CAPITOLO VENTISEI
CAPITOLO VENTISEI
Nella cantina in Via dei Pepi un ragazzo con la chitarra cantava "Dio è morto, canzone di Guccini censurata in Italia, ma i ragazzi l'avevano conosciuta ascoltandola su Radio Montecarlo. Chiara, che era con Jimmi, sussurrò all'orecchio di Betti:
"Sono le sette"
"E' tardissimo! Scappo!"
La ragazza salì velocemente le scale e una volta fuori corse alla fermata dell'autobus diciannove. Nonostante il brutto tempo faceva caldo. Arrivò a casa poco prima del rientro di suo padre, appena in tempo per cambiarsi e andare a tavola.
Dopo cena Betti indossò il pigiama e andò a letto, io e Pelè ci accovacciammo sulle sue gambe, adesso la pioggia era uno scroscio d'acqua molto forte. Anche Lina andò a dormire presto, poco dopo Elia si coricò nella camera degli ospiti.
Bussavano e suonavano alla porta. Betti tra il sonno sentiva noi gatti miagolare: suo padre stava parlando con qualcuno.
"Ha fatto benissimo a svegliarmi, mi infilo la vestaglia e salgo su da lei."
"So che il suo negozio si trova in via Ricasoli e la situazione diventa più critica di minuto in minuto."lo avvertì con tono preoccupato il vicino di casa, che era un radioamatore.
Betti salì le scale dietro a suo padre, entrarono nell'appartamento dell'uomo che viveva lì con la moglie e la suocera.
Dal baracchino una voce maschile annunciava:
"Qui l'acqua dell'Arno è arrivata a circa tre metri di altezza. Siamo senza acqua, luce e telefono. Ripeto : servono mezzi di soccorso."
"Pare che abbiano aperto la diga di Levane, comunque la situazione è veramente preooccupante" commentò il radioamatore .
" Ma che hanno combinato un disastro come il Vajont? Vado a controllare il negozio. "
"Non lo faccia signor De Michelis, è molto pericoloso . Avrei dovuto svegliarla prima, mi spiace. Piuttosto porti l'auto dopo il Ponte del Pino che lassù l'acqua non dovrebbe arrivare e torni a casa subito."
Erano le quattro di notte .
Verso le nove del mattino si cominciarono a sentire dei botti fortissimi: erano le caldaie che con l'arrivo dell'acqua, scoppiavano, facendo fuoriuscire la nafta. Firenze era senza elettricità, telefono, gas e acqua, a parte quella che il fiume straripando, andava portando fuori dal suo letto.
Lina, Betti ed Elia andarono alla finestra del salotto e da lì videro arrivare l'acqua dell' Arno dall'angolo di via La Farina, con il suo carico di cartelli stradali e qualche auto, si riversò anche in Via del Castagno, ma fino a metà strada, perchè la salita la fermò.
Furono invasi le cantine, i piani terreni delle case, i negozi, l'officina del padre di Chiara .
FLASHBACK
Tra i clienti di Elia c'era una nobildonna fiorentina chiamata da tutti "Tata bianca", per i suoi capelli bianchi e perché aveva , alla fine della seconda guerra mondiale, adibita una villa a orfanotrofio. All'inizio venivano accolti bambini, ragazzini rimasti orfani durante il secondo conflitto mondiale, oppure abbandonati a loro stessi, perchè portatori di gravi danni sia fisici che psicologici. Adesso, quando all'Istituto degli Innocenti di Firenze, c'era qualche minore con dei problemi, di solito veniva accompagnato in questo luogo, in mezzo al verde con un grande parco ed era proprio lì che Elia, quella mattina di aprile, si stava recando. Qualche giorno prima, era stata condotta nella villa, una bambina di circa quatto anni. Due famiglie, prima una poi l'altra, l'avevano rimandata in dietro, perché la piccola era troppo chiusa di carattere, parlava con persone immaginarie che vedeva solo lei. Si chiamava Miriam ed era, da parte di madre ebrea. Come si sarebbe comportata la bambina con Lina e lui? Li avrebbe accettati come suoi genitori?
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