Cosa stiamo facendo?

Mi sveglio e, d'istinto, cerco la mano di quel demone che, pian piano,sta risucchiando la mia linfa vitale. La trovo, sentendo uno strano calore sulla gamba destra. I nostri bacini sono perfettamente accostati e, come la prima volta, mi fa uno strano effetto: 'Perché ha voluto di nuovo dormire con me? Perché non prova a sedurmi come fa con le altre? Perché ha deciso di farmi impazzire?' Queste domande mi attanagliano la mente e non riesco a dargli una risposta.Con fatica, mi giro verso di lui e, come al solito, lo trovo con la bava che fuoriesce dall'angolo della bocca e, nuovamente, quel grugnito: 'Mi ricorda Pumba.' Sorrido al mio pensiero e, prendendo coraggio, con l'indice delimito i lineamenti di Sebastian. Parto dalla fronte dove ricadono alcuni ciuffi neri; scendo lungo il naso dritto e, appena sfioro la punta, lui lo arriccia. Caccio una risatina e poi continuo il tragitto; scendo sul prolabio e mi fermo: 'Sono bellissime' penso, fissando le sue labbra. Stacco il dito da lì, e penso che domani tornerà a casa sua. 'Quindi stanotte, forse, sarà l'ultima volta in cui dormirò con Sebastian?' Un senso di angoscia mi pervade e mi rattristisco; rivolgo lo sguardo verso il basso.

«Cos'hai?» mi sento domandare. Alzo la testa e noto i suoi occhi color ghiaccio che mi guardano con dolcezza. Gli sorrido malinconica e sussurro:

«Niente.» Le sue braccia mi stringono ancor di più a lui, mentre la sua mano finisce ad accarezzare i miei capelli.

«Sai che non puoi mentirmi» insiste lui. Non posso dirglielo, non voglio.È troppo: non riesco ad aprirgli il mio cuore. Poi, un flash, mi fa trovare un escamotage:

«Avevamo detto che di giorno saremmo tornati a ignorarci, ricordi?» Lui si stacca leggermente da me, mi sorride, mi bacia la fronte e si alza, lasciando il mio letto. Si infila la maglietta e, di soppiatto, esce dalla mia camera:

«Non era questo ciò che volevo» sussurro in un filo di voce, posando la mano sul lenzuolo caldo, caldo come il corpo che lo occupava fino a pochi istanti fa, quel corpo che mi ha fatta sentire protetta dal male che lui stesso riesce a infliggermi. Immergo il viso nel cuscino che profuma di lui: inspiro profondamente e mi dispiace pensare che da domani non lo vedrò più infiltrarsi in camera mia.

Scendo dal letto, afferro tutto l'occorrente per scuola e mi dirigo in bagno: apro l'acqua calda della doccia, lego i capelli in una crocchia disordinata e mi affretto a lavarmi. Indosso l'intimo, un paio di skinny rossi e un maglione bianco, in tinta con le vans dello stesso colore. Opto per una treccia laterale e tanto mascara.

Scendo e, stranamente, non vedo Pumba addentare il solito toast alla nutella, bensì si alza dal tavolo e noto che tiene in mano delle mandorle e una spremuta d'arancia. Butta giù tutto il liquido arancione, posa il bicchiere nel lavabo e, guardandomi, mi sorpassa, scendendo le scale e dirigendosi in macchina.

«Buongiorno, amore» mi saluta mia madre.

«Buongiorno» ricambio il saluto, freddamente. La guardo e noto la sua espressione triste: non so come possa pretendere l'amore che le davo prima, quando lei è la prima a non darmene più.

«La prossima settimana sono in ferie. Vogliamo fare qualcosa insieme?» domanda, cogliendomi di sorpresa: è molto tempo che io e mia madre non passiamo qualche ora da sole e, nonostante sia arrabbiata con lei, non posso far a meno di essere felice per quella proposta.

«Certo. Ah, mamma, papà, dopo Natale potrei partire con Claudia? Non voglio una festa di compleanno per i miei diciotto anni, però mi piacerebbe partire» domando, mentre mi sfrego le mani per il nervoso.

«Dove vorreste andare?» domanda mio padre, bevendo l'ultimo sorso di caffè.

«A New York» rispondo, esitando, con il cuore in gola. I miei genitori mi guardano, per poi guardarsi a loro volta. Sono confusi e, ovviamente, capisco che ne debbano prima discutere tra loro.

«Non dovete rispondermi subito, parlatene prima» dico, cercando di intenerirli. Esco dalla cucina e scendo di corsa le scale, seguita da mio padre.

Arrivata a scuola, saluto Claudia e, come al solito, mangio il mio cornetto.

«Allora, com'è andata ieri con mio fratello?» mi domanda lei, ammiccando. Arrossisco per non so quale motivo e le rispondo:

«Bene. Mi ha portata al mare e siamo stati insieme. E no, non ci siamo baciati se è questo che vuoi sapere.» Un'espressione delusa si fa largo sul suo volto ma, in un attimo, si trasforma in un sorriso: Matteo arriva e la bacia delicatamente, facendo girare tutti gli studenti del liceo Pascal. In fondo, lui è il migliore amico di Sebastian Smith e, per questo, conteso da molte ragazze.

«Buongiorno bellezza» dice, rivolto a Claudia. Poi, girandosi verso di me, mi da un bacio sulla guancia e dice:

«Buongiorno anche a te, Iris.» Imbarazzata per quel gesto, guardo la mia amica che subito capisce il motivo del mio disagio:

«Tranquilla, Iris, non sono gelosa. Sei la mia migliore amica» dice e, una volta buttata fuori l'aria che stavo trattenendo, mi associo alla sua risata.

«Allora, avete programmi per stasera?» domanda Matteo, stringendo Claudia a sé.

«Io e Iris, stasera, pensavamo di uscire» risponde la mora, cogliendomi di sorpresa: 'Quando lo abbiamo deciso?'

«E dove pensavate di andare?» chiede il moro.

«Sul Tevere adibiscono degli stand per l'October fest. Pensavamo di andare lì» risponde lei, sicura di se.

«Ma io non bevo birra» dico, totalmente fuori luogo. Claudia mi fulmina con lo sguardo, mentre Matteo mi guarda divertito.

«Vengo anch'io» asserisce lui.

«Tu, Iris, chiedi a mio fratello se vuole venire, così abbiamo il passaggio. E stasera dormi da me!» dice. 'No, stasera non posso dormire da lei. Questa è l'ultima sera che Sebastian dormirà a casa mia. E se non ci fosse? E se uscisse tutta la notte?'

«I miei non mi faranno dormire da te ma, sicuramente, possiamo uscire» dico, mentendo. Mi dispiace davvero non poter dire la verità alla mia migliore amica ma, finché non chiarisco questa strana situazione con Sebastian, non posso parlarne con nessuno.

«Va bene» si limita a rispondere Claudia. Afferro il telefono, accendo la connessione e noto il buongiorno da parte di Gabriele. Gli rispondo in fretta e gli chiedo se stasera è disponibile per uscire con Claudia e il suo ragazzo. Appena suona la campanella, entriamo e, prima che la professoressa di matematica entri, leggo la risposta positiva da parte di Gabriele.

«Tuo fratello ha detto che va bene» le sussurro.

«Vieni da me verso le sette?» mi domanda. Annuisco e, come sempre, prendo il mio raccoglitore e seguo la lezione.

Le lezioni finiscono piuttosto in fretta e, durante la punizione, come il resto delle volte in cui ci siamo incontrati per la scuola, io e Sebastian ci evitiamo e questo inizia a farmi davvero male: lo vedo lì, a pochi metri da me e vorrei parlargli, vorrei insultarlo, vorrei prenderlo in giro. Vorrei che mi considerasse. E, proprio in questo momento, torno a due anni prima: anche allora Sebastian mi faceva lo stesso effetto e ricordo che ha dovuto distruggere la mia vita scolastica per far sì che lo allontanassi, per far sì che smettessi di desiderare le sue attenzioni. 'Che io abbia sempre desiderato Sebastian e, l'odio che dico di provare, sia solo uno scudo messo da me stessa?'

«Ehi, dobbiamo andare» sento dire alle mie spalle. Alzo lo sguardo e vedo quel ragazzo davanti a me, che mi fissa con uno sguardo duro.

«Perché?» sussurro in un filo di voce. Pumba mi guarda, decisamente confuso e, presagendo una domanda alla mia domanda, scappo via. Non riesco a sostenere il suo sguardo, le sue domande, i suoi comportamenti; non riesco a sostenere lui.

Arrivata a casa, corro in bagno e mi faccio una doccia completa, lavando anche i capelli. Esco, spanno il vetro con il calore del phon e asciugo i capelli. Accendo la piastra, decisa a lasciarli lisci e sciolti questa sera. Avvolgo il corpo nell'accappatoio rosso e mi dirigo incamera dove indosso un paio di calze a rete nere, i pantaloncini neri e un micro top giallo; torno in bagno e inizio a piastrare i fili arancioni. Prendo l'eyeliner e, con precisione, creo una linea sottile e allungata sopra l'occhio; afferro il mascara e, mettendomi in punta di piedi, mi avvicino allo specchio per vedere meglio.Schiudo leggermente le labbra mentre passo il pennello tra le ciglia e, in quel momento, distendo ancor di più la schiena, alzando il sedere. Per qualche strano motivo mi sento osservata: appena mi volto, trovo conferma della mia sensazione; Sebastian è lì, che miguarda come guardò quella ragazza vicino la macchinetta. Continua a fissarmi e noto che, in particolare, fissa il sedere: deglutisce e non accenna a staccare gli occhi dal mio corpo, neanche quando si accorge che lo sto guardando.

«Puoi smetterla di fissarmi in quel modo?» domando, anche se, per qualche strano motivo, lo trovo piacevole. Lui, senza rispondere, si volta e se ne va: 'Giusto, deve evitarmi.' Guardo l'orologio che ho al polso e noto che segna già le diciotto e trentasei:

«Papà, è tardi! Dobbiamo andare!» urlo, nella speranza che il successore di Gandhi mi senta.

«Io sono pronto, piccola. Possiamo andare quando vuoi» risponde lui, affacciandosi alla porta del bagno, qualche istante dopo la mia chiamata.

«Perfetto: inizia a mettere in moto la macchina, per favore» gli dico, regalandogli un dolce sorriso. Lui ricambia il gesto, annuisce e lo sento scendere le scale. Vado in camera, afferro la tracolla nera dove v'inserisco il portafogli e il telefono e corro giù per le scale. All'ultimo gradino inciampo e finisco con la faccia dritta sul freddo e asettico marmo; sento un dolore lancinante al naso e, appena poggio le mani sul pavimento per rialzarmi, scivolo nuovamente, a causa qualcosa di liquido. Provo ad aprire gli occhi ma vedo tutto appannato, per colpa delle lacrime che inondano i bulbi oculari.

«Iris!» sento gridare mia madre.

«Mamma, mi fa malissimo il naso e non ci vedo» le dico, in preda all'ansia e il terrore.

«Massimo! Corri di sopra!» urla mia madre e, un istante dopo, sento sollevarmi da terra. Ma, nello stesso istante in cui mi stacco dal suolo, capisco che quelle braccia che ora mi sorreggono, non sono di mio padre: il profumo di Sebastian è inconfondibile per me.

«Ci penso io, Teresa» dice lui, con voce tremolante. Posso sentire il suo cuore palpitare a forte velocità e il vento che accarezza i miei capelli: 'Probabilmente sta correndo.' Il tonfo dei suoi passi si fa sempre più pesante, man mano che scende le scale.

«Ecco, mettila qui» sento dire da mio padre. Lo sportello sbatte, eppure io sono ancora tra le braccia di Sebastian; non accenna a posarmi su nessun sedile anzi; sento che mi distacca per qualche secondo e, il suo corpo, muoversi sotto il mio. Poco dopo mi stringe più forte a lui e dice:

«Non spaventarti, Iris. Farà male, ma è necessario.» In me aleggia un secondo di confusione ma, un istante dopo, capisco a cosa si riferisce: sento una fitta al naso e, al tempo stesso, l'odore di Sebastan che emana il tessuto posato sul punto dolente.

«Potevi dirlo che volevi stare con me, senza romperti il naso» mi sussurra il ragazzo, facendosi scappare una risata che, spontaneamente, viene fuori anche a me.

«Non dovevamo ignorarci fino a stasera?» ribatto, in tono sarcastico. Il sapore metallico del sangue, penetra tra le mie labbra e faccio una smorfia di disgusto.

Il viaggio fino al pronto soccorso mi permette di stare a contatto con quel diavolo che, in quel momento, si sta prendendo cura di me, come se fosse il mio angelo custode. Mi piace la sensazione di essere tra le sue braccia, mi sento protetta. Mi piace il contatto tra la mia ela sua pelle. Mi piace il fatto che lui non abbia esitato a prendersi cura di me. Ma odio il fatto che, come tutte le altre ragazze, io sia ceduta al suo fascino. E non parlo di quello fisico, no. Bensì quello legato al suo fare lo scontroso per poi prendersi cura della persona al suo fianco: 'Sei un maledetto essere di luce e buio, Pumba.'

Mi accoccolo ancor di più al suo petto e, finalmente, riesco a vedere qualcosa, anche se ancora sfocato: alzo lo sguardo verso il mio protettore e, credo di poter affermare, che sul suo volto vi sia una lieve incurvatura verso l'alto: le sue braccia mi stringono ancor di più e le sue labbra si posano per un tempo indefinito sopra la mia testa. Non credo che esista un momento più perfetto di questo, nonostante il naso rotto e gli occhi offuscati.

«Siamo arrivati» contata mio padre, prima di aprire lo sportello. Varchiamo la porta scorrevole del pronto soccorso e, Sebastian, mi porta subito dinnanzi lo sportello del Triage.

«Cos'è successo?» domanda quella che dovrebbe essere una ragazza, dall'altra parte del vetro: non riesco a mettere bene a fuoco l'immagine che ha.

«La ragazza è accidentalmente caduta e credo si sia fratturata il naso» risponde il ragazzo che ancora mi tiene tra le sue braccia: 'Non sarò troppo pesante? Lui non sarà stanco? Forse dovrei scendere' penso.

«Come si chiama?» domanda l'infermiera.

«Iris Iacoangeli» ribatte Sebastian, nonostante mio padre sia qui accanto a noi.

«Quando è nata?»

«Il trentuno dicembre del millenovecentonovantotto» risponde il moro. 'Ricorda la data del mio compleanno' penso, sorpresa e felice al tempo stesso. A ogni domanda che la dottoressa le porge, lui gli risponde e, in poco tempo, finiamo di compilare la scheda.

«Ora vi faccio portare una sedia a rotelle, così la ragazza si può accomodare» dice l'infermiera che, in un istante, riceve risposta da Sebastian:

«Non ce n'è bisogno.» Sento che si sposta e, poco dopo, si siede. La sua mano non ha smesso un attimo di tamponare il mio naso:

«Grazie» gli sussurro, involontariamente, sorprendendo anche me stessa.

«Io mi prenderò sempre cura di te, Iris» risponde lui, baciandomi nuovamente la fronte. Ogni volta che le sue labbra mi sfiorano, sento la pelle bruciare sotto quel tocco. In effetti, nonostante abbiamo provato a rovinarci la vita a vicenda, nel momento del bisogno, Sebastian c'è sempre stato: ricordo quella volta in cui mi sono presa la febbre e lui, dopo un'accurata ricerca su come curarla con rimedi naturali, si presentò a casa mia con una ciotola di brodo. O di quella volta in cui, usando il punteruolo in classe, per fermare il sangue, mi succhiò il dito.

«Non ti capirò mai, Smith. Sei il punto interrogativo più grande della mia vita» sussurro, senza farmi sentire da lui.

Sento squillare un telefono e, poco dopo, Sebastian rispondere:

«Sì, è qui con me. Siamo al pronto soccorso» dice a qualcuno, riferendosi a me, credo.

«Siamo al Sant'Anna» avvisa lui, prima di dire:

«Va bene, vi aspettiamo.»

«Chi era?» gli domando, sistemandomi meglio su di lui.

«Matteo. Mi ha chiamato per sapere dove fossi e ora, lui e Claudia, stanno arrivando» risponde, con una certa freddezza. Poco dopo, l'infermiera fa il mio nome e, Sebastian, mi accompagna fino a dentro, mi poggia delicatamente sul lettino e toglie la stoffa con cui mi tamponava, dal naso.

«Oh cavolo, guarda cosa si è fatta, signorina» dice una ragazza, mentre mi tocca il punto rotto. Poi, guardando Sebastian, gli chiede di uscire.

«No, io resto qui» asserisce lui, con un tono che non lascia altra scelta.

«Non posso farla rimanere, mi dispiace» lo ammonisce la ragazza. Lui la guarda in cagnesco e, solo dopo averle regalato uno sguardo truce, lascia la stanza.

«Ha un ragazzo davvero protettivo» dice lei, facendosi sfuggire una risata. Arrossisco a causa di quell'affermazione e penso a come possa essere avere uno Smith come compagno: 'Sebastian si preoccupa per te solo perché poi non saprebbe a chi dar fastidio' infierisce la mia odiata coscienza.

«Mi dispiace, signorina, ma dovrò farle male» dice l'infermiera prima di afferrare il naso e fare la manovra per rimetterlo apposto. Non riesco a soffocare l'urlo di dolore e, da fuori, posso chiaramente sentire Sebastian urlare:

«Perché cazzo sta urlando? Che le stanno facendo?» Non posso far a meno di sorridere: 'Sebastian Smith, mi stai portando alla pazzia.' Non posso far a meno di essere felice quando si preoccupa per me. Non posso far a meno di avere il cuore pieno di gioia. Non posso far a meno di sentirmi leggera, di avere il respiro affannato e il cuore in gola quando mi dimostra di tenere a me. Non posso fare a meno delle sue parole e dei suoi gesti. Non posso fare a meno di lui e forse, dovrei avere il coraggio di ammettere a me stessa e a lui ciò che il cuore mi dice da tempo: sceglilo.

Dopo un tempo indecifrabile, esco dalla porta del pronto soccorso con in mano il foglio di dimissioni, la maglia insanguinata di Sebastian e il naso coperto da una garza imbevuta di crema contro il gonfiore.

«Mi raccomando, stai più attenta» dice la ragazza bionda, salutandomi con un cenno della mano. La saluto anche io e mi avvio alla sala d'attesa, dove trovo mio padre, Claudia, Matteo, Sebastian e Gabriele. Quest'ultimo si alza in piedi e corre verso di me, abbracciandomi e chiedendomi come sto; d'istinto, rivolgo il mio sguardo verso il ragazzo che mi aveva soccorsa e noto come la sua mascella sia contratta, il petto faccia su e giù velocemente e i pugni, ben tesi, facciano divenire bianche le nocche.

«Sto bene, grazie» risponde, regalando un lieve sorriso a Gabriele.

«Ci hai fatto spaventare!» urla Claudia, saltandomi al collo.

«Ti prego, non sparire mai più. Non potrei sopportare un'altra volta gli scleri della tua amica» dice Matteo, guadagnandosi una risata da parte di tutti.

«Grazie per essere venuti, ragazzi. Mi dispiace di avervi rovinato la serata» dico, dispiaciuta davvero.

«Non dirlo nemmeno per scherzo. L'importante è che ora, tu stia bene» risponde Gabriele, posandomi un bacio sulla fronte.

«Allora, tesoro, vogliamo andare? Penso sia meglio che stasera tu riposi» dice mio papà, incurvando dolcemente le labbra in su. Annuisce, saluto i tre ragazzi con cui sarei dovuta uscire e salgo in macchina con mio padre e Sebastian. Tornata a casa, mia madre mi chiede come sto e mi domanda se ho voglia di mangiare o bere qualcosa.

«No, mamma. Ho solo voglia di andare a dormire» le rispondo, per poi darle un bacio sulla guancia e salire le scale. Una volta in camera, mi accorgo di avere ancora tra le mani la maglia di quel ragazzo; vado in bagno e decido di metterla a lavare, cosicché, nel caso esca pulita, possa restituirgliela.

Torno nella mia stanza, mi spoglio di tutti i vestiti e mi infilo subito sotto le coperte, restando con gli slip e il reggiseno nero. 'Chissà se stasera verrà' penso. Mi giro e rigiro nel letto, non riesco a prendere sonno. Fisso la parete che mi divide da lui e penso che, stasera, resterà oltre quel sottile strato che ci separa. Cerco di chiudere gli occhi ma la sua figura si para davanti: il modo in cui mi ha presa in braccio e stretta a lui, è qualcosa di indescrivibile. Il modo in cui mi bacia i capelli, è così dolce che non sembra neanche provenire da lui.

La porta si apre e i miei occhi anche: non posso far a meno di sorridere e gioire interiormente. Senza voltarmi, scosto le coperte, lasciandogli intravedere la mia schiena nuda; lo sento fermarsi, esitare per qualche istante: poi, un attimo dopo, è disteso vicino a me.

«Perché non hai il pigiama?» mi domanda, quasi a disagio.

«Ho caldo» mento. Essendo l'ultima sera a disposizione per dormire assieme a lui, ho solo voglia di sentire la mia pelle a contatto con la sua.

«Iris, domani torno a casa» mi ricorda lui e un nodo mi stringe la gola, quasi a soffocarmi.

«Lo so» dico, nonostante le parole mi stiano morendo in gola. La sua mano si posa su un mio fianco e, quasi incerto, fascia quest'ultimo con le sue lunghe dita tatuate. Sussulto sotto il suo tocco e Sebastian deve essersene accorto:

«Mi piace il tuo profumo» dice, posando il suo naso nei miei capelli, prima di inspirare profondamente. Deglutisco e chiudo gli occhi: voglio vivermi ogni sensazione che questa situazione può donarmi.

«E la tua pelle» aggiunge, prima di posare le sue labbra umide sulla mia spalla: il mio corpo reagisce di conseguenza, facendomi divenire la pelle d'oca.

«Iris, forse è meglio che tu ti vesta. Oppure sarò costretto ad andarmene» dice lui, a denti stretti. Mi volto e, tra il bagliore dei raggi lunari, posso notare i suoi occhi trasparenti, bramare qualcosa di peccaminoso.

«Non voglio» rispondo, senza abbassare lo sguardo.

«Devi» ordina lui, avvicinandosi al mio viso.

«Perché?» domando, spostando i miei occhi sulle sue labbra carnose.

«Fallo e basta» risponde con tono supplichevole, mentre con le braccia mi attira di più a se: i nostri corpi aderiscono perfettamente, le nostre gambe sono incastrate tra di loro e i nostri sguardi sono fissi sulle reciproche labbra.

«Non farti baciare, Iris. Potrei non smettere più» dice, facendo diventare il mio respiro davvero corto, se non quasi nullo.

«Chi ti dice che voglia che tu smetta?» chiedo, in un momento in cui il cervello non è decisamente collegato alla mia bocca. E, in un istante, quelle labbra che tanto stavo bramando, si posano sulle mie, ma non dolcemente: vogliono la mia bocca come se fosse cibo, vogliono sfamarsi di me, lui vuole saziarsi di me. Non esita a cercare l'accesso e io non temo a darglielo. La sua lingua danza con la mia e i suoi denti rapiscono il mio labbro inferiore, martoriandolo. Le sue mani danzano sulla mia schiena e tra i miei capelli, attirandomi a sé, come se volesse farmi entrare dentro di lui.

Sono sicura che tra poco il mio cuore uscirà dal petto, sfondando la gabbia toracica e andrà in cerca del suo, per ballare la danza della felicità. Mi sento andare a fuoco, ho lo stomaco scombussolato, come se qualcuno ci stesse correndo dentro. Sebastian mi sta baciando: sa di buono, di cattivo, di dolce, di proibito. Sa di bene e male, di dolce e salato, di giusto e illegale. Sebastian è un mix di emozioni contrastanti e simili che ti fotte il cervello per non restituirtelo mai più. Potrei non poterne più fare a meno, potrei aver bisogno di lui più spesso di quanto pensassi fosse possibile. Lo desidero come non si dovrebbe desiderare nulla nella vita.

Un istante dopo, con una mossa decisa, mi ritrovo sotto di lui: il nostro bacio diviene sempre più selvaggio, come se fossimo guidati da un impeto di pazzia. Ci fermiamo, ci guardiamo; entrambi abbiamo il fiato corto, il battito accelerato e siamo accaldati.

«Sebastian, cosa stiamo facendo?» domando, guardandolo da sotto.

«Non lo so, ma non voglio smettere» risponde lui, tornando a posare le sue labbra sulle mie.

'Non so cosa accadrà dopo questa notte ma, comunque vada, posso dire di essere stata veramente felice almeno una volta nella mia vita.'

°Spazio autrice°

Eccomi!!! Allora... Devo ammettere che ero davvero tanto indecisa sul fatto di farli baciare o meno ma... Alla fine la mia testa mi ha detto che fosse giusto così. Questo non vuol dire assolutamente che ora siano una coppia, anche perché sappiamo bene che tra loro nulla è così facile. Volevo chiedervi una cosa... Vi piacerebbe leggere un capitolo dal punto di vista di Sebastian? 

Se il capitolo vi è piaciuto, lasciate un commento e una stellina ⭐

~A presto~

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