La festa (Parte uno)
Una risata isterica esce dalle mie labbra:
«Smettila di prendermi in giro» dico, alzandomi dal mio posto e scavalcandolo.
«Iris, non sto mentendo» afferma, contraendo la mascella. Ma com'è possibile che non mi sia resa conto di una cosa simile?
«No, non è possibile. Io ho promesso eterno amore ai fenicotteri. Non potrei mai tradirli» dico, cercando di smorzare questa situazione divenuta troppo pesante.
«Iris, non stai dicendo sul serio» dice lui, guardandomi confuso e sbalordito.
«Oh sì! Cioè... Se ti avessi detto una cosa così importante, me lo ricorderei» asserisco, morendomi nervosamente le unghie: ho detto ti amo a Sebastian e non me lo ricordo. Sono pessima, davvero estremamente pessima.
«Forse eri sovrappensiero» asserisce lui, notando il mio disagio. Alzo lo sguardo verso lui con gli occhi oramai lucidi: blocco il labbro inferiore tra i denti, cercando di non piangere. Con voce tremolante, le spalle basse e le braccia lungo i fianchi, gli domando:
«Sei proprio sicuro?» Vedo che non sa come comportarsi, vedo che vorrebbe mentirmi, che vorrebbe consolarmi ma Sebastian non è in grado di dire bugie. La prima cosa che fa è quella di prendermi la mano e tirarmi a sé:
«Mi dispiace che ci sei rimasta male... Non dovresti. È una cosa bella amare» mi sussurra prima di posare le sue labbra dietro l'orecchio. Chiudo gli occhi e il suo tocco mi rilassa, lasciando uscire l'aria che avevo trattenuto senza neanche accorgermene. Poi, la sua ultima frase, fa scattare una domanda nella mia mente e non solo:
«Tu sai cosa vuol dire amare?» Lui mi guarda con occhi sgranati senza rispondere. Sento il campanello dell'autobus suonare, mi volto e noto che siamo arrivati: forse è meglio rimandare la discussione. Mi alzo e, di seguito, Sebastian fa lo stesso; siamo uno di fianco all'altro, senza guardarci, senza parlare. Una stupida frase che avrebbe dovuto segnare uno dei momenti più belli della mia vita, non ha fatto altro che creare un enorme disagio. Dondolo sul posto, aspettando freneticamente che le porte si aprano e il freddo pungente mi restituisca quella frescura persa in questa scatola chiusa. Mi sento soffocare qui dentro, nonostante i finestrini aperti e lo spazio di cui godo. Poi, il suo tocco, nuovamente, mi fa sciogliere e tornare a respirare regolarmente. Le sue dita s'intersecano tra le mie in una piacevole naturalezza. Sorrido e posso scommettere che lui stia facendo lo stesso:
«Grazie» sussurro con tono decisamente troppo flebile perché lui possa sentirmi. Le porte si spalancano e scendiamo, insieme, mano nella mano. Percorriamo il breve tratto di strada che ci divide dall'entrata dei Sedici Pini e, dinnanzi a noi, le grandi porte di vetro si spalancano, facendoci immergere in un posto asettico: delle mattonelle bianche ricoprono il suolo, mentre le pareti, all'origine dello stesso colore, ora risultano meno luminose a causa del colorito grigiastro e delle decine di locandine appese. Tiro Sebastian nella direzione prescelta e decido di spostarmi verso sinistra, dove vi è un negozio di occhiali: Claudia ha sempre amato il modello di Gucci e quale occasione migliore per regalarglielo? Attraversiamo il corridoio, ammirando le grandi vetrate trasparenti che lasciano intravedere ciò che c'è all'interno del negozio. Punto all'obbiettivo ma, improvvisamente, qualcosa mi ferma: mi volto e trovo Sebastian fermo dinnanzi il negozio di Calzedonia. Lo guardo e noto il suo solito sorriso malizioso: capisco subito che deve aver visto qualcosa e l'idea non mi alletta minimamente.
«Siamo qui per Claudia, non per soddisfare chissà quale tua idea perversa, Smith» dico categorica, cercando di smuoverlo. Nulla. Resta lì, fermo.
«Potremmo regalarle un bel completino sexy. Così anche il mio caro amico Matteo ne sarà felice» ammicca, prima di aggiungere:
«E poi potremmo vedere anche qualcosa per noi.» Mi tira a sé, regalandomi un occhiolino, mentre le sue braccia mi avvolgono la vita:
«Non ce la posso fare, non oggi. Sono intollerante alla tua perversione» dico ridendo, cercando di sfuggire alla presa.
«Non puoi esserlo, ti piace» dice con voce roca e sensuale: mi sta provocando? Qui? Ora?
«Smith, dobbiamo pensare al regalo, perciò placa i tuoi ormoni. A loro ci penseremo dopo, forse» ammetto, riuscendo a convincerlo a seguirmi. Finalmente arriviamo al negozio e, appena entro, un ragazzo moro, alquanto giovane, si avvicina e, guardandomi, mi domanda:
«Serve aiuto?» Noto che è ben vestito e ha un sorriso stampato in volto: non deve aver a che fare con molti clienti se la mia entrata lo ha reso così entusiasta.
«Sì, dovremmo fare un regalo di compleanno» dico. Sento il braccio di Sebastian circondarmi le spalle e ho quasi paura ad alzare lo sguardo: so bene che sta marcando il territorio e so bene che è uno psicopatico. Chi si preoccuperebbe che un ragazzo potesse provarci con me in queste condizioni? Se mi fossi lavata, pettinata e vestita al buio, probabilmente, il risultato sarebbe stato di gran lunga migliore. Eppure, Sebastian psicopatico bipolare territoriale Smith, si preoccupa. Pian piano rivolgo gli occhi verso l'alto e noto subito la sua espressione da 'le mie cose non si toccano o sei morto'. Mascella contratta, petto in fuori, occhi serrati.
«Sì, avevate già qualcosa in mente?» domanda il ragazzo con gli occhiali, sempre in modo gentile. La presa sulla mia spalla si fa più forte e capisco che questa conversazione con lo sconosciuto deve avere vita breve. Mi dileguo dalla presa del Pumba inferocito e mi dirigo verso gli occhiali che Claudia mi aveva mostrato solo qualche tempo prima: ricordo che dopo averli indossati aveva iniziato a fingersi una qualche vip e a scattarsi foto sotto lo sguardo divertito della commessa che v'era al posto di costui. Indico il modello e il commesso dice:
«Bella scelta, complimenti» rivolgendomi un sorriso smagliante. Ricambio nervosamente e, con passo lungo e deciso, mi dirigo verso la cassa e faccio per estrarre il portafogli.
«Può farmi un pacchetto regalo, per favore?» domando.
«Certo» dice lui, iniziando a impacchettare gli occhiali con molta cura. La scatolina nera viene adagiata nella busta rigida blu e un fiocco bianco chiude quest'ultima.
«Sono duecentodieci euro, grazie» dice il commesso, battendo lo scontrino. Apro il rettangolo e tiro fuori il bancomat ma, prima che possa anche solo rialzare la testa, Sebastian mi prende per mano e mi trascina fuori il negozio con il regalo in mano.
«Ma che problemi hai?» domando, strattonando il mio braccio cosicché da liberarmi dalla sua presa.
«Sai che non tollero le persone» dice serioso, guardandomi col suo solito sguardo cinico.
«Allora non dovresti tollerare nemmeno me» dico, incrociando le braccia e sbuffando. Corruccio le sopracciglia e, nonostante in questo momento mi senta una bambina, non mollo la presa. Lui, al contrario, mi regala un sorriso prima di dire:
«Tu sei un fenicottero, non fai testo.» Si avvicina e mi circonda le spalle e io non posso far a meno che sciogliermi e seguire la sua risata.
«Non riesco mai a restare arrabbiata con te, Sebastian» ammetto, con una lieve vena di paura nel tono, guardando a terra. Lui sa farmi star tranquilla e ridere ma, al tempo stesso, sa farmi provare paura. So bene di piacergli, so che ci tiene a me e so che, in qualche strano modo, mi vuole bene: eppure ho il terrore costante che tutto questo possa finire, che tutto ciò sia solo un bel sogno dal quale tra poco mi sveglierò. E so per certo che quando succederà crollerò come il vetro in frantumi.
«Anche io non ci riesco» dice lui, riportandomi alla realtà. Lo guardo per qualche secondo e ci metto un po' a ricollegare la sua risposta a qualcosa: neanche lui riesce a essere arrabbiato con me. Gli sorrido, mi metto in punta di piedi e lo bacio.
«Sebastian e Iris?» sento domandare. Entrambi ci voltiamo e, dinnanzi a noi, troviamo una Miriam decisamente scioccata da ciò che ha appena visto.
«Cosa vuoi?» domanda Sebastian, con fare cinico. Lo guardo e ricordo tutte le volte che ha avuto questo comportamento con me: non è per nulla piacevole e non vorrei essere nei panni di questa povera malcapitata. Ma il ghigno che Miriam mostra mi fa pensare che non sarà vittima della cattiveria del ragazzo al mio fianco.
«Nulla. Ci vediamo lunedì a scuola» dice, con un tono cupo alquanto inquietante. Fa per sorpassarci ma, quando è all'altezza di Sebastian, sussurra:
«Ti saluto Greta» e gli rivolge un occhiolino. La guardo basita e non capisco il perché di tale comportamento e frase. Guardo il mio ragazzo serrare gli occhi e indurire la mascella: è evidentemente nervoso e voglio capirne il motivo.
«Cosa succede?» gli domando e, senza neanche guardarmi, risponde:
«Niente, Iris.» Sussulto alla freddezza che è calata in lui ma, conoscendolo abbastanza, so che insistendo non farei altro che farlo chiudere a riccio. Decido così di tenerlo per mano senza però parlare.
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«Iris, Sebastian è qui!» urla mia madre dal piano di sotto. Dopo l'incontro con Miriam, siamo tornati a casa, mi ha accompagnata e mi ha salutata con un veloce bacio sulle labbra. Nessun messaggio, nessuna chiamata. Non capisco il perché di quella reazione: e se mi avesse tradita con lei? No, non è possibile, dai. Cerco di scacciare questo pensiero dalla mente mentre infilo i tacchi neri presi da mia madre. Prendo un rossetto color mogano dal beauty case, mi sporgo in avanti e delineo le labbra con il pennello impregnato di colore.
«Dove credi di andare così?» sento domandare. Mi volto e trovo il mio ragazzo poggiato sullo stipite della porta: indossa una magnifica camicia color carta da zucchero e dei pantaloni neri attillati, abbinati con delle polacchine del medesimo colore. I capelli ben sistemati all'indietro gli convalidano un'aria elegante e dannatamente sexy.
«Al compleanno della mia migliore amica» rispondo, una volta tornata lucida. Mi rialzo e aggiusto il tubino nero con scollo a barca: dietro una lunga cerniera attraversa la stoffa da cima a fondo. Le calze color carne ricoprono le gambe nella speranza di non patire troppo il freddo. Sento due mani stringermi i fianchi: il suo naso si insinua tra i capelli sciolti fino ad arrivare all'altezza del mio orecchio. Il suo bacino si scontra con i miei glutei e io non posso far altro che inspirare profondamente e cercare di resistere a questo mostro di seduzione. Le sue mani viaggiano sul ventre mentre le sue labbra si poggiano sull'orecchio prima di schiudersi e farmi sentire il tocco della lingua calda che scivola verso l'incavo del collo.
«Non puoi venire vestita così» dice con voce roca e sensuale.
«P- perché? balbetto.» Con un colpo secco mi attira a sé e capisco subito il motivo della sua richiesta.
«Sebastian... » riesco a malapena a pronunciare: sono completamente rapita dall'eccitazione e dalla scarica sessuale che entrambi emaniamo. Probabilmente, se non ci fossero i miei genitori in casa, si sarebbe ripetuto ciò che è accaduto a casa sua.
«Iris, cambiati o stasera impazzisco» dice lui. Sento il suo desiderio, il suo essere vulnerabile e un lampo mi attraversa la mente: stasera lo provocherò come mai prima d'ora.
«Mi dispiace ma è tardi, dobbiamo andare» dico, prima di voltarmi e schioccargli un bacio sulle labbra. Afferro la pochette, il regalo ed esco dalla mia stanza, lasciandolo lì, probabilmente a imprecare per il mio comportamento.
«Mamma, papà, noi andiamo» dico, trovandoli sdraiati sul divano a guardare un film.
«Va bene tesoro, state attenti» dice mia madre. Sebastian mi raggiunge e finalmente scendiamo le scale. Davanti al cancello c'è il signor Smith che ci aspetta con la macchina già accesa.
«Buonasera» saluto, prendendo posto sul sedile posteriore.
«Ciao, Iris» ricambia lui, regalandomi un sorriso. Appena anche Pumba ha preso il suo posto, James parte e si dirige verso il Goa. Guardo fuori dal finestrino e noto quante macchine scorrono al mio fianco: chissà dove sono diretti. Qualcuno starà andando a ballare proprio come noi, qualcuno starà tornando a casa da una faticosa giornata di lavoro e altri, magari, vi si staranno dirigendo in questo momento, per fare la notte. A interrompere i miei pensieri ci pensa il telefono che inizia a squillare: Matteo.
«Pronto?»
«Iris, dove siete?» domanda lui dall' altra parte.
«Siamo in macchina, che succede?»
«Claudia vuole tornare a casa. Siamo stati a cena fuori ma non vuole saperne di uscire» dice. Prevedibile.
«Non preoccuparti, ci penso io» dico, cercando di rassicurarlo.
«Grazie, Iris, ti devo un favore.» Chiudo la chiamata e penso a come convincerla: non basterebbe chiederle incessantemente di uscire e neanche gli occhi dolce la convincerebbero. Solo qualcosa di estremo, qualcosa per la quale non può davvero tirarsi indietro la convincerebbe a venire proprio lì. Un'idea mi balena per la testa: apro la chat di Claudia e digito subito il messaggio. Blocco lo schermo e aspetto che mi risponda: come previsto, pochi istanti dopo mi risponde:
-Dove sei? Ti vengo a prendere.- Sorrido nel leggere quelle parole e penso a quanto sia stato facile convincerla, nonostante abbia dovuto usare una bugia riguardante la mia malattia per convincerla.
Finalmente arriviamo al Goa e James ci fa scendere proprio davanti l'entrata dove trovo i miei compagni di classe: un fischio da parte di uno dei ragazzi cattura la mia attenzione; mi volto e vedo come Simone mi guarda.
«A Iacoangeli, e quel culo dove l'avevi nascosto?» domanda. Un attimo dopo scende anche Sebastian dalla macchina e il mio compagno improvvisamente diventa più bianco di un lenzuolo.
«Dicevi?» gli chiede il mio ragazzo, a muso duro. Sono davvero vicini e subito mi frappongo tra loro, evitando qualsiasi tipo di litigio.
«S-scusa» balbetta Simone, prima di voltarsi verso gli altri. Controllo chi c'è e, con piacere, noto che sono venuti quasi tutti, tutti a parte la secchiona della classe e Maria, che lavora.
-Stiamo arrivando. Entrate: privè a nome Matteo, ventitré persone- scrive Matteo. Richiamo tutti, li faccio avvicinare e li conto: siamo in diciotto. Mi avvicino al bodyguard che tiene la lista in mano e gli dico:
«Buona sera, lista Matteo, ventitré persone. Noi siamo diciotto» Il tizio alto, rasato con un tatuaggio sotto l'occhio destro mi guarda, posa gli occhi sulla lista e dice:
«Prego, in fondo a destra. C'è già un ragazzo che vi sta aspettando.» Lo guardo confusa mentre mette uno a uno il braccialetto fosforescente e faccio come mi dice: seguita dagli altri mi avvio verso il privè. Mi faccio strada tra la gente intenta a ballare al centro della pista e, tra uno spintone e l'altro, finalmente arriviamo alla meta. Seduto sul divanetto noto una figura che non riesco a mettere ben a fuoco: le luci stroboscopiche e la sua postura inclinata in avanti non mi permettono di riconoscerlo subito. Facciamo vedere i braccialetti al ragazzo che si occupa di far entrare le persone sul palchetto riservato e costui ci apre, permettendoci l'ingresso. Mi avvicino alla figura e, prima che si volti, lo riconosco subito: ho un sussulto, la gola si secca e non posso far a meno che prevedere guai.
«Iris» dice, venendomi in contro. I miei occhi guizzano subito a cercare Sebastian e lo vedo già carico di rabbia che si dirige verso di noi. Che sia un incubo?
°Spazio autrice°
Ciao a tutti! Chiedo scusa per la lunga assenza ma non è esattamente un periodo roseo. Voi come state? Spero tutto bene.
Spero anche di essermi fatta perdonare con questo capitolo e vi prometto di non farvi aspettare così tanto per il prossimo capitolo. Se vi è piaciuto, lasciate un commento e una stellina⭐
~A presto~
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