Camere separate!

Iris

Questa notte non sono riuscita a chiudere occhio. L'irriverenza di quel ragazzo mi ha del tutto destabilizzata, quasi quanto il mio comportamento del tutto differente da quello assunto negli ultimi anni: non so cosa mi sia preso, non so cosa mi abbia dato la forza di scansare la rabbia che provavo nei suoi confronti per non essersi preoccupato, non so cosa mi abbia dato la spinta di abbracciarlo appena l'ho visto. E non mi spiego come abbia fatto a chiedergli di restare. Forse, perché mi era mancato. Sì, Sebastian mi era decisamente mancato. Mi erano mancati i suoi sguardi freddi di giorno e il suo essere, in un certo senso, dolce di notte. La notte che usava per spogliarsi del suo scudo e farmi sentire il battito del suo cuore, a tempo con il mio. Ma la sua richiesta non mi è andata per nulla bene: non capirò mai quello che passa per la sua testa. 'Come ha potuto pretendere che scegliessi? Ho sempre avuto una cotta per Gabriele, mentre con lui è tutto nuovo. Non posso lasciare che questo attimo di follia, oscuri del tutto la razionalità. Non posso scegliere, non posso dire a Gabriele che deve lasciarmi stare, anche perché non è ciò che voglio.'

Ho paura di perdere una persona che è sempre presente, che mi fa sentire apprezzata, che non mi abbandona e torna quando vuole lei. Una persona con cui mi sento a mio agio, con cui non ho paura di parlare, dalla quale non devo nascondere i miei pensieri o le mie stranezze per il terrore di essere attaccata, distrutta, uccisa. In questi giorni che non sono potuta uscire, Gabriele mi è venuto spesso a trovare, assieme a Claudia e Matteo. La mia migliore amica mi ha portato i compiti, ogni giorno e, furbamente, mi lasciava sempre da sola, nella mia stanza, in compagnia di suo fratello, stando attenta che mia madre non se ne accorgesse.

«Tesoro, buongiorno» saluta Teresa, entrando nella stanza. Accende la luce che, subito, mi fa lacrimare gli occhi.

«Buongiorno, mamma» ricambio a mia volta.

«Allora, oggi cosa vogliamo fare?» domanda, sedendosi di fianco a me. Poi, il suo sguardo indagatore, analizza nei minimi dettagli il mio volto:

«Per caso non hai dormito?» Arrossisco: non posso di certo dirle che non ho chiuso occhio a causa di Sebastian, ma faccio davvero schifo a mentire.

«Non avevo molto sonno» rispondo ma, uno sbadiglio, mi tradisce.

«Iris, dimmi la verità, che ti succede?» chiede mia madre, con tono preoccupato. Già so a cosa sta pensando e, per un certo verso, mi sta anche bene: di sicuro ha notato anche lei che il mio peso è diminuito. Lo si evince, soprattutto, dalle ossa dello sterno in rilievo. So che ha paura che torni a vomitare ma, il peso, in questo momento, è l'ultimo dei miei problemi. Se solo sapesse che a occupare i miei pensieri fosse Sebastian, se solo sapesse che è lui la causa di queste occhiaie, se solo sapesse che è lui la causa della mia malattia, probabilmente interromperebbe tutti i contatti con gli Smith e, questo, non voglio che accada.

«Nulla, mamma. Davvero» rispondo, abbozzando un falso sorriso. Non capirebbe, nessuno capirebbe, nemmeno io riesco ancora a capire. Non riesco a capacitarmi di come sia riuscita a reprimere i miei sentimenti per tutto questo tempo, fino a farli esplodere tutti insieme, come un contenitore pieno di emozioni, che non ha resistito più alla pressione di essi.

«Va bene» dice, senza indagare oltre: deve aver capito che non ho intenzione di spiccicare nemmeno una parola al riguardo. Si alza ed esce dalla camera, lasciandomi sola. Prendo il telefono e noto il messaggio del buongiorno, da parte di Gabriele:

-Buongiorno piccola, come ti senti oggi?- Sorrido: mi piace quando mi chiama così e adoro il fatto che abbia sempre un pensiero per me. Gli rispondo e blocco il telefono, non prima di scorrere tra i contatti e leggere il nome affibiatogli: 'Pumba.' Sorrido, ma non per la gioia, no. Questo è un sorriso malinconico, di quelli che ti si stampano in volto quando neanche tu vuoi crollare: ma ora basta pensare a lui, ora basta pensare a quello che è successo, è ora di alzarsi e rimediare alla montagna di compiti che ho accuratamente evitato per tutta la settimana. Inizio da Italiano, la materia che più mi piace: il professore ci ha assegnato come compito la lettura di un estratto di 'Grandi speranze' di Charles Dickens e farvi una relazione al riguardo. Mi trovo avvantaggiata in quanto ho letto tutto il libro e devo dire che, in un certo senso, i protagonisti mi ricordano me e Sebastian: io, ovviamente, mi ritrovo nei panni di Pip, mentre Sebastian altri non è che Estella. Sì, perché lui è oggetto di desiderio di molte, ma non si innamora mai delle sue vittime.

A interrompere i miei pensieri, sono due colpi decisi sulla porta; sobbalzo e rispondo:

«Avanti.» Quando il rettangolo bianco si apre, riconosco subito quegli occhi che, ogni volta, mi rapiscono: Gabriele.

«Ehi!» mi lascio sfuggire un gridolino. Noto che chiude subito la porta e, di conseguenza, gli domando:

«Claudia?»

«Ti dispiace che sia solo?» chiede, prendendosi evidentemente gioco di me. Gli sorrido e rispondo:

«Assolutamente no» e, avvicinandomi a lui, lo abbraccio, per poi lasciargli un bacio sulla guancia.

«Tieni. Immagino che ti siano mancati i cornetti che ti portava mia sorella» dice, allungando il sacchetto bianco dinnanzi al mio volto. Lo guardo come si guarda un piatto di carbonara dopo mesi di dieta: lo afferro, apro l'involucro e dentro trovo il mio amato cornetto con la marmellata di albicocche. Lo tiro fuori e lascio un grande morso, tirando via tutto il corno:

«Credo che sia la cosa più buona che abbia mangiato negli ultimi giorni» dico, ancora a bocca piena. Gabriele mi guarda e ride e, rossa involto, capisco che dovrei prima deglutire.

«Scusa» dico, una volta ingoiato il boccone.

«Di nulla. Mi piaci così come sei» dice lui, prendendomi per mano, per poi sedersi sulla sedia e farmi sedere sopra le sue gambe: anche se non stiamo ufficialmente insieme, io e Gabriele ci comportiamo come due fidanzati, o quasi. Non ci siamo ancora baciati: viste le mie condizioni, non ci ha provato nemmeno una volta, anche se non nascondeva la voglia di volerlo fare. E, nonostante sapessi che il mio naso rotto non fosse un problema, non volevo che il nostro primo bacio fosse in camera mia. No, perché il ricordo di queste quattro mura non può essere legato a due persone.

«Allora, stasera puoi uscire?» mi domanda. Mi acciglio pensando alla promessa che ho fatto a mia madre il giorno prima:

«Purtroppo ho promesso a mia madre di passare la serata con lei» rispondo, assumendo un'espressione triste. Le sue dita affusolate si posano sul mio mento e i suoi occhi blu, intrappolano i miei:

«Non devi preoccuparti, possiamo vederci domani se sei libera.» Gabriele mi tranquillizza, mi fa stare bene, mi capisce, mi appoggia e non mi ferisce. Con il capo faccio un segno positivo e poi, girandomi verso la scrivania, mi deprimo: allungo il braccio verso i libri e li indico, senza proferir parola.

«Devi studiare tutte quelle cose?» mi domanda, sgranando gli occhi.

«Sì...» esito, con un filo di voce, mentre mordo nervosamente il bordo della manica del pigiama a forma di fenicottero che indosso.

«Immagino che tu non li abbia fatti per tutta la settimana» mi canzona, lasciandosi scappare una risatina.

«Esattamente» asserisco, mettendo il broncio. Lui mi guarda, prende una ciocca liberatasi dalla coda alta, me la porta dietro l'orecchio sfiorandomi la pelle: un brivido mi attraversa.

«Se vuoi, posso aiutarti» dice, rivolgendomi un sorriso dolce. In risposta, lo abbraccio e gli do un bacio sul naso: lui resta immobile, sorpreso da quel gesto. I nostri sguardi s'incastrano e i respiri si mischiano: mi guarda, posa la mano sul mio ginocchio e una sulla guancia che, dolcemente, mi accarezza.

«Sei bellissima» dice e, in un attimo, le sue labbra sono sul punto che prima accarezzava: lo ringrazio mentalmente per non aver legato il ricordo del nostro primo bacio, nel posto stesso in cui ho legato quello di Sebastian.

«Anche tu» rispondo, onestamente.

«Allora mettiamoci a lavoro» dice. Con la sedia ci avviciniamo alla scrivania e passiamo la mattinata a fare i compiti, a ridere e a scherzare, con me in braccio a lui e la sua mano ferma sulla mia.

«Iris, si ferma a pranzo qui, Gabriele?» urla dal fondo delle scale mia madre. Lo guardo e lui ha un'espressione come a dire scegli tu. Io annuisco e rispondo in positivo a mia madre.

«Il primo pranzo con la mia, spero, futura suocera» dice lui, cogliendomi di sorpresa: arrossisco e gli regalo un piccolo pugno con il quale, lui, mette in scena una tragica fine. Non posso far a meno di ridere. Continuiamo lo studio finché mia madre non ci dice che è pronto. Scendiamo le scale e ci sediamo a tavola.

«Allora, caro. Come procede l'università?» inizia la conversazione mia madre.

«Bene, signora. Devo dire che sono rimasto piacevolmente sorpreso dal corpo docenti e dal loro insegnamento esaustivo» risponde il ragazzo di fianco a me. A volte dimentico che abbiamo tre anni di differenza: 'Cavolo! Tra poco è il suo compleanno!'

«Sono lieta di sentirtelo dire. Anche io ho frequentato la tua stessa università. Hai già in mente in cosa specializzarti?» domanda la donna che mi ha messa al mondo.

«Voglio diventare ematologo» risponde lui, serrando la mascella. Mia madre smette di colpo di mangiare e io non posso far a meno che rattristarmi: so benissimo a cosa sia dovuta la sua scelta. Poso una mano sulla sua, sotto il tavolo, come a dargli forza; lui si volta e gli rivolgo un debole sorriso che, fortunatamente ricambia. La sua mano ora stringe la mia, quasi con forza, ma non abbastanza per farmi male.

«Mi, mi dispiace» dice mia madre, interrompendo il silenzio.

«Di nulla, si figuri» risponde lui, con la solita educazione che lo contraddistingue: non deve essere facile far finta che quel fratello non sia mai esistito. Ricordo ancora quando Claudia me ne parlò perla prima volta: la sorpresi a piangere in bagno e, non capendone il motivo, gli domandai cosa fosse successo. Ci vollero parecchi minuti prima di ricevere una risposta: mi disse che aveva un fratello più piccolo di lei e che, a causa della leucemia, morì all'età di sette anni. Io rimasi davvero scossa da quella notizia e le stetti accanto tutto il giorno. Non potevo immaginare cosa volesse dire perdere un caro, tanto meno perderne due. Quella famiglia aveva passato davvero anni bui negli ultimi tempi ma, anche se inaspettatamente, erano riusciti a non crollare, a darsi sostegno l'uno con l'altro, ad andare avanti.

Il resto del pranzo continuò parlando del più e del meno finché, Gabriele, non tirò fuori il viaggio a New York.

«Signora, volevo chiederle se lei e suo marito avete deciso per quanto riguarda il viaggio a New York» dice, in tono autoritario, senza far trasparire nessuna ansia al riguardo. Probabilmente è calmo perché non conosce mia madre.

«Ci sarai anche tu?» domanda la donna dinnanzi a lui. Gabriele annuisce e non accenna a distaccare lo sguardo da Teresa.

«Cosa c'è tra voi due?» continua lei; sgrano gli occhi e un pezzo di carne mi va di traverso; il ragazzo al mio fianco, non si scompone e, deciso, le risponde:

«Io e sua figlia ci stiamo frequentando. Le voglio bene e, se la sua preoccupazione sono io, posso rassicurarla che mi prenderò cura di Iris proprio come farebbe lei.» Questa risposta mi spiazza e, a quanto pare, causa lo stesso effetto a mia madre. Dopo un primo momento di mancata connessione con il cervello, sul viso della donna si forma un sorriso e, successivamente, dalla sua bocca, esce una risposta inaspettata:

«Va bene. Ma se le accade qualcosa, ne sarai responsabile. Ah, e stanze separate!»

«Ovviamene, signora» ribatte Gabriele, finendo l'ultimo pezzo della cotoletta panata.

Finiamo di mangiare, aiuto mia madre a sparecchiare la tavola assieme a Gabriele e, con quest'ultimo, torniamo in camera mia a studiare. Prendo il telefono e scrivo a Claudia che i miei hanno accettato a mandarmi a New York.

«Devi darmi i tuoi documenti, cosicché possa prenderti il biglietto aereo. Ovviamente, essendo minorenne, i tuoi dovranno firmare alcuni fogli» dice il ragazzo, su cui sono seduta. Annuisco, gli sorriso e, timidamente, lo ringrazio.

«Non devi ringraziarmi, non sai quanto sono felice che venga anche tu» dice lui, regalandomi il tocco delle sue labbra sul dorso della mia mano. Restiamo insieme fino a tardo pomeriggio e, quando arriva l'ora di salutarlo, una parte di me diventa triste: non voglio che se ne vada, non voglio salutarlo e sentirlo tramite uno stupido telefono. L'accompagno fin sotto casa e, appena usciamo in strada, il dolce e caro fato, fa sì che incontriamo Sebastian: è lì, davanti a noi,con in mano il borsone di ieri sera, mentre ci guarda.

«Grazie per la bella giornata, a domani» saluto Gabriele, snobbando lo sguardo truce dell'altro ragazzo.

«Grazie a te, piccola» risponde lui. Sento un finto conato di vomito provenire dalla parte di Pumba, rovinando il dolce momento. Il fratello della mia migliore amica lo fulmina con lo sguardo e, quest'ultimo, rivolgendosi di nuovo verso me, mi da un bacio sulla guancia.

«Nemmeno all'asilo» sento dire a Sebastian: 'No, questo è davvero troppo! Vuoi la guerra, e guerra sia.' Prendo il viso di Gabriele tra le manie gli stampo un casto bacio sulle sue morbide labbra: non lo avevo di certo immaginato così il nostro primo contatto, eppure è forse meglio di tutte le volte che l'ho sognato. Sento uno strano brusio nello stomaco, il sorriso che si allarga sul mio viso: non è un bacio passionale, ma uno di quelli casti, dolci e che ti fanno stare bene. Appena mi stacco, arrossisco e noto la sua espressione sorpresa.

«A domani» dico, prima di entrare in casa, senza preoccuparmi se lo stronzo ci fosse ancora oppure no.

«Allora, amore, sei pronta per la nostra serata?» chiede mia madre, irrompendo nella sala con due enormi ciotole traboccanti di pop corn.

«Che film guardiamo?» domando, accomodandomi sul divano a elle.

«Orgoglio e pregiudizio. Lo adoro» risponde mia madre, sedendosi di fianco a me. Prendo una delle due ciotole e noto con grande entusiasmo che non sono semplici popcorn, ma bensì son quelli al caramello, i miei preferiti. Sorrido e, in silenzio, mi accoccolo a mia madre, prima che inizi il film.

Durante il film, non posso fare a meno di pensare alla mia situazione: mi immedesimo il Lizzy più di quanto dovrei e, ahimè, Darcy mi riporta alla mente Sebastian: lei che lo odia, lui che le chiede la mano e lei lo rifiuta. Proprio come io ho rifiutato Sebastian meno di ventiquattr'ore fa. 'E che il nostro finale sia lo stesso del film?Un amore tormentato, ma trionfante? No, questo non è un film, questo non è un libro. Questa è la realtà.'

«Mi piace quel ragazzo. Sembra apposto» dice mia madre, cogliendomi di sorpresa.

«Sì, mamma. Gabriele è davvero un bravo ragazzo» le dico, sorridendole.

«Mi raccomando però, stai attenta» asserisce lei, prima di alzarsi dal divano, baciarmi la fronte e darmi la buona notte. La saluto a mia volta e torno in camera mia: mi affaccio alla finestra, prendo una boccata d'aria e mi metto a letto. È ora di spegnere il cervello e riposare, è ora di spegnere il cervello e non pensare. È ora dimettere da parte i dubbi e fare chiarezza dentro di me, anche se la risposta già c'è.

°Spazio autrice°

Ecco che torniamo a vedere le cose dal punto di vista di Iris. So perfettamente che mi state odiando in questo momento, ma date una piccola chance a Gabriele, please 🙏

Cosa ne pensate del capitolo? Vi è piaciuto? Fatemelo sapere tramite un commento e una stellina⭐

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~A presto~

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