CAPITOLO NOVE
Lina sistemò il velo sulla testa di Betti; le porse i guanti e la piccola borsetta, dove all'interno sarebbero stati messi un rosario e un libriccino di preghiere con la copertina di madreperla. Le bambine portavano in mano un giglio bianco simbolo della purezza e i maschietti una candela. Qualche anno prima Elia a Roma, aveva conosciuto un ragazzo di origine messicana, adottato da una famiglia italiana di cognome Scotti, il quale si arrabattava facendo degli scketch d'avanspettacolo, che portava in scena anche al cinema, tra la proiezione di un film e l'altro. Quando Elia si trasferì a Milano incontrò Tino, così fu battezzato dai suoi genitori adottivi, il quale passava giornate intere seduto a un tavolino di un bar nella galleria, in cerca di scritture con altri attori, pseudo attori e guitti. Aveva costruito su di sé un personaggio: un cavaliere milanese iperattivo, sicuro di se stesso, con una frase che era il suo motto:"Ghe pensi mi." Piano piano riuscì a farsi notare e a entrare anche nel mondo del cinema , ma fino ad allora ogni tanto, quando l'impresario della compagnia scappava con i soldi dell'incasso, era proprio lui a dovere avvertire la compagnia con una frase che divenne il titolo di una rivista "Bambole non c'è una lira", dove bambole era riferito alle ballerine e soubrette, con le quali si presentava a casa di Lina ed Elia per mangiare
A Lina non piaceva avere in giro per casa tutte quelle ragazze poco vestite, truccatissime e per lo più straniere, insomma bellissime e provocanti, perché era gelosa di suo marito. A seguito di questo avvenne una violenta discussione tra lei ed Elia, sul fatto se invitare o no Tino alla Comunione di Betti, oltre tutto per la donna l'attore, convivendo con una donna senza essere sposato, viveva nel peccato.
"Sono costretto a dirti una cosa Lina ed è stato un segreto per tutto questo tempo, ma adesso la guerra è finita. Ti ricordi quando mi dettero l'olio di ricino, Tino ha rischiato la sua vita per salvarmi. Non mi ha mai voluto dire chi lo avvertì che mi avevano preso degli squadristi, ma resto' appostato all'esterno della caserma, fino a quando fui gettato per strada. Fu lui a portarmi all'ospedale, guarda che aiutarmi voleva dire rischiare la propria vita."
Lina ascoltò in silenzio.
"Per favore, fammi il numero di telefono di Tino. "
L'uomo ubbidì.
"Pronto? Tino sono Lina, avrei piacere se lei venisse alla comunione di Betti. Si. Elia è qui accanto a me, adesso glie lo passo. Va bene, la ringrazio."
Al rinfresco fatto in casa, dopo la cerimonia in chiesa, tra gli invitati, c'era una signora molto elegante con i capelli bianchi. Ogni tanto chiamava vicino a sé, con un cenno Betti per farle una carezza:"Tesoro ti ricordi di me? Sono la Tata Bianca."
La bambina sorrideva e poi tornava dalle sue amichette. Non si ricordava di quella signora, anche se le era familiare.
"Ricorda?" chiese Lina.
"No! Ha scordato tutto. L'accompagni da me il prossimo giovedì, ritornando all'istituto vediamo se ricorderà, altrimenti questo suo vuoto sarà un ostacolo a diventare un'adulta serena."
FLASHBACK
Elia stava attraversando la strada per recarsi al suo ufficio in via Ricasoli, quando la vide passare pedalando su una bicicletta nera: indossava una gonna a pois bianchi e blu, che svolazzando faceva intravedere parte delle cosce, i capelli nerissimi, ondulati, lunghi le ricadevano sulle spalle e le labbra rosse mostravano dei denti perfetti e bianchissimi. L'uomo rimase incantato da quella visione e non ricordandosi di avere tra le dita della mano destra una sigaretta, si bruciò. Gettò per terra la cicca trattenendo a stento un'imprecazione. La donna passandogli davanti fece un sorriso che gli andò diritto nel cuore. Elia pensò che come lui si dovette sentire Garibaldi la prima volta che scorse dalla barca Anita. Entrò in ufficio canterellando:"Ma dove vai bellezza in bicicletta.."L'avrebbe rivista?Chissà! Come si chiamava? Dove stava andando? L'uomo svolgeva il proprio lavoro automaticamente, perché riusciva solo a pensare a quella ragazza, che aveva visto in quella mattina di settembre del 1947. La segretaria entrò con un taccuino e matita in mano.
"Signor De Michelis, sono arrivate le ragazze per il posto."
"Le faccia passare una alla volta, grazie!"
Il lavoro consisteva nel recarsi dai clienti a riscuotere il pagamento delle rate dell'enciclopedie o dei libri di valore.
La quarta donna che entrò rimase in piedi tra la scrivania e la sedia. Elia stava parlando al telefono, le fece il cenno di accomodarsi e quando riagganciò il telefono alzò lo sguardo rimanendo a bocca aperta, accorgendosi che era la ragazza della bicicletta.
"Questi sono i miei documenti e questa è una lettera di presentazione." lei parlava in modo gentilmente sicuro.
Elia non sapeva cosa dire, come comportarsi. Anche con Lina era stato un colpo di fulmine, ma più quieto; adesso era qualcosa di travolgente, doveva sforzarsi di fare finta di niente.
"Allora lei è per metà napoletana e per metà veneta, nata a Firenze. Non parla con nessun accento, un italiano pressoché perfetto; si presenta bene. Adesso finisco la selezione, ma lei nel frattempo si accomodi accanto alla mia segretaria, se non le spiace e tra poco le farò sapere".
Flavia si alzò e uscì dalla stanza.
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top