SILENCE
Cosa aveva detto Francesca?
Che avere bambini porta a discussioni e problemi vari?
E cosa avevo risposto io?
Che tra me e Matteo non ce n'erano?
Beh... mi ero sbagliata.
Mi ero davvero sbagliata.
«Amore, c'è da cambiare il pannolino a Ginevra, lo fai tu per favore?» chiesi una sera a Matteo, mentre mettevo i piatti in lavastoviglie dopo aver cenato.
«Ceciu! Mi sono appena seduto!» si lamentò Matteo, che effettivamente aveva appena preso posto sul divano.
Io mi sporsi dalla porta della cucina per guardarlo male.
«Io sto facendo altro però!» lo rimproverai poi.
Lo sentii sbuffare.
«E dai, Ceciu! Sono appena tornato dagli allenamenti!» si lamentò ancora Matteo.
A quel punto lo raggiunsi in salotto per fulminarlo con lo sguardo.
Si stava seriamente lamentando?
«È proprio per questo che dovresti cambiare tu Ginevra. Io lo faccio da tutto il giorno» gli feci notare con rimprovero.
Matteo sbuffò di nuovo.
«Te la prendi per niente comunque» mi disse scocciato, senza però fingere nemmeno di alzarsi.
«No, non me la prendo per niente, Teo. Me la sto prendendo per un favore che ti ho chiesto e che tu non hai intenzione di farmi, ma ti ringrazio, davvero» lo corressi io «D'altronde non passo già tutto il giorno a prendermi cura di Ginevra e di due cani, cercando ogni tanto di pensare anche a me stessa e alla casa in cui viviamo» aggiunsi sarcastica «Almeno quando sei a casa, quelle poche ore che sei a casa, potresti darmi una mano» continuai «Ma no, lamentati pure e lascia fare di nuovo tutto a me» conclusi infastidita.
«È la prima volta che mi lamento e che non faccio qualcosa che mi chiedi di fare» mi fece notare Matteo in sua difesa.
«Dovevi proprio farlo?» gli chiesi io con rabbia «Perché stavo benissimo quando accettavi le mie richieste in silenzio» aggiunsi.
Matteo sospirò.
«Sono stanco stasera, amore» disse.
Io lo fulminai di nuovo con lo sguardo.
«Io no invece» dissi sarcastica.
«Che cosa avrai fatto mai? Accudire una bambina e due cani non può mai essere stancante come allenarsi otto ore al giorno» mi chiese Matteo con aria ovvia.
Vi giuro che se avessi potuto incenerirlo con lo sguardo lo avrei fatto.
«Vogliamo fare cambio?» gli chiesi alzando un sopracciglio.
Matteo spalancò gli occhi e non rispose.
A quel punto io sbuffai, poi presi Ginevra per portarla a cambiarle il pannolino.
«Dai lascia, faccio io» mi disse Matteo facendo per alzarsi.
Per l'ennesima volta nel giro di cinque minuti lo fulminai con lo sguardo.
Diceva sul serio?
Prima faceva storie e poi appena mi mettevo in moto io cedeva alla mia richiesta?
«No, poverino sei stanco, resta pure a farti i cazzi tuoi sul divano» gli dissi io fredda, salendo poi le scale prima che Matteo potesse raggiungermi.
«Ceciu!» lo sentii esclamare dal salotto, ma decisi di ignorarlo.
Mi aveva infastidita come poche cose nel mondo il fatto che avesse fatto tutte quelle storie per una singola cosa che gli avevo chiesto!
Non gli avevo detto di scalare l'Everest con Ginevra, Simba e Nala sulle spalle, gli avevo chiesto un favore semplicemente perché volevo essere aiutata.
Si era dimostrato un bravissimo papà e un marito perfetto fino a quel momento, ma quella sera mi era crollato tutto. Soprattutto dopo che aveva osato paragonare le sue fatiche da allenamento alle mie da mamma, padrona di due cani e proprietaria di una casa da tenere in modo decente.
Quando tornai in salotto dopo aver cambiato e messo il pigiama a Ginevra non guardai neanche Matteo, mi limitai a mettere mia figlia sul divano con qualche gioco e sedermici accanto.
Mi accorsi però che Matteo si girò verso di me e seguì i miei movimenti con lo sguardo.
«Perché la metti lì?» mi chiese con tono stranito.
«Dove dovrei metterla?» gli chiesi io senza guardarlo e con tono freddo.
«In braccio a me» rispose Matteo con aria ovvia «Lo sai che ci facciamo un po' di coccole prima di metterla a letto» aggiunse con lo stesso tono.
Era vero, Matteo aveva preso l'abitudine di fare le coccole e giocare un po' con Ginevra subito dopo mangiato e appena prima che si addormentasse. Ma quella sera non si meritava un momento del genere, anche se ormai era tradizione.
Infatti mi girai finalmente a guardarlo, ancora con occhi di fuoco.
«Quindi per le coccole non sei troppo stanco ma per cambiarle un pannolino sì?» gli chiesi con aria di sfida, alzando le sopracciglia.
Matteo mi guardò stranito.
«Per le coccole non si è mai stanchi» rispose poi facendo un sorrisetto storto.
In tempi normali mi avrebbe sciolto, ma quelli non erano tempi normali.
«Se volevi farle le coccole dovevi cambiarle il pannolino» dissi secca.
Sentii Matteo sospirare.
«Mamma mia quanto sei permalosa!» si lamentò poi.
«Non sono permalosa, Matteo! Sono stanca!» lo corressi io senza riuscire più a trattenere la rabbia «Passo le mie giornate a fare di tutto per far stare bene Ginevra e per non farle mancare niente, e quelle poche ore che sei a casa vorrei un po' di collaborazione! Non ti chiedo di fare chissà cosa, solo di darmi la possibilità di occuparmi di altro mentre ci sei tu. E con altro non intendo farmi i cazzi miei, intendo sistemare un po' questa casa in cui dobbiamo vivere, e che abbiamo comprato insieme ma che condividiamo pochissimo!» continuai, sputando tutto quello che tenevo dentro da troppo.
Non mi era mai pesato più di tanto fare tutto quello di cui avevo parlato, anche se ovviamente crescere una bambina con Matteo che spesso era fuori casa non era il massimo della vita. Ma sapere che quando c'era era più che d'aiuto mi rincuorava molto.
Quella sera invece mi aveva molto delusa, e non ci avevo visto più.
«Lo sai che mi dispiace essere fuori casa, Ceciu, ma quelle ore che passo lontano portano soldi» mi disse Matteo con tono dispiaciuto ma deciso.
Avrebbe difeso a spada tratta il suo lavoro.
Cosa positiva, per carità, perché era comunque la sua passione, ma forse a volte ammettere che aveva dei lati negativi non era poi così male.
«Lo so perfettamente, Matteo, e non ti sto chiedendo di non andare ad allenarti, ma non paragonare mai più il rincorrere un pallone per otto ore con tutto quello che faccio io in una giornata» lo ammonii io, puntandogli un dito contro con aria minacciosa.
Toccò a Matteo guardarmi male questa volta.
«Che fastidio quando dici questo cose!» esclamò infastidito «Sono otto fottuti anni che stiamo insieme e ancora dici che rincorro un pallone?!» mi chiese poi.
«Non stiamo parlando nello specifico di quello che fai! Non ci interessa se corri dietro a un pallone per tutto il giorno o se ti fai novanta minuti di corsa intorno al campo!» lo rimproverai io «Stiamo parlando della tua lamentela, che è decisamente fuoriluogo considerando quanto mi faccio il mazzo anche io tutti i giorni!» continuai con rabbia.
Matteo sbuffò per l'ennesima volta.
«È la prima volta che succede» disse scocciato.
«Ed è meglio che sia anche l'ultima» lo ammonii di nuovo io «E comunque potevi risparmiartelo» aggiunsi secca.
«Ceciu, davvero? Per una volta che rifiuto una tua richiesta fai tutte queste scene?!» mi chiese Matteo indignato «Fino a ieri ero il papà perfetto e oggi sono improvvisamente incapace?!» chiese ancora.
«Non ho detto questo, Matteo» gli feci notare io con tono freddo.
Matteo sbuffò un'altra volta.
«Va beh, mi dai mia figlia? Vorrei delle coccole almeno da lei» mi chiese dopo un attimo di silenzio, con tono scocciato.
Toccò a me sbuffare, prima di prendere Ginevra e metterla sulle gambe di Matteo.
«Poi mettila a letto, io non ho voglia. Sono stanca» dissi poi secca, alzandomi dal divano e facendo per salire le scale.
«Ceciu...» provò a fermarmi Matteo «Ceciu, dai!» provò ancora.
Ma io non lo calcolai. Continuai a salire le scale, mi misi il pigiama, andai in bagno e poi mi misi nel letto.
No, non avevo sonno, ma non avevo più voglia di stare a discutere con Matteo. Avevo bisogno di silenzio e di rilassarmi un po', sopratutto per sbollire la rabbia.
Poi in realtà volevo anche dormire almeno tre ore prima di dovermi svegliare per dare da mangiare a Ginevra, ma quello era una cosa secondaria. Anche perché con tutti i pensieri che avevo per la testa e tutta la rabbia che avevo in corpo non riuscii ad addormentarmi tanto presto. Feci in tempo a sentire Matteo mettere a letto Ginevra e mettersi sotto le coperte con me.
Mi aspettavo che provasse come minimo a chiedermi se fossi ancora sveglia, perché sapevo che gli piaceva chiarire qualsiasi situazione scomoda prima di andare a dormire. Ma non lo fece. Rimase in silenzio nel buio della stanza, evidentemente provando ad addormentarsi anche lui. Conoscendolo però mi accorsi che non si addormentò tanto presto, prima di me sicuramente, ma ci mise un po' anche lui.
In qualsiasi caso per quella sera le parole tra di noi erano finite.
C'era solo silenzio.
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