Farfalla
Prologo
Una piccola farfalla bianca sbatté le sue ali.
Ella volava.
Volteggiava attraverso l'azzurro per poi confondersi con le nuvole, sparire per un istante e, in quello dopo, riapparire spingendo le sue alette sempre più in là. Voleva scoprire ogni cosa, voleva vedere tutto.
Il verde del prato che la risaltava.
Il giallo del fiore, in cui era consona sostare, che si lasciava impreziosire dalla sua presenza: eleganza, grazia, delicatezza.
Eppure, ella prima era una larva, strisciava sul suolo e nessuno notava la sua presenza; non il fiore, non il prato, non il cielo.
Niente la risaltava, mentre lenta si trascinava, invisibile.
Quando la larva osservava il mondo, pieno di una vastità di incantevoli colori che lo colmavano di splendore,
si sentiva una minuscola sostanza di quel tutto.
Quando ella volgeva lo sguardo in alto, ammirava un cielo così azzurro, avvertiva la sua quiete e la sua felicità.
"Come deve essere bello" , pensava, "essere al centro di tutto, ammirato, contemplato, apprezzato... Sempre".
Quando la larva si confrontava con ciò che la circondava, provando a sentirsi parte di esso, sapeva di non essere così tanto rilevante.
Lo sapeva.
Lo sentiva.
Chinò il capo e attese.
Attese che il tempo scorresse, perché sapeva che un giorno sarebbe toccato a lei essere quella creatura che tutti ammirano.
Non sapeva quando.
Attendeva.
Intanto i giorni divenivano notti. Le notti divenivano giorni.
La piccola larva aspettava.
Era sola.
Ripudiata.
Sapeva bene di non essere tanto bella, né tanto meno utile.
Triste, scelse di costruire un bozzolo attorno a sé.
"Non voglio più fare parte di questo creato".
Nascose la sua esistenza nel buio. Decise di vivere entro un piccolo spazio vitale.
"Non darò fastidio a nessuno.
Starò qui, chiusa, sola, io e il mio dolore".
Tuttavia, la larva non sapeva che se non fosse uscita dal bozzolo, non sarebbe potuta mai diventare farfalla.
Non sapeva che lo strisciare per terra sarebbe divenuto un brutto ricordo legato al passato.
Non sapeva che avrebbe avuto due ali per librarsi in alto, tra quella volta celeste che tanto ammirava.
Una notte di tempesta, l'acqua cadde come pianto ininterrotto e i tuoni nascosero il frastuono della sofferenza,e il bozzolo si ruppe.
La piccola larva, svegliata da un raggio di luce, si sentì portare via quella sensazione di umido che aveva addosso per via di tutte quella gocce che si erano riversate su di sé, chissà da quanto tempo.
Non le importava più.
Perché da quel momento in poi non visse più di tempo, ma di attimi.
Attimi in cui sentirsi finalmente parte del mondo.
Quella bellezza non venne dal suo nuovo aspetto, la natura le aveva donato due meravigliose ali bianche come nuovo abito; lei fu bella perché finalmente volteggiava libera dalla tristezza e fu finalmente parte di tutto ciò che aveva sempre ritenuto migliore di sé.
La farfalla si scordò di essere stata larva fino a poco tempo prima.
Volò, spingendo le sue piccole ali in avanti.
Chissà poi per quanto.
Forse il tempo che la luce di quella mattina, in cui abbandonò il suo aspetto primordiale, si tramutasse in buio.
Fu allora che, stanca, si posò sul dito della mia mano che stava immobile poggiata sul muretto del mio terrazzo, mentre l'altra mano portava alla bocca una sigaretta giunta quasi alla sua fine;
proprio come quella farfalla, che chiuse le sue ali, restò immobile sul mio dito e morì.
La larva era mutata in farfalla, ma visse soltanto il tempo che il sole si alternò alla luna.
Forse sarebbe stato meglio non diventare una farfalla.
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