8. GRACE

Gli ospiti erano andati via. I camerieri anche. Camille si era infilata nella vasca per "sciogliere i nervi della giornata".

Potevo scappare.

Afferrai la grossa scatola dal letto e indugiai con lo sguardo sul mio cellulare.

Portarlo o non portarlo?

Alla fine decisi di non farlo. Non avevo bisogno di essere disturbata.
Quella serata doveva essere per me e me soltanto.

Mi chiusi la porta alle spalle e attraversai il corridoio silenziosamente.

Le stanze erano tutte tranquille, tranne quella di Ben, da cui derivava musica metal sparata a tutto volume.

Per un attimo fui tentata di bussare e avvisarlo di abbassare il volume se non voleva ricevere una spiacevole visita da nostro padre, ma poi ricordai a me stessa il mio mantra per quel giorno.

Solo per te.

Questa serata è solo per te.

Affrettai il passo e scesi le scale.

L'aria fresca della sera mi colpì il viso mentre mi chiudevo il portone alle spalle.

Sfilai le chiavi dalla tasca e sbloccai l'apertura della macchina. Infilai la scatola nel portabagagli e scivolai al posto del guidatore.

Per un attimo il mio sguardo si perse nel vasto giardino, dove avrebbe dovuto essere celebrato il mio matrimonio. Tutte le decorazioni erano state tolte, rimaneva solo lo scheletro del gazebo e i tavoli di plastica che avremmo riportato in garage il giorno dopo.

Il quadro appariva ancor più desolato di sera, al buio, con il vento che smuoveva l'erba e rischiava di portarsi via qualche sedia.

Ecco cosa era rimasto del giorno più importante della mia vita.

Prima che potessi farmi prendere dall'angoscia, girai la chiave nel cruscotto e misi in moto. Le strade erano buie e deserte, tutto sembrava rispecchiare il mio stato d'animo. Solo le vie del centro erano scarsamente popolate.

D'altronde quello era un giorno piovoso qualsiasi di Gennaio. Niente lo rendeva speciale o diverso dagli altri. Speciale lo era solo per me, che in quel giorno avrei dovuto sposarmi, ma in cui invece tutti i miei sogni e i miei progetti erano andati in fumo.

Continuai a guidare fino a giungere alla costa. Immaginai le chiamate perse sul mio cellulare, prima che tutti si rendessero conto che l'avevo lasciato lì. Immaginai la preoccupazione, Camille che cominciava a strepitare.

Solo per te stessa.

Continuai a ripetere.

Forse avrei potuto lasciare almeno un biglietto, ma avrei reso solo più tragica una situazione che di tragico aveva ben poco. Era solo tutto tremendamente patetico.

Scesi dall'auto e raggiunsi il portabagagli per tirare fuori la scatola. Bloccai le portiere e mi incamminai verso il pontile buio e deserto. Anche i pescatori erano andati via, pronti a ritornare l'indomani mattina.

Le acque erano agitate, il mare schizzava fin sopra il pontile attraverso le sue onde burrascose. Mi lasciai raggiungere da quegli schizzi mentre mi riempivo le narici di quell'odore salmastro.

Continuai a camminare fino a raggiungere la fine del pontile, lì dove il mare era più agitato, lì dove le acque erano più profonde e il buio più fitto. Lì dove il confine tra il cielo e il mare si riduceva a una linea indefinita che si confondeva nell'orizzonte.

Il mezzo spicchio della luna lasciava il suo pallido riflesso sulle acque, ma l'effetto era ben poca cosa. Lì il buio inghiottiva ogni cosa.

Lì il buio avrebbe inghiottito anche me stessa.

La parte infantile di me stessa, quella che credeva che l'amore potesse davvero bastare.

Grace Price e il suo bagaglio di sogni infranti, di cocenti illusioni.

Lasciai cadere la scatola con un tonfo e poi mi lasciai andare anch'io, atterrando sulle ginocchia. Sentii la pelle scorticarsi e cominciare a bruciare, ma non ci badai.

La mia attenzione era concentrata sulla scatola. Era lì che era racchiusa gran parte di me. Sollevai la parte superiore e i miei occhi, nonostante il buio, riuscirono a delineare il contorno di ogni singolo oggetto.

Conoscevo a memoria tutto quello che c'era lì dentro. L'avevo appena riempita. La scatola del mio vestito da sposa.

Le mie dita affondarono nei numerosi veli bianchi, mentre il mio sguardo saettava da una parte all'altra.

Una scatola di cioccolatini. Un orsacchiotto di peluche. La collana con il ciondolo dell'infinito. Una maglietta con il simbolo della sua squadra preferita. L'intimo rosso che mi aveva regalato per l'ultimo Capodanno. La lettera che mi aveva lasciato sotto il banco quando mi aveva chiesto il nostro primo appuntamento. Il portachiavi che mi aveva portato quando era andato a Madrid con la sua famiglia.

Darren non era uno che faceva continuamente regali, era il tipo che dimostrava diversamente il suo affetto. Con la sua presenza costante, con il suo modo di sdrammatizzare le situazioni più spinose, con il suo sorriso che mi scaldava sempre il cuore.

Ma cinque anni erano tanti. E in quella scatola avevo racchiuso tutti i piccoli simboli del suo amore.

Un amore che non esisteva più.

Che si era dissolto troppo velocemente.

O forse semplicemente non avevo mai voluto guardare in faccia la realtà.

Era quella la verità?

Continuavo a ripercorrere con la mente l'ultimo periodo che avevamo passato insieme. La sua reazione di fronte alla prima ecografia. C'erano state avvisaglie che non ero stata capace di cogliere?

Se c'erano stati dei segnali ancora non riuscivo a trovarli.

Forse non ero ancora del tutto lucida.

O forse Darren era stato troppo bravo a mentire.

Chi sei, Darren?

Ti ho conosciuto davvero? O ti ho sempre e solo guardato con gli occhi dell'amore?

Ho amato una persona che esiste o la trasfigurazione che mi sono creata nella mia mente?

Era quella la cosa che mi faceva soffrire di più. Ne era valsa la pena nonostante tutto o avevo passato cinque anni accanto a una persona che non avevo voluto vedere davvero, una persona che esisteva solo nella mia mente?

Una lacrima infuocata mi attraversó la guancia e sentii il contrasto con il vento freddo che tirava da lassù.

Il mio sguardo si concentró sull'acqua.

Torbida.

Gelida.

Tempestosa.

Sembrava rispecchiare il caos che avevo dentro.

Ero davvero sicura di volerlo fare?

Chiusi gli occhi e continuai ad annuire tra me e me.

Dovevo farlo.

Dovevo farlo per me stessa.

Aprii gli occhi e mi misi in piedi di scatto. Afferrai la scatola ai miei piedi e il mio sguardo si spostó nuovamente sulla distesa scura davanti ai miei occhi.

Bastava un piccolo slancio.

Perché allora faceva così male?

Perché quel semplice gesto sembrava risucchiare tutte le mie energie?

Sentii le mani cominciare a tremare e temetti di perdere la presa sulla scatola.

Adesso o mai più.

Pensai e poi lo feci.

Chiusi gli occhi e impressi tutta la forza che possedevo in quel semplice movimento.

Aprii gli occhi giusto in tempo per vedere la scatola venire inghiottita dall'acqua scura.

Un'altra lacrima.

Poi un'altra e un'altra ancora.

La scatola era annegata e con essa quella parte di me che aveva creduto con tutta se stessa a una favola che si era frantumata in pochi istanti.


A. A.

Buon Ferragosto in anticipo a tutti! 😘😘

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