CAPITOLO UNDICI

"Svegliati! Andiamo Betti, vorrai mica perdere l'eclisse? "Lina tirò su la tapparella e la luce del giorno illuminò la stanza.

"Papà ci porta in auto, sbrigati!"

Al Piazzale Michelangelo si erano radunate diverse persone in quella splendida mattina del quindici febbraio 1961. Qualche giorno prima Betti aveva compiuto dieci anni e aveva deciso di non pettinarsi più con la coda di cavallo, adesso i capelli li portava lunghi sulle spalle, ma per andare a scuola, li raccoglieva in uno chignon. Le sarebbe piaciuto farsi le trecce, ma c'erano dei ragazzini che giravano con le forbici in tasca, appena vedevano qualche ragazzina pettinata in questo modo, gliele tagliavano. Questo era successo anche qualche giorno prima  sull'autobus 19, che lei prendeva con la madre per andare in centro.

Mentre Betti pensava con angoscia ai suoi  capelli  tagliati corti, suo padre le porse una lente oscurata dalla fiamma dell'accendino."Mi raccomando, non guardare il sole senza tenerla davanti agli occhi."l'ammonì.

Lentamente la stella venne coperta completamente dalla luna: la luce del giorno lasciò posto al buio della notte con le sue stelle. Tutto parve fermarsi. Il silenzio era assoluto. Piano piano il disco nero passò sopra al sole fino ad allontanarsi da esso. Le persone erano meravigliate, incantate dall'evento che in pochi minuti li aveva fatti passare dal giorno alla notte e viceversa.

Sentì la voce di sua madre che si domandava: "Ma come si fa a non credere in Dio? Come si fa?".

"Briciola, amore mio, avessi visto com'è stata bella l'eclissi! Oggi niente scuola, staremo insieme a giocare."

Lina e Margherita passavano gran parte della giornata pulendo la casa e facendo da mangiare. Un sabato Betti fu chiamata in cucina da sua madre, che le mise un lungo grembiule bianco spiegandole:"Tesoro, adesso imparerai a fare la pasta in casa."La bambina ripeteva esattamente ciò che faceva Lina con la farina e le uova, divertendosi tantissimo.

Betti si era appassionata a cucinare, ma mangiava sempre poco. Teneva un quaderno dove scriveva o faceva scrivere da Lina le varie ricette, così aveva quelle milanesi, romane, fiorentine, sarde. Sua madre le aveva annotato quella della zuppa lombarda, dell'osso buco, del risotto allo zafferano, della vera cotoletta alla milanese fritta nel burro, della ribollita.

Nella primavera sempre di quell'anno Gioia, Chiara e Betti fecero nuove amicizie. Adesso nel giardino le voci, le risate erano più numerose: c'era Vittorio che abitava al pian terreno dello stesso edificio di Betti. Era venuto lì da pochissimo tempo insieme alla sua famiglia. Aveva 12 anni e fumava, perché ormai si riteneva grande. Aveva l'abitudine di chiedere un cerino ai passanti per accendersi una sigaretta, per questo motivo fu soprannominato Cerino. Era simpaticissimo, ma anche quando sorrideva Betti notava un velo di tristezza nello sguardo di quel ragazzino. Nella casa di fronte alla nostra, abitava un portiere: un uomo sulla mezza età, basso di statura, brontolava per qualsiasi cosa, romagnolo autentico, come amava precisare lui. Aveva sposato una donna anch'essa romagnola molto credente. Il loro appartamento era disseminato di quadri e quadretti di santi, Madonne e Gesù. Avevano avuto un'unica figlia di un anno più grande di Betti: Sandra, affetta dallo" strabismo di Venere", contro il quale si era sottoposta ad alcuni interventi, ma senza nessun risultato soddisfacente.

 Nell'interno del casamento di Sandra si trovava un piccolo cortile, sul quale si affacciava anche un'altra casa, nella quale abitava una famiglia di origine siciliana, con due figlie: Agnese e Alda. La seconda provava un grandissimo senso d'inferiorità verso sua sorella che era bellissima, alta, simpaticissima, cioè tutto il contrario di lei. Lo scorrere del tempo sembrava immobile, pareva che non sarebbe mai cambiato niente. I pomeriggi passavano pedalando sulle biciclette, mangiando le merende seduti su delle vecchie sedie di legno nel cortile o nel giardino di Chiara.

Aprì in fondo alla strada una latteria-gelateria. Ogni tanto andavano a mangiarsi un gelato nel cono da 10 lire l'uno. Si trovavano in quella fase di età nella quale non si è più bambini, ma non si è ancora grandi. A volte i genitori dicevano:"Sei ancora piccola ",oppure"Sei grande!" Betti veniva da me chiedendomi: "Briciola sono grande o sono piccola? Tu non hai questi problemi!"e mi accarezzava sorridendo. Quel pomeriggio ci trovavamo nel giardino di Chiara e io ero salita

sull'albero di fico. Da lassù potevo vedere tutto quello che succedeva sotto: i ragazzi che giocavano; il babbo di Chiara che riparava un'auto nell'officina, alcune galline che razzolavano. Quel pomeriggio le ragazze erano intente a giocare al gioco dell'oca che aveva portato Gioia, avevano appoggiato il cartellone sopra a un tavolo, quando finirono di giocare, aprirono il cancello e si diressero verso il cortile. Betti parlava ridendo con Gioia per alcune  scenette di Carosello viste in televisione la sera prima. Attraversarono la strada e non le vidi più. Scesi dall'albero, uscii sul marciapiede, volevo raggiungerle il prima possibile. Guardai: non c'era nessuno. Attraversai la strada correndo, quando un'auto mi investì, da essa ne scese un uomo imprecando: "Brutto gattaccio della malora, per colpa tua a momenti andavo a sbattere!" Tra una bestemmia e l'altra, ripartì in tutta fretta. Mi era entrato un grande freddo in tutto il mio piccolo corpo; tenevo gli occhi spalancati, strano come non riuscissi più a chiuderli. Mi arrivavano delle voci.

"No! Briciola!" urlava piangendo Betti. Sentivo l'odore dell'asfalto, osservavo l'azzurro del cielo.

"Ma è viva o morta ?" domandò con un filo di voce Sandra.

Gioia cercava di abbracciare la mia amica, ma lei si divincolava. Arrivò il padre di Chiara, mi sollevò con cautela e come le mani di un uomo mi avevano afferrato per tentare di uccidermi con ferocia, cattiveria, adesso le mani di un altro umano mi stavano aiutando a morire, con gentilezza, delicatezza. "Allontanatevi! Portate via Betti". ordinò l'uomo.

Quando fu solo mi fece una carezza sulla testa dicendomi:"Devo porre fine alle tue sofferenze." Sembra che tutto non cambi, pare che tutto resti immobile per sempre, ma non é così.  Betti non ti disperare, non è colpa tua, ma della mia sbadataggine se sto morendo. Avrai altri gatti ai quali darai tanto amore come l' hai dato a me. Sentii dei miagolii avvicinarsi, erano i miei fratellini, la mia mamma, Briciolona. Avvertii un dolore fortissimo, poi più niente. Anch'io fui sepolta sotto l'albero di fico.

FLASHBACK

Flavia era diventata l'idea fissa di Elia, da quando si alzava la mattina a quando andava a dormire la sera. Appena arrivava in ufficio le telefonava, ma a volte rispondeva la madre di lei

"Flavia è già uscita!"e a lui sembrava che il mondo gli crollasse addosso. Se gli succedeva qualcosa di bello o qualcosa di brutto doveva condividerlo con lei. Si era confidato con il suo amico Tino che così lo aveva avvertito:

"Elia, ti avverto ti stai cacciando in una brutta situazione, tu sei sposato, mai imbastire una relazione con una donna libera, ti procura solo dei guai. Stai attento!"

"Lina è bravissima, ma capisci cosa voglio dire, non è portata per certe cose. Il mio è un tradimento solo in parte, però le voglio sempre un gran bene, ma Flavia è tutta un'altra cosa e non lascerò mai nessuna delle due." rispose Elia.

Quel mese di marzo del 1949 fu particolarmente  gelido: l'acqua dell'Arno era coperta da lastre di ghiaccio e la temperatura di giorno, scese fino a undici gradi sotto zero.

Elia aveva cominciato a frequentare la casa di Flavia, dove abitavano anche sua madre e una sorella. La mamma aveva messo al mondo cinque figli :tre maschi e due femmine. Era rimasta vedova in quanto suo marito fascista convinto, essendo stato anche un collaborazionista dei tedeschi, venne fucilato da un gruppo di partigiani . La sorella di Flavia era impazzita per una serie di stupri perpetrati ai suoi danni da una banda di ragazzini. Aveva 13 anni, quando fu violentata per la prima volta, nella cantina della casa di uno di loro. Era la figlia del fascista, della spia e andava sistemata, per loro la ragazza valeva meno di niente. Le violenze continuarono per diversi mesi, fino a quando la madre di Pierina, questo era il nome della poveretta, se ne accorse e la rinchiuse in casa, facendola uscire solo con lei o con qualcuno fidato della famiglia. La mente della ragazzina andò peggiorando di giorno in giorno: si urinava addosso; cercava di autopunirsi graffiandosi, tagliandosi. La ricoverarono ai tetti rossi(manicomio di Firenze), dai quali ne usciva ogni tanto per brevi periodi fino a quando, rincretinita dagli elettroschok, divenne una ragazza molto, molto tranquilla.

Elia cominciò ad andare in casa di Flavia  tre volte alla settimana.

"Signora, lei sa benissimo che io sono un uomo sposato e che non lascerò mai mia moglie, ma amo e stimo Flavia, non le farò mancare mai niente"

"Caro signore, lei priva mia figlia della cosa più importante di tutte, specie per una ragazza: l'onorabilità. Se le vuole bene veramente la lasci adesso, prima che tutti sappiano e sarà bollata come l'altra, l'amante."

"Non posso, ci amiamo tantissimo."

Dopo tanto freddo ritornò la primavera. Una  donna scese dalla bicicletta ed entrò in un portone: salì al primo piano, suonò un campanello. Fu fatta accomodare in uno studio medico sottoponendosi a una visita ginecologica il cui responso fu: gravidanza.

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top