21. Il Cenone di Natale

Rientrando in casa, sospirai di piacere per l'accogliente calore, ma non potei godermi a lungo la magnifica sensazione, perché sentii tre voci provenire dall'ingresso, di cui una mi era molto familiare. Un attimo dopo, dall'arco che portava al soggiorno entrò Alex, parlando allegramente con altre due persone, entrambe piuttosto alte rispetto a lui. Il primo era un uomo sulla quarantina, con i capelli ricci corvini e gli occhi scuri come il caffè amaro, che immaginai fosse il padre. Il secondo, che a quel punto doveva essere Francesco, aveva i capelli ricci e voluminosi di uno splendente biondo oro e lo stesso sguardo scuro e fiero del padre. Tralasciando i capelli e l'età, i due si assomigliavano in una maniera allarmante, molto di più di quanto non facesse Alex, che invece a mio avviso era più simile a Maria.
«Fra!»
«Ali!» la mia migliore amica saltò tra le braccia del fratello.
«Quanto tempo, fratellone!»
«Sì, troppo direi.»
«Ti presento Ilary, la mia migliore amica.»
Francesco mi porse la mano ed io la strinsi. «Molto piacere, Ilary.»
«Venite a cena!» chiamò Maria, e tutti ci dirigemmo verso la sala da pranzo.
Alex mi si avvicinò. «Ehi, come stai?» Mi chiese in un sussurro.
«Bene.» risposi, «e tu?»
«Mai stato meglio! Il maglione ti sta d'incanto, comunque.»
«Oh... grazie.» Un calore improvviso mi salì alle guance e io sperai con tutta me stessa che il trucco stesse nascondendo il mio rossore. Non avrei dovuto reagire così.

Mi sedetti vicino ad Alice, mentre Alex si mise accanto a Francesco, di fronte a me. Maria e Lorenzo Delgei, invece, sedevano ai due capi della tavola.
«Avremmo dovuto iniziare con un aperitivo,» iniziò la madre, «ma non sapevamo quando sareste tornati, quindi alla fine non è stato preparato nulla. Propongo quindi di iniziare direttamente con il primo.»
«Ma certo, mia cara, ma prima un brindisi.» disse, alzandosi, Lorenzo Delgei e cominciò a riempire i bicchieri dei maggiorenni di vino bianco, mentre a noi ne mise un dito, sufficiente solo al brindisi. Alex fece una smorfia, ma non disse nulla. Alzammo poi tutti i bicchieri e, facendoli tintinnare tra loro, ci augurammo un buon Natale e buone feste.
Venne poi la signora straniera che aveva preparato i pasti sotto la guida di Maria, portando a tavola una pentola di spaghetti con le vongole, piatto classico della tradizione natalizia del paese, e, dopo aver riempito i piatti di tutti, si sedette a tavola con noi su invito della padrona di casa.
«Ehi, Fra, dicci, com'è la nuova scuola?» Esordì Alice rompendo il silenzio.
Il padre gli lanciò uno sguardo che mi parve un ammonimento. Non era difficile da capire: qualcosa di ciò che il ragazzo faceva in questa scuola doveva rimanere segreto.
Francesco recepì il messaggio. «Oh, è fantastica!» raccontò, «ci fanno fare così tante cose, poi la struttura è magnifica, altro che quella scuola decrepita dove studiate voi.»
«Non insultare la nostra magnifica scuola, fratellone.»
«Ah, Alex, capirai ciò che ti sto dicendo quando verrai anche tu a giugno.»
Il mio cuore perse un battito. «Andrai via a giugno?»
«Stai tranquilla, Ila, se tutto va come previsto verrete con me sia tu che Ali.» mi fece una strizzata d'occhio, accompagnata dal suo solito sorriso impertinente.
«E gli altri?»
«Io sento i miei amici della vecchia scuola di continuo,» mi rassicurò Francesco, «e poi, li vedo sempre durante le vacanze. Domani, per esempio, andiamo tutti insieme a Napoli, per festeggiare il mio rientro e quello di Elena, un'altra nostra amica che viene con me alla nuova scuola.»
«Oh, bene allora.» In realtà temevo che io alla fine sarei rimasta in quell'istituto fino all'ultimo anno, e sarei stata tra coloro che aspettavano il ritorno dei due fratelli. Il che, per carità, non era affatto una cattiva prospettiva: rimanere con Giada, Marco, Angelica, Gabriele e Antonio era tutt'altro che un supplizio, ma semplicemente sarebbe stato un duro colpo al mio orgoglio scoprire di non essere speciale e non avere mai il diritto di scoprire il segreto che avvolgeva la famiglia Delgei e altre persone intorno a me.

«Allora, Ilary,» mi chiese poi Maria Delgei, «dicci, cara, tu sei di Roma, vero?»
«Sì, è così, ho vissuto lì per tutta la mia vita.» Tentavo di mantenere un contegno a tavola, ma quella domanda mi destabilizzò e probabilmente la mia voce non uscì ferma come avrei voluto. Per quei due mesi mi ero impegnata ad evitare in tutti i modi ogni genere di conversazione riguardante la mia vecchia vita, dalla città, alla scuola, alla vita privata... cercai di bloccare il flusso dei pensieri. Quella porta doveva restare chiusa, altrimenti tutta la mia fragile e apparente integrità sarebbe andata irrimediabilmente in frantumi.
«E com'è la città?» domandò il padre dei miei due amici.
«Molto bella. Abitavo un po' in periferia, ma era molto facile per me spostarmi in centro con i mezzi. Certo, era facile che i treni facessero ritardo e mi è capitato più volte di aspettare alla fermata dell'autobus anche un'ora, ma alla fine era una situazione accettabile. Poi, a Roma ci sono moltissime cose da vedere e da fare, ci sono molti più negozi rispetto a qui e avevo più scelta per i miei acquisti. E' però una città molto caotica: traffico sempre e ovunque, tantissima gente in giro e tanti rumori.»
«E invece la scuola com'era? Come ti trovavi?»
«In generale i licei di Roma sono tutti molto belli e interessanti, ci sono molti indirizzi di studio e molte diverse possibilità. Alcuni istituti sono molto attivi anche in politica, i ragazzi manifestano attivamente le loro idee e c'è anche un ampio canale di scambi culturali e di diversità di idee. Io però non sono stata fortunata. Non mi trovavo bene nella mia classe, ma allo stesso tempo non avevo il coraggio di cambiare scuola, perché temevo che mi sarebbe potuta andare peggio. Per quanto riguarda la vita scolastica, quindi, preferisco Lumini.»
Francesco si intromise nella conversazione. «Ma, ora che ci penso... Ilary non è un nome italiano, perché questa scelta?»
A quella domanda, che mi aspettavo sarebbe arrivata prima o poi, una nube di dolore cominciò ad avvolgere il mio corpo. Mi sentivo tutto a un tratto soffocare, un nodo mi bloccò la gola e cominciarono a pizzicarmi gli angoli degli occhi. Non era la domanda in sé il problema, ma ciò che comportava il bagaglio di ricordi che la risposta ad essa portava.
«Oh, andiamo, lasciatela in pace!» intervenne Alex, accorgendosi del mio improvviso cambio di umore, «la state assillando con tutte queste domande. Focalizziamoci su altro, vi prego.»
«No, va bene così.» gli rivolsi un sorriso che voleva essere rassicurante, ma mi parve tanto tirato da sembrare più una smorfia che altro. «È una domanda giustissima. Mi è stato dato questo nome perché mio padre era inglese e quindi i miei hanno deciso di darmi un nome straniero.» nominando la parola padre un brivido percorse la mia schiena e il mio stomaco cominciò a fare molto male.
«Quindi parli bene l'inglese?»
«Abbastanza, anche se mio padre si è sempre lamentato della mia pronuncia.» Il nodo in gola mi soffocava e ad ogni parola, ad ogni ricordo che riaffiorava, il mio dolore fisico e mentale aumentava esponenzialmente.
Alex cominciava a guardarmi allarmato, mi osservava come se fossi un oggetto in procinto di andare in mille pezzi. Ed era così. Alice, invece, da sotto il tavolo mise una mano sulla mia gamba con fare rassicurante. Entrambi avevano capito che qualcosa nel mio cuore si stava lentamente sgretolando, che la corazza che avevo costruito in quelle ultime settimane si stava man mano dissolvendo e che in poco tempo la mia finta integrità sarebbe andata totalmente distrutta.
«Racconto molto interessante, Ilary.» esclamò la mia amica a voce un po' troppo alta.
«Sì, sono d'accordo.» si intromise Alex. «Ma ora mi piacerebbe parlare di altro. Per esempio, vogliamo parlare di quanto sono buone queste vongole?»
Io trattenni una risata. Quella proposta era così fuori contesto, così sciocca e buttata lì per caso, o forse dopo tutta la tensione di prima avevo riso per il sollievo. La scatola dei miei sentimenti tornava ad essere chiusa e così doveva restare.
Alla mia reazione Alex mi strizzò l'occhio e mi diede un leggero calcio da sotto al tavolo. Io lo guardai male e gli restituii il favore, mentre Maria cominciava a raccontare dove avesse trovato quelle vongole, di quanto le avesse pagate e di come il venditore si fosse comportato in modo irrispettoso e da mascalzone. Io però non prestai attenzione, ma continuai a giocare come una bambina a tirare calci ad Alex sotto al tavolo.

Intanto, la signora straniera, dopo essersi alzata, prese i piatti del primo e li portò in cucina, tornando poi con una teglia di pesce e una ciotola di broccoli di Natale.
«Ma invece, Ilary,» mi si rivolse nuovamente Maria, «perdonami, questa è l'ultima domanda. Ci hai parlato della città, della scuola, ma non ci hai ancora detto perché all'improvviso ti sei trasferita qui a Lumini.»
Alice quasi si strozzò con l'acqua che stava bevendo e Alex fece cadere la forchetta nel piatto con un sonoro tintinnio, sgranando gli occhi in direzione di sua madre.
Nel mio cuore, invece, si fece un freddo glaciale. Tutte le risate e gli sguardi complici scambiati con il ragazzo di fronte a me svanirono in un istante, il mio sorriso scomparve, i miei occhi si spensero e cominciarono a bruciare, mentre il nodo alla gola ricompariva più forte che mai. Lo scrigno sigillato con tutti i miei sentimenti si stava riaprendo e, quella volta, richiuderlo sarebbe stato molto più complesso.
«È... non è... non è una bella storia, ecco.» riuscii a mormorare prima che l'ondata di dolore mi travolgesse in tutta la sua potenza, poi tutti i ricordi dei miei genitori mi tornarono alla mente in un fiume impetuoso e terribile, tutto ciò che avevo nascosto tanto bene in quei due mesi riaffiorava come un uragano. «Ora, però, scusatemi. Vado a prendere una boccata d'aria.» mi alzai in un movimento meccanico e uscii dalla stanza senza aggiungere altro, sentendo solo attutita l'esclamazione sorpresa della madre e Alex che la rimproverava.
Attraversai il soggiorno e, senza curarmi di prendere la giacca per il freddo che avrei incontrato, aprii la porta finestra della terrazza con un ultimo sforzo per bloccare le lacrime. Uscita fuori, la brezza invernale mi travolse, ma ignorai la temperatura gelida dell'aria e mi appoggiai ad un muro, in ombra, per poi farmi scivolare su di esso fino a trovarmi accovacciata in un angolo, con le braccia che stringevano le mie gambe, mentre le lacrime cominciavano a scendere in un pianto disperato. Non era così che mi ero immaginata la mia presentazione alla famiglia di Alice e Alex, non era così che dovevo passare il Natale. Che scena pietosa, che disastro! Ma il vuoto che avevo dentro, che mio padre e mia madre avevano lasciato, si era allargato così tanto da diventare una voragine che io ogni volta mi ostinavo a chiudere con un debole strato di oblìo, che però peggiorava la situazione ogni volta che i ricordi riaffioravano. Mi ero ripromessa di non pensarci più, di lasciare andare ciò che era accaduto, ma, ovviamente, questa non era una cosa che si sistemava ignorando, non era qualcosa che potevo lasciare andare. Mi sarebbe per sempre rimasto il dolore, mi sarei sempre chiesta il perché avesse dovuto accadere, perché fosse successo a me. Non sarei mai guarita da quella ferita.

«Ilary? Ila, sei qui fuori?» la voce di Alex ruppe il silenzio della terrazza e il ragazzo la attraversò a gran passi, fino ad incrociare i suoi occhi verdi con i miei gonfi di lacrime. «Oh, eccoti... ehi...» mormorò dolcemente, accovacciandosi di fronte a me.
Io distolsi lo sguardo, mettendomi in ombra. Chissà che ne era del mio viso ora che il trucco si era tutto sciolto.
Lui mi mise sulle spalle la mia giacca, che probabilmente aveva preso uscendo. «Mettiti questa, altrimenti ti raffredderai.» mi prese poi le mani e mi tirò su di forza. «E alzati, dài! Se rimani nascosta lì sotto come pensi di respirare?» mio malgrado sorrisi e, una volta in piedi, malferma sulle gambe, mi sistemai bene la giacca infilando anche le maniche.
Lo osservai e notai che, anche dopo il discorso sul prendersi freddo, lui era uscito solo con la camicia bianca e i jeans neri. «E tu non ti metti una giacca?»
«Sai bene che non mi serve. Potrei correre nudo nella neve e non prendermi nemmeno il raffreddore.» Scoppiai a ridere all'immaginare ciò, anche se restavo ancora tesa dal pianto.
Alex, poi, prendendomi alla sprovvista, mi strinse in un caldo abbraccio e io, dopo un secondo di sbalordimento, ricambiai nascondendo il viso nella sua spalla. Scoppiai di nuovo a piangere e Alex non disse nulla, rimase in silenzio nell'abbraccio, accarezzandomi dolcemente la schiena, attendendo pazientemente la fine del mio sfogo.
«Scusa.» mormorai poi staccandomi bruscamente.
Lui fece per asciugarmi le lacrime, ma io allontanai la sua mano. «Faccio da sola.»
«Certo. Però tieni.» tirò fuori dalla tasca un pacchetto di fazzoletti e me ne porse uno.
«Grazie.» lo accettai con piacere e mi soffiai il naso.
Cominciai poi a pulirmi il viso e risi imbarazzata quando mi accorsi che il fazzoletto era diventato nero e rosa di trucco.
«La mia faccia sarà un disastro.» mormorai guardando le assi di legno del pavimento della terrazza.
«No, non è vero.» ribatté lui alzandomi il mento con la mano per guardarmi negli occhi. «In realtà sei bellissima.»
E fu in quel momento che poggiò le sue labbra sulle mie.

Spazio Autrice:

ODDIO CE L'HO FATTA. Ho finito questo capitolo che ho amato scrivere ma che comunque per mancanza di tempo e fin troppa pigrizia ho portato a compimento solo a Natale. Sì, è stato molto divertente scrivere della cena di Natale nella notte di Natale. Per lo meno ero fresca di Cenone e sapevo cosa scrivere per i pasti.

Volevo solo dire: il mio telefono è diventato uno shippatore professionista, a quanto pare: già mi consiglia come continuare la storia


Ma a parte questo, finalmente siamo arrivati ad un punto molto interessante di questa storia, un punto di svolta oserei dire 👀

Ora ho bisogno di qualcuno che dia un nome a questa ship (io non ne sono capace) accetto consigli 👇🏻👇🏻👇🏻

Vabbè ora la smetto.

Spero che questo capitolo vi sia piaciuto e, ancora di più, spero di aggiornare a breve il capitolo 22!

E buon Natale! (In ritardo)

Ci vediamo presto,

~Ilydia

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