7. gennaio
Non avevo idea di cosa significasse amare, prima di te.
Notavo subito i tuoi meravigliosi occhi riempirsi di luce ogni qualvolta si posavano su di me, rivelandomi dea al tuo sguardo.
Lo vedevano tutti.
Non cancellerò mai dalla mia mente quel commento silente che imprimevi nell'espressione del tuo volto: felice di saggiare ogni parte di me e riconoscerla come qualcosa di veramente importante per te.
Non potrò mai ringraziarti abbastanza per come mi facessi sentire bella; perché sapevo per certo ch'era verità assoluta, almeno per te, e questo mi bastava.
Sentirmi amata da te è stato uno dei più piacevoli momenti di questa mia vita confusa nella morte attuale della mia esistenza.
Persa nelle gesta vigorose del tuo abbraccio, orientata attraverso la mano che hai stretto a me quella nostra prima sera quando, toccandosi insieme al di sotto di un tavolino, si sono trasmesse tutti i nostri sentimenti.
È stato quello il momento.
L'energia posseduta dal tuo corpo come conseguenza del suo stesso moto, diede la scossa al mio, che condivise quella stessa energia.
O1:38
Notifica Messenger:
" Quindi, che cosa dobbiamo fare?"
"Che intendi?"
"Ti va di metterci ufficialmente insieme?"
Ricordo tutto di quel sette gennaio da poco scoccato.
L'attesa della tua risposta, chissà cosa stavi facendo... Forse saltellando per la stanza davanti al pc? Il mio cuore di certo stava sobbalzando alla tensione di una non-riposta.
"Sì, ma ho l'herpes".
" Dai che sfiga! Non potremo baciarci. Va beh, ci vedremo lo stesso domani?"
"Sì 💜".
Da quel giorno, parve che nulla ci avrebbe mai più separato.
Per undici anni è stato così.
Io inspiravo, tu espiravi.
Dio se ti ho amato.
Quante cose abbiamo condiviso? Quante volte eravamo la coppia sotto il riflettore, quanto eravamo belli...
"Perché stai con lui?", la gente si meravigliava della nostra unione, io rispondevo semplicemente: " perché nessuno mi fa sentire tanto apprezzata quanto lui".
Era vero.
Non so come ringraziarti di ogni bel momento
passato insieme.
" È divertente che non sei morta!"
Non so scegliere un ricordo, ma questa frase mi ha fatto sorridere.
Quanto me la presi quando me la dicesti.
Ti ricordo con un sorriso, che scaturisce in me per tutto il bello che ci plasmava.
Ti ricordo con un sorriso, il tuo, meraviglioso e spontaneo.
Finché...
Si è spento.
Ha smesso di illuminarsi, come il mio.
Ammalati nella mente, nel cuore e nello stomaco.
Le immagini di noi impresse in momenti che vorrei tornare a rivivere felici, non torneranno più. Restano lì, immobili e mute, risuonando solo nella mia testa e mobilitandosi solo nei miei occhi, quando fissandole lacrime scivilano giù come petali d'autunno.
Lo stesso autunno, che stava alle porte, che ha sancito la nostra separazione.
"Spesso il male di vivere ho incontrato:
era il rivo strozzato che gorgoglia,
era l’incartocciarsi della foglia
riarsa".
Il caro Montale, che ha chiuso i miei esami di stato, proprio con questa espressione, che adesso sento di nuovo come chiusura, di noi, si manifesta in questo mio altro momento cruciale.
Proprio come quella foglia, che sboccia s'un albero e vive allo splendere del sole, adesso muore all'arrivo di questo autunno e triste si accartoccia nel dolore della consapevole fine, scricchiolando come il mio cuore frantumato.
Tentare mille strade prima di abbandonare la nave, è stata la più grande sfida.
Ho tentato davvero.
Ce l'ho messa tutta, più di quanto avrei dovuto, più di quanto avrei potuto.
Ammalandomi ed esaperando ogni cosa: chissà se ricordi solo l'estremizzazione di me, o se ricordi com'ero prima che mi esaurissi così con i tuoi nuovi "ideali".
Accumulando colpe, che mi davi, di continuo: alcune giuste, altre le scaricavi, da te a me.
Ho fatto cumulo di tutto, peso, su peso.
Volevo liberarmene, mi stava schiacciando, ma sapevo che ciò avrebbe comportato una decisione che non volevo prendere; ma come mi facevi sentire... come non mi facevi sentire... più, era diventato troppo: mi vedevo ammalata.
Non so se meritavo tutto questo, forse in parte, ma non ero più in grado di sostenere una dura prova ogni giorno.
Cercare la maturità, la crescita, la svolta, il nuovo passo e vederci immobili per la tua paura di cambiare anche solo un sospiro.
Parlare, parlare... e avere la sensazione di non usare più voce, restando solo il movimento delle labbra.
Celare, nascondere, mentire.
Vivere momenti con me e chiamarli "sacrifici".
Questo, non me lo aspettavo.
Perché un tuo ultimo tentativo, dopo tutto questo amore, pensavo l'avresti compiuto.
Niente.
Non posso smettere di amarti.
Ma smetto di darti quel qualcosa che non ricevo più indietro.
Svuotata.
Ecco come mi sento.
In attesa, di un epilogo che non ci sarà.
Scegliere di salvaguardare me, per non continuare a stare male per le continue promesse e il rimangiarsi di ognuna di esse, perché...
"Perché io non mi sento libero di vivere la vita, è quello, non mi sento me stesso, mi sento imprigionato da quando tu non mi permetti di essere me stesso, è brutto dirlo, però è la verità".
Volevo solo la tua sincerità.
Ho perso tempo a credere che volessi maturare insieme a me qualcosa che ci riguardasse entrambi, non che riguardasse soltanto te.
Ho aspettato che ti facessi vivo: "come stai", sarebbe bastato a farmi capire che tenevi ancora a quel noi durato undici anni.
Se una persona vuole dimostrarti qualcosa, non c'è bisogno che tu stia lì a chiedere e ultimamente era rimasto solo questo; di rimanerci male, di piangere realizzando di essere messa da parte - dalle ore di sonno, dal lavoro, dall'amicizia, dagli hobby - di correre e rincorrere chi ti vuole accanto quando non gli provoca uno sforzo e distinguere quando non lo fosse più.
Vederti scegliere la chiusura con me, con i tuoi stessi amici, con tutto, mi rende triste anche per te.
Discutere, spiegare, parlare...
Per poi ricevere: Silenzio.
Quanto rumore fa questo silenzio.
Chi sceglie di non esserci, non merita che tu ci sia.
Anche se un poco, continuo a sperarlo.
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