Capitolo Cinque.

"Betti sbrigati! Fatti vedere! Va bene, andiamo ."

Sua madre era elegantissima con una stola di volpi attorno al collo. In taxi Betti guardava gli occhi vitrei di quegli animali morti che le facevano senso, ma le piaceva accarezzarne il pelo morbido.

"Stai ferma Betti. Mi raccomando, comportati come una signorina ben educata!" le raccomandò la donna

  Entrarono dentro a Palazzo Pitti, dove diverse persone andavano e venivano. Lina consegnò un cartoncino a un usciere che le accompagnò in una sala, al centro della quale si trovava una pedana circondata ai due lati, da delle file di poltroncine. Dal soffitto pendevano dei grandi lampadari di cristallo. Giorgia, figlia di una carissima amica di Milano di Lina, faceva l'indossatrice e le aveva invitate ad assistere alla sfilata.  

" Adesso Betti stai bene attenta a quello che ti dico, anche tra 50 anni ti dovrai ricordare di questo pomeriggio, ci troviamo nella sala bianca di Palazzo Pitti e assisterai a un bellissimo evento. Porta nel tuo cuore questo ricordo: io e te qui insieme, vedrai che sarà come un bellissimo sogno." le raccomandò sua madre.

La sfilata ebbe inizio con bellissime donne che camminavano sulla passerella sicure su tacchi altissimi; quasi tutte portavano un cappello ed avevano un'eleganza non solo nei vestiti, ma soprattutto nel portamento, nel modo di girarsi, di guardare davanti a sé. Giorgia era bellissima, ma con quel vestito da sposa bianco, alla bambina sembrò una fata.

"Guarda Briciola, così si cammina. senza far cadere il libro dalla testa.  Come mi piacerebbe da grande fare l'indossatrice, così mi vestirei con  abiti da sogno."

*FLASH BACK*

"Lina ti devo parlare!"

La donna alzò lo sguardo dal piatto allarmata dal tono di voce serio del marito.

"Ti devo comunicare una notizia che non ti piacerà: dobbiamo trasferirci in Sardegna."

"In Sardegna! In mezzo alle pecore e ai briganti?"

La donna si rammentò di quanto aveva letto nel libriccino donatole dal prete La sposa cristiana : "La moglie seguirà il marito ovunque egli creda opportuno fissare la dimora" e fu presa dallo sconforto.

Dopo qualche giorno, dalla campagna arrivarono Elisabetta con il marito. La cognata Arianna telefonò chiedendo a Lina se Elia sapesse la pazzia che stava facendo, avvertendola che si sarebbero potuti trasferire  in Svizzera, dove c'erano lavoro e sicurezza.

I vicini di casa vennero  a salutare Lina.

"Sembra che partiamo per l'Abissinia, ma siamo sempre in Italia. Non posso rifiutare, me lo ha chiesto La Rosa in persona."

"Ma perché?" chiese Lina.

"Tesoro, vuoi che il partito mi mandi direttamente al confino? Vuoi che mi ridiano l'olio di ricino?"

In quel mentre bussarono alla porta.

Era il vicino di casa Luciano Deidda, che abitava a Milano da diversi anni, ma proveniva da Nuoro.

"Prendete questa busta sig De Michelis, vi servirà in Sardegna nel caso dovessero fermarvi, se ciò capitasse, consegnatela chiusa, mi raccomando non dovete aprirla per nessun motivo."

"Ma chi ci fermerà?"

"I briganti!" esclamò Lina scoppiando a piangere

"State tranquilla signora, con questa lettera non vi succederà niente. Voi fate tanto per i nostri bambini, che nessuno vuole che vi capiti qualcosa di brutto. Mi raccomando, consegnate la busta all'uomo che sarà più in dietro di tutti gli altri."

La moglie del sig. Deidda, prima di rincasare il pomeriggio dal lavoro, bussava alla porta di Lina, la quale indossata una giacca di grosso panno grigio scuro, usciva sul ballatoio. La vicina di casa che si chiamava Grazia, l'accompagnava a casa sua, per spiegarle cosa volesse dire vivere in Sardegna. Le mostrava delle foto di Nuoro, della campagna, del mare. Lina era sempre più innamorata di quell'isola, cercava di imparare qualche frase in nuorese ed era bravissima a ricordarle e a ripeterle. Con i capelli neri ondulati, grazie anche al ferro che dopo aver scaldato sulla fiamma del fornello, lo usava per avvolgere le ciocche dei capelli per qualche minuto; con i suoi occhi neri e un sorriso meraviglioso, piccola di statura, ma proporzionata e con un bellissimo decolté, sembrava una bellezza sarda.

Grazia le spiegava come avrebbe dovuto comportarsi, specie con le altre donne, per cercare di integrarsi ai loro usi e costumi e farsi accettare.

Lina stava appoggiata al parapetto del piroscafo. Faceva freddo, ma la donna era incantata dal mare: non lo aveva mai visto, se non nelle cartoline spedite da Elia in giro per l'Italia e al cinema. Adesso poteva ammirarne il meraviglioso colore azzurro, in certi momenti uguale al colore del cielo; respirare l'odore del salmastro.

A Olbia Elia acquistò una fiat 508 da un signore che lo aspettava al porto. Caricarono i bagagli e partirono verso Nuoro.

A un certo momento videro un grosso tronco d'albero per terra, a causa del quale Elia fu costretto a fermare l'auto.

"Lina, dammi la lettera."

Lei la consegnò  al marito senza parlare. Stavano fermi, immobili: l'uomo stringeva il volante, la donna il suo rosario di madre perla.

Apparvero all'improvviso su dei cavalli quattro uomini vestiti con pantaloni alla zuava, in testa portavamo dei cappelli che Lina aveva visto solo nelle fotografie mostratele dalla signora Grazia.

"Sicuramente quello che mi ha venduto l'auto li ha avvertiti, ecco perché mi ha consigliato di passare da questa parte."

Mentre diceva questo, Elia abbassò lentamente il finestrino mostrando la busta.

"Speriamo che sappiano leggere." mormoro' Lina.

Uno dei briganti allungò la mano per prenderla, ma il marito facendo di no con  la testa, disse: 

  "La devo consegnare personalmente a lui." indicando l'uomo che se ne stava più in dietro di tutti gli altri, il quale scese da cavallo e andò a prenderla; l'aprì leggendola silenziosamente. Dopo qualche minuto se la mise in tasca, dando degli ordini ai suoi uomini, due dei quali partirono spronando i cavalli al galoppo. 

Elia e Lina entrarono a Nuoro scortati da due briganti e una scia di bambini festosi .

Furono i 3 anni più belli della loro vita.

Andarono ad abitare nel centro di Nuoro in una casa in pietra. Lina ed Elia fecero il giro delle stanze: nella cucina si trovavano un grande tavolo con sedie impagliate e un grande caminetto. In camera da letto, due lettini erano stati avvicinati a formare un letto matrimoniale con un unico materasso. Sopra al muro era stato appeso un semplice crocifisso in legno. Sul soffitto c'erano  grosse travi di legno scure. I due sposi si tenevano per mano mentre osservavano attorno a loro.

"Ho una pistola in tasca e quando uscirò il giorno dovrai tenerla con te." bisbigliò il marito all'orecchio di Lina, come se temesse che qualcuno potesse udire ciò che diceva.

In quel mentre sentirono bussare alla porta.

"Aspetta qui!"ordinò alla moglie Elia, mentre andava ad aprire la porta. 

Udivano delle voci provenire dall'esterno.

Come foglie portate dal vento, entrarono donne e bambini. Le donne portavano dei piatti con del cibo e si diressero verso il tavolo della cucina, dopo aver salutato Lina.

Poi entrarono una decina di uomini.

Qualcuno accese il camino.

Furono portati vino e bicchieri, insomma si fece festa fino a tardi.

Ridevano tutti, quando Lina parlava ai bambini in milanese e quelli sembravano capirla, ma disse anche qualche frase di ringraziamento in sardo .

A un certo momento Elia e Lina furono invitati a spostarsi sull'uscio di casa, una donna cominciò a lanciare verso di loro, prendendoli da un vassoio, petali di rose, riso e chicchi di grano,questo era un'usanza del posto, per augurare agli sposi, un matrimonio felice, ricco e fertile.

Elia passò quei tre anni in giro per la Sardegna e spesso Lina lo accompagnava, così scoprirono sapori, odori unici. L'uomo era innamorato della Barbagia dove andava a caccia con altri cacciatori. La sera cucinavano la selvaggina nel caminetto e festeggiavano.

La donna  amava la costa, il mare, l''odore del salmastro che si univa a quello  del mirto. Tutto era selvaggio, naturale, vero, come le persone che conosceva, dalla moglie del prefetto al pastore avevano una caratteristica in comune: erano leali, sinceri.

Quando scriveva a Elisabetta sperava di far capire alla sorella cosa provava a vivere in quell'isola, ma poi iniziava a piangere, perché era assalita dalla nostalgia di Milano.

Un'altra caratteristica dei sardi che piaceva tanto a Lina, era il fatto che fossero molto religiosi.

La mattina presto  andava con altre donne alla prima messa nella Chiesa della Madonna della solitudine, per poi recarsi nei campi ad aiutare le  contadine; quando una di loro era presa dalle doglie, si sdraiava per terra, mentre stava partorendo, le compagne le facevano cerchio attorno allargandosi le lunghe e larghe gonne, a mo' di paravento.

Durante le feste, sagre, Lina indossava il il vestito tipico nuorese: una lunga gonna nera, camicetta bianca con maniche gonfie e rifiniture in rosso, fazzoletto nero in testa, uno scialle rosso se faceva fresco sulle spalle.

Una volta la vide il fotografo Sebastiano Guiso che volle fotografarla.

Quella foto colse lo sguardo di Lina felice e melanconico nello stesso tempo:era bellissima.

La foto fu fatta incorniciare e appendere nel salotto di casa, accanto a uno specchio ovale, non tanto grande, con una cornice di legno dorata.

Durante la festa di Sant'Antonio Abate, furono accesi 40 fuochi, ma il fatto che scioccò Lina furono gli uomini che portavano delle maschere "mamuthomes". Guardava questi uomini che danzavano al ritmo di una musica che per lei era ossessiva provandone paura.

Quella sera così scrisse a sua sorella:"Cara Elisabetta,stasera hanno festeggiato Sant'Antonio Abate in città con la messa e poi è iniziato il Carnevale. Gli uomini avevano il viso nascosto da delle maschere orrende, che stremisi. Stanotte avrò gli incubi."

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