero, la sua voce mi richiama:
«Iris, benvenuta!» Mi volto e trovo la figura di Greta stretta in un lungo abito di pizzo nero che lascia alcune parti scoperte, data la mancanza di tessuto pronto a coprire la pelle. I suoi capelli sono raccolti in una coroncina che, suppongo, sia tempestata di diamanti, proprio come la parure di collana, bracciali e orecchini che indossa.
«Tanti auguri, Greta» le dico, fingendo proprio come sta facendo lei. Dietro scordo Miriam, più carina del solito: i capelli sono sistemati, gli occhiali spariti e il tailleur nero che indossa, le dona parecchio, nascondendo le eccessive e prorompenti curve di cui è dotata.
«Sebastian?» mi domanda l'arpia, guardandosi attorno.
«Sta arrivando» le dico, deglutendo.
«Lo spero per te» dice, rivolgendomi un occhiolino prima di sparire dietro il grande portone di legno. Ho paura che non venga, ho paura che questa stronza possa dire tutto a Gabriele. Gabriele: devo leggere i suoi messaggi. Cerco il telefono ma, ahimè, mi rendo conto di averlo lasciato in macchina degli Smith: 'Non c'è mai fine al peggio.'
Entro e mi guardo attorno: la sala è già gremita di ragazzi che si muovono a tempo di musica. Il pavimento di parquet non è il massimo per chi, come me, ha messo dei tacchi fin troppo vertiginosi e non sa usarli. Il soffitto alto, ha delle bellissime volte dove, al centro, vi sono incastrati dei lampadari di cristallo che giocano con le luci stroboscopiche, deviando i raggi in più punti dell'enorme salone. A sinistra si può notare la lunga tavolata di cibo e la postazione del barman. Mi guardo attorno, nella speranza di trovare qualche faccia amica ma, ahimè, non vedo nessuno. Non conosco nemmeno una persona qui dentro, a parte Barbie e il suo cane fidato. Vado verso la postazione delle bibite e chiedo al ragazzo che serve, una coca cola con ghiaccio. Lui mi sorride e il suo ghigno, in un certo senso, mi da i brividi. Mi volto a guardare i ragazzi che ballano e, quando il cameriere mi richiama, afferro la bibita e la mando giù tutta d'un sorso: la gola inizia a bruciarmi come mai prima d'ora e capisco che questa non è della semplice coca cola. Fisso il ragazzo che mi guarda divertito e sorride:
«Cosa cavolo mi hai dato?» gli domando, furiosa più che mai?
«Gin cola» risponde lui, come se fosse normale servire un alcolico a una minorenne.
«Ti avevo chiesto una dannata coca cola!» urlo, mentre la testa inizia a girare.
«Beh, la coca cola comunque c'è» asserisce lui, alzando le spalle. Mi allontano da lì, in cerca di aria fresca: sento caldo e la testa girare. Finalmente trovo l'uscita e, tra uno spintone e l'altro, riesco ad arrivare al muro dove mi poggio e, pian piano, cado verso terra, fino a sedermi.
«Iris?» sento una voce familiare. Apro gli occhi e vedo Matteo che mi guarda preoccupato: gli sorrido. Indossa una camicia bianca stretta in collo da un papillon; i pantaloni eleganti, come le scarpe, gli ricadono leggermente larghi. Non lo riconoscerei se non fosse che indossa la sua solita consumata giacca di pelle nera.9
«Sei proprio tu?»
«Chi altri dovrei essere?» chiede, prendendo posto vicino a me. Non so neanche bene io il perché ma inizio a ridere: forse è il per il nervoso, forse per la delusione, forse per l'alcool. O, probabilmente, per tutte queste cose messe assieme.
«Tu, sei sempre tu. Mi dai una sigaretta?» gli domando. Lui, senza dir nulla, mi allunga il pacchetto da dove estraggo il cilindro che, con qualche difficoltà riesco a poggiare tra le labbra. Matteo mi passa l'accendino e riesco finalmente a inalare il fumo tanto desiderato.
«Aspettami qui» dice lui, prima di alzarsi e sparire dentro la sala. Faccio come dice: non mi muovo e mi godo quel veleno riempire i miei polmoni; sento la pelle gelarsi ma dentro vado a fuoco. Un mix di sensazioni contrastanti m'invade e non mi dispiace. Finisco la sigaretta e la butto lontana da me: porto le ginocchia verso il petto e vi poso sopra la testa: questa è vuota. Priva di ogni pensiero e ragionamento logico in questo momento.
«Tirari su» sento dire dall'alto. Alzo il capo e incontro gli occhi neri di Matteo prima di vedere la mano libera tesa verso di me. La prendo e, con un colpo secco, riesce a tirarmi su, facendo scontrare i nostri petti: entrambi ci scostiamo velocemente, imbarazzati da quel gesto. Noto che nell'altra mano tiene due piccoli bicchieri di vetro, assieme a una bottiglia trasparente come il liquido al suo interno.
«Cos'è?» domando, indicando quell'oggetto.
«Una cosa che ti piace» risponde, sorridendomi. Con il capo mi fa cenno di seguirlo e accetto: ci nascondiamo dietro a un muretto presente sulla grande balconata del piano in cui si sta festeggiando. Ci sediamo e, mentre lui versa quel liquido nei bicchierini, gli domando dove sia Claudia.
«Lei non è potuta venire. Aveva da fare qualcosa con il padre e poi non sopporta Greta» risponde, per poi passarmi il bicchiere.
«Devo berlo?» domando, ingenuamente. Lui ride, scuote la testa, alza il contenitore e poi manda giù il liquido, tutto in una volta: non fa smorfie e nessun conato di vomito; posso berlo anche io, allora. Faccio come lui ma, a differenza di Matteo, sento una botta così forte allo stomaco che trasalisco: la gola brucia ma il sapore mi piace, per cui accetto anche il secondo il giro. E il terzo e il quarto. La testa stavolta gira più che mai:
«Fa davvero caldo, non trovi?» domando, tirando su il vestito e scoprendo le lunghe gambe eburnee.
«Iris, è l'effetto dell'alcool e tu sei decisamente ubriaca» risponde Matteo, tirando giù il vestito. Gli sorrido per il suo modo protettivo che ha di fare. Poggio la mia testa sulla sua spalla e, senza neanche parlare, mi passa una sigaretta. Lo ringrazio mentalmente e mi godo quel momento così tranquillo e spensierato. Finito di fumare, mi alzo in piedi e cerco di trascinare Matteo con me ma, il suo peso maggiore, non mi permette di tirarlo su.
«Cosa vuoi fare?» mi domanda, alzandosi da terra.
«Balliamo» propongo. Si ferma e, quando lo guardo, anche se sfocato, vedo che non è convinto.
«E dai, siamo o non siamo amici?» gli domando, regalandogli il sorriso più ampio che riesco a fare. Lui ride, scuote la testa e, buttando a terra il mozzicone di sigaretta, mi segue dentro la sala. Gli prendo la mano e lo porto al centro della pista; tutti si girano a guardarci ma noi non facciamo nulla che possa far pensare qualcosa di sbagliato: siamo abbastanza distanti da non sfiorarci nemmeno. Non voglio che qualcuno possa pensare che sto rubando il fidanzato alla mia migliore amica. Quegli sguardi iniziano a darmi fastidio: non voglio sentire quella sensazione di nudo che provo ogni volta che gli altri mi guardano insistentemente. Non voglio sentirmi a disagio, non stasera. Stasera voglio solo pensare a divertirmi e a vivere la vita di una normale diciassettenne felice. Afferro Matteo per il bavero della giacca e lo porto verso lo stand degli alcolici:
«Ci dai due bicchieri di quello lì?» chiedo al ragazzo biondo di prima che, ora, mi sorride e ci versa un liquido verde in quel contenitore trasparente. Mando giù tutto e, stavolta, non sento nemmeno l'alcool braciarmi la gola, già anestetizzata dagli shot e il fumo precedenti. Torno in pista: la testa torna a essere leggera e non mi interessa se qualcuno mi sta guardando. Non mi interessa di ciò che mi circonda, non mi interessa di essere giudicata.
«Iris, dove cavolo è Sebastian?» tuona la festeggiata, strattonandomi per un braccio. Smetto di ballare, la guardo negli occhi e inizio a ridere, di gusto. Noto come i suoi occhi diventano iniettati di sangue e, allora, mi decido a rispondere:
«Non lo so, ci credi?» Il suo viso diventa paonazzo e la presa attorno al mio braccio si stringe, causandomi un forte dolore.
«Eccoti.» Una mano si posa sul mio fianco: mi giro di scatto e incontro i suoi occhi; mi manca il fiato. 'Lui è qui, lui è venuto. Lui mi ha salvata.'
«Ehi, Sebastian» dice civettuola, Greta, agitando le lunghe ciglia finte. Mi volto verso lei e le rivolgo uno sguardo come a dire 'visto? Te l'ho portato.'
«Auguri» dice lui, con tono freddo, asettico, senza staccare gli occhi da me. Sento la mia dea interiore ballare la danza della vittoria e, l'unica cosa che ho voglia di fare ora, è sorridere al mio demone e mischiarmi tra la folla, per ballare finché la stanchezza non prenderà il sopravvento. Concludo quel contatto seguendo il mio istinto: lascio Greta in compagnia di Sebastian e mi disperdo tra i ragazzi. Arrivo sotto la consolle, chiudo gli occhi e mi lascio andare: seguo la musica, abbandono la ragione e lascio che il mio corpo si muova da solo, sinuoso, selvaggio.
«Ciao» sento sussurrare. Apro gli occhi e noto un ragazzo biondo, dagli occhi castani, sorridermi.
«Ciao» gli dico, per poi voltarmi e tornare a chiudere gli occhi. Sento un braccio cingermi la vita, accostarmi a un corpo sconosciuto:
«Lasciami!» urlo, togliendo il suo braccio dal mio corpo.
«E dai, volevo solo ballare» ammicca lui, avvicinandosi ancora.
«A quanto pare lei non ha voglia» irrompe Sebastian, mettendosi tra me e lo sconosciuto: da qui posso ammirare le spalle larghe e la vita stretta, messe in risalto da una camicia bianca. I tatuaggi sul collo e sulla nuca, in netto contrasto col suo abbigliamento, gli donano il fascino di bello e dannato che già ha e, stasera, Sebastian lo è più del solito. Cogliendo il momento di distrazione da parte di entrambi, ne approfitto per salire su un piccolo palco presente vicino al dj: dalle casse esce 'Ponteme' e, in preda all'istinto, inizio ad ancheggiare e a muovere i glutei su e giù, alzando leggermente il vestito, fino a metà coscia: ricordo le prove fatte davanti lo specchio, assieme a Claudia, quel giorno in cui avevamo deciso d'imparare il twerk. Non faccio in tempo ad arrivare a metà traccia che il demone mi tira giù, caricandomi in spalla: vedo delle scale di legno e capisco che mi sta portando da qualche parte, lontana dalla festa; a ogni scalino, la testa leggera dondola, abbandonata alla forza di gravità, proprio come il resto del corpo, e non riesco a far a meno di ridere. Sento una porta spalancarsi per poi richiudersi, con un'inchiavata: apro leggermente gli occhi e vedo un letto, sul quale atterro poco dopo a pancia in su. Sento un leggero fresco accarezzarmi il ventre e capisco che il vestito deve essersi alzato fino a quel punto: a confermarlo sono le mani di Sebastian che provvedono a tirar giù quel tessuto troppo alto. Le sue dita sfiorano la pelle e, nello stesso istante, provo nuovamente quella sensazione piacevole di bruciore: 'Ancora.'
«Oddio, Iris, ancora queste orrende mutande con sopra i fenicotteri?» mi domanda, facendomi imbarazzare. Ho gli occhi chiusi, ma immagino la sua solita faccia disgustata, guardarmi con repulsione. Mi volto a pancia in giù, lasciando che la chioma arancione finisca sul mio volto, a sua volta schiacciato contro il materasso.
«Perché, cos'hanno?» biascico, offesa.
«Oh, nulla. Continua a indossarle, almeno non c'è pericolo che a qualcuno possa venire voglia di venire a letto con te.» Uno schiaffo avrebbe fatto meno male: 'Gli faccio così schifo? Ho voglia di chiederglielo, ma al tempo stesso ho una paura folle che la sua risposta possa essere positiva. Ma stasera voglio rischiare, rischiare e, se necessario, farmi male. Faccio un respiro abbastanza profondo, raccolgo tutte le forze che ho, mi sollevo e gattono verso lui: la spallina è scesa pericolosamente, mostrando buona parte del seno. Mi avvicino a Sebastian che trovo seduto sul bordo del letto, gattonando: una ciocca mi ricade lungo lo zigomo che sento andare a fuoco e, a pochi centimetri dal suo volto, gli domando:
«Neanche tu faresti l'amore con me?» Il ragazzo che ho davanti sgrana gli occhi: posso sentire il suo respiro affaticarsi e il cuore accelerare i battiti. Il suo sguardo balza dalla scollatura alle labbra. Copre il lembo di pelle fin troppo scoperto, con mano tremolante.
«Non dovrei desiderarlo» dice, prima di avventarsi sulle mie labbra: mi erano mancate, mi era mancato. Lui, il suo contatto, il suo sapore. I nostri corpi si attraggono come calamite e, in un istante, sono a cavalcioni su lui, con le gambe scoperte, il fiato corto e il cuore che esplode di gioia. Le sue mani percorrono ogni centimetro della mia pelle nuda: ci baciamo con ingordigia, come se qualcuno ci avesse tolto il cibo e, dopo mesi di carestia, ce lo avesse ridato. Stiamo banchettando al nostro istinto, alla nostra attrazione.
Una mano sulla coscia e una tra le scapole non fanno altro che mandarmi a fuoco, sotto ogni tocco di quel demone che sembra creato per me.
«Dimmi che è tutto vero» chiedo, col fiato corto, interrompendo per un attimo quel bacio.
Mi sorride, mette una mano dietro la nuca e torna a baciarmi, dolcemente. Siamo destinati a calare le maschere di notte, siamo destinati a viverci nel buio. Non è ciò che sognavo da bambina ma, se questo vuol dire avere Sebastian, sono pronta ad accettare il compromesso.
°Spazio autrice°
Ciao tesoriiiiii
Eccoci qui! Finalmente Sebastian è tornato e i due, a quanto pare, non riescono a stare lontani. Come gestirà questa cosa la nostra Iris? Come si metterà con Gabriele? Iris e Sebastian riusciranno a mettere da parte i dissapori per viversi? Sebastian avrà capito che per Iris non prova solo attrazione? Per rimanere aggiornati e avere qualche spoiler, seguitemi su instagram:youaremysmile07
Se avete domande da rivolgere ai personaggi, proponete qui sotto e vi risponderò in un capitolo apposito❤️
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