CAPITOLO DIECI

Lina e Betti scesero dal taxi. La madre suonò il campanello, dopo pochi minuti un uomo venne ad aprire il cancello. Percorsero uno spiazzo sterrato arrivando davanti a una villa molto bella nella sua semplicità. Al portone le stava aspettando la Tata Bianca.

"Ben arrivate! Ciao Betti! Entrate, vi faccio strada."

Attraversarono alcune stanze arredate in modo austero, con mobili scuri, da tappeti consumati dal tempo e dalle scarpe, grandi finestre fatte ad arco senza le tende.

Betti sentiva una strana sensazione, come se conoscesse quel posto.

"Cara vai in giardino, c'è una bellissima altalena." la invitò la signora.

La bambina ubbidì. Indossava un cappotto di velluto blu scuro che sbottonò per avere più libertà di movimento sull'altalena. Si dondolava piano guardandosi attorno, chiuse gli occhi e vide una fila di lettini tutti uguali, in ferro battuto bianco. Rammentò  dei ragazzini silenziosi, tristi che portavano sui loro corpicini i segni della guerra, ma lei no, perchè lei era nata dopo la guerra; sua madre e le zie glie lo ricordavano spesso: "Fortunata te che sei nata a guerra finita." Fu presa da una sensazione di paura, di disagio; cercava di scacciare dalla sua mente quelle immagini, il senso dell'abbandono, di essere stata rifiutata,  la fece piangere silenziosamente.

Betti fermò l'altalena strusciando i piedi per terra; rientrò nella villa e andò a sedersi accanto a sua madre. La Tata Bianca la osservava, poi mormorò a Lina :

"Credo che abbia ricordato, ma per lei sia troppo doloroso parlarne, fare delle domande. Povera piccola!"rivolgendosi alla bambina le chiese : "Vuoi bene alla tua mamma?"

"Certo e anche al mio papà."

Solo a una persona la mia amica avrebbe confidato il suo segreto e questa era Gioia. Il pomeriggio seguente le due amiche erano nella camera di Betti:

"E' chiaro che tu sei una trovatella e questi non sono i tuoi veri genitori. Io andrei a parlare con la sorella di Chiara, fa le magistrali e sa tante cose, ci aiuta sempre."le consigliò l'amica.

Nella piccola cucina Milena stava studiando vicino alla finestra aperta: i versi delle galline salivano su assieme ai rumori dell'officina. Ascoltò Betti che le raccontò del pomeriggio trascorso in quella villa. Chiuse il libro che stava leggendo e parlò :

"Betti, sei stata adottata, ma se hai paura che vogliano riportarti all'istituto, chiedilo alla tua mamma, però credo che i tuoi genitori adottivi ti amino tantissimo e ti vogliano tenere con loro. Non ti picchiano, come fa nostra madre con Chiara. Magari fossimo state adottate anche noi due!"

"Ha ragione Milena!- aggiunse la sorella- Tu hai avuto una grandissima fortuna a essere stata adottata da loro!"

Quella sera Lina era seduta sul divano a guardare la televisione che trasmetteva una commedia, Betti era andata a letto al termine di Carosello, ma dopo un po' si alzò, corse in salotto andando ad abbracciare forte forte la sua mamma.

"Va bene, puoi guardare ancora un po'la televisione!" Lina aveva creduto che quell'abbraccio fosse una richiesta di Betti di stare ancora un po'alzata. La bambina prese la grande bambola vestita da tirolese, regalo della Prima Comunione di Tino Scotti e si mise a sedere accanto a sua madre. Non disse e non chiese niente, ma le scappava da ridere a vedere un signore, con la faccia buffa che faceva delle smorfie

"Chi è mamma?"

"Gilberto Govi. E' simpaticissimo e bravo."

FLASCBACK

A Flavia piaceva Elia con i suoi capelli bianco argento; il naso aquilino, la bocca sottile, caratteri somatici di un ebreo; gli occhi erano grigio verde.

Fu assunta. La segretaria le spiegò in cosa consisteva il suo lavoro, che avrebbe potuto svolgere benissimo anche andando in bicicletta. Le consigliò di non vestire in modo appariscente, ma nemmeno demodè . Non doveva ingelosire le mogli, ma doveva comunque piacere ai mariti. Poteva capitare che qualche cliente facesse delle proposte, allora doveva sorridere, fare la finta tonta, ma anche fargli capire,con la massima gentilezza,che con lei, non c'era niente da fare.

Flavia lavorava tutto il giorno: era bella, simpatica e sapeva trattare  le persone.

Le signore si confidavano con lei; i mariti pagavano più volentieri le loro rate guardando, di nascosto dalle mogli, il bel decolté della donna.

La sera la donna portava l'incasso della giornata in ufficio, dove di solito era la segretaria a controllare le ricevute e a fare il riscontro dell'incasso, ma ogni tanto capitava che fosse Elia a compiere queste verifiche; così piano piano, giorno dopo giorno, il loro rapporto prettamente di lavoro, divenne qualcosa di più. Subentrò la curiosità dell'uno verso l'altro, dapprima domande generiche, poi sempre più personali, ma poste sempre con discrezione da ambo le parti. Un pomeriggio di ottobre, Elia stava tornando dalla casa del suo amico scrittore Marino Moretti che era stato poco bene, lo aveva trovato un po' invecchiato, ma stava riprendendosi. L'uomo si fermò sul Ponte Vecchio ad ammirare il tramonto:  uno spettacolo da cartolina.

"Buonasera!"

Elia si voltò di scatto. Flavia era ferma davanti a lui tenendo nelle mani il manubrio della bicicletta. Si guardarono negli occhi. Lui l'attirò verso di sè cingendola alla vita e baciandola con passione. Lei rispose al bacio con altrettanto trasporto. Si trattò solo di pochi attimi, perché se fosse passata una guardia, li avrebbe multati per atti osceni in luogo pubblico.

Camminarono in silenzio, lei reggendo la bicicletta, lui fumando una sigaretta. Arrivarono in ufficio a quell'ora deserto: tutto successe come se avessero sempre saputo che sarebbe accaduto.

A Lina non piacevano i fiorentini, li trovava beceri; secondo lei gesticolavano troppo, parlavano spesso ad alta voce; davano un soprannome a chiunque e lei la chiamavano"la milanese". Avevano spesso la battuta volgare e bestemmiavano. Le mancava Milano, la sua nebbia, la neve a Natale; l''atmosfera ovattata e le giornate luminose d'estate. Paragonava la sua città a una vera signora e Firenze a una contadina rivestita a festa. Una sera a Lina che era andata   con Elia, all'inaugurazione di un nuova rivista mensile per signore edito da  La Rosa,  fu presentato un signore che portava un cappello di paglia e un bastone: Odoardo Spadaro . Elia entrato in confidenza con l'artista, gli aveva parlato delle critiche di sua moglie.

"Lei è di Milano? Non giudichi troppo severamente la nostra cittadina e noi fiorentini. Siamo persone concrete; artigiani e commercianti. Grandi lavoratori come voi  milanesi. Siamo gente alla bona . Voi milanesi avete il cuore in mano, ma anche noi un siamo dammeno."

Così l'artista parlò a Lina: sorridendo ed emanando una carica di simpatia incredibile.

La donna arrossì.

"Mi manca la mia città, ma mi trovo bene a Firenze." rispose .

"Venga con me signora De Michelis." Una volta davanti al microfono lo chançonnier annunciò:

" Vi presento un'ospite d'eccezione, è di Milano e ha tanta nostalgia della sua città. Cantiamo tutti insieme "Oh mia bella Madunina, però dopo anche "La porti un bacione a Firenze!"

Fu così che Elia, con meraviglia ed orgoglio, vide sua moglie duettare con Spadaro.

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