5. Lasagne
Aujourd'hui
Ho sempre amato le lasagne.
Filante pasta in sfoglie ricolma di gioia anziché ingredienti.
"Ti vanno le lasagne?" a qualsiasi ora del giorno di qualsiasi giorno, se la risposta è "sì" allora sai per certo che le cose vanno, magari non benissimo, ma vanno. È quando a quelle due lettere se ne sostituiscono altre due: "no", che qualcosa decisamente non va.
Quando le lasagne perdono il mio interesse, allora lì bisogna preoccuparsi seriamente.
Ospiti per pranzo: un bel mattoncino quadrato poggia sul piatto decorato in verde, il profumo ha abbellito la cucina; nausea.
Non c'è verso, le terminazioni nervose sulla mia lingua funzionano benissimo, sono state sollecitate abbastanza... sembra tutto così invitante.
L'impulso elettrochimico ha già mandato tutti i segnali migliori al mio cervello, è lo stomaco che non vuole collaborare.
"Ti vanno le lasagne?" è come chiedermi come stia.
Vuota.
Sto vuota.
Così come vuol rimanere vuoto il mio stomaco, che oggi ha deciso di collaborare con un altro mio organo, anch'esso è vuoto; quello che sta in mezzo tra il cervello e lo stomaco, il muscolo involontario per eccellenza, per essere precisa.
Ci sono ospiti.
Fingiti sorridente, fingi... sorridi, sorridi, sorridi.
A nessuno importa delle tue turbe.
È così. A nessuno importa davvero della risposta a: "come va?", potresti rispondere "così almeno sembra", l'altro, se è attento, ti guarderà perplesso e smarrito cercando di darsi una spiegazione o, se non è attento, vedrai non ci farà neppure caso. Non conta cosa tu abbia detto, la cosa importante è che tu abbia quantomeno risposto.
Con il fingermi contenta, nel mio caso specifico, ho dovuto ingurgitare la lasagna. Buona era buona. Non l'ho gustata, non l'ho valorizzata, non l'ho venerata, l'ho solo mangiata; così non crei sospetti, l'ospite è felice, la mamma è felice, tu (fingi ) sei felice.
D'altro canto lo dicono anche le favole: e vissero tutti felici e contenti, perché raccontarti della pallosità degli eventi successivi a quelli già narrati pareva brutto.
Quindi, consapevole di stare "bene" e di essere "felice" mi chiudo nella mia stanza e mi siedo sul letto. Le palpebre cominciano a chiudersi e aprirsi in maniera autonoma, serro gli occhi alle tre e li riapro solo un attimo dopo alle sei.
Non ho mai dormito il pomeriggio, neppure quella volta in cui in 51 ore di seguito non avevo chiuso occhio. Eppure, stavolta è successo. Stavolta sì che sono esausta.
Se sto cercando segnali, questo è decisamente il secondo.
Prendo il telefono, apro la sua chat involontariamente volente: "online".
L'aria si aggroppa alla gola.
Osservo lo schermo, aspettando ciò che so di non dovermi aspettate perché tanto non avverrà.
Scema.
Non ti ha scritto e lo sapevi.
Comincio a pensare e naturalmente tutto quello che mi passa per la testa sono ricordi dolci passati insieme. Quanti sono... troppi. Tuttavia li ricordo tutti.
Come si riempie un vuoto?
Apponi qualcosa di pesante e ingombrante a riempirne lo spazio. Dovrei ingoiare un grosso masso, si può fare?
L'unica cosa che ingoio invece è il boccone amaro.
Mi manchi.
Non posso dirtelo, così ingoio un'altra volta fissando il tuo nome sullo schermo del cellulare, come se potessi sentirmi.
Dovrà bastarmi.
Mentre continuo a fingere, preparandomi per uscire a cena fuori per poi dialogare con gli amici mentre fingo che la partita di calcio della Roma mi interessi, ma tutto quello che mi torna in mente sei tu.
Guardo la sedia accanto alla mia: anch'essa è vuota.
Ricordo la tua mano sulla mia coscia accarezzarmi mentre dialoghi con gli altri, invece la tua voce non c'è, la tua mano non c'è; non so cosa accarezzare.
"Dov'é? A lavoro?" mi viene chiesto.
Per la prima volta non so come rispondere. Non so dove sia.
Cosa fa? Come sta?
Sorrido e mi impegno affinché sia bellissimo.
Tutto quello che so è che non posso tornare - di nuovo - io sui miei passi e cedere all'unica voglia che ho: abbracciarti e non lasciarti andare più via.
Consapevolmente lo so, io non ti voglio così. Non posso volere qualcosa che mi fa star male seppur in mezzo a tanto bene.
Così le decisioni difficili vanno prese: cresce il rammarico, la nostalgia, la tristezza e la consapevolezza.
Aspetto che vieni tu da me.
In fondo ci spero.
Ma tornare significa cambiare.
Anche questa volta sarò illusa da te, ma almeno non sarà colpa tua, ma mia.
Non tornerai mai più.
E io non so quando potrò mangiare nuovamente con gusto le mie adorate lasagne.
Chissà, forse le gusterò nuovamente insieme a te o forse, le mangerò assieme a una nuova me, diversa, più forte.
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