5. CAMILLE
I richiami di mia madre si persero alle mie spalle mentre continuavo a seguire Grace.
Le sue spalle non erano più scosse dai singhiozzi, ma potevo immaginare lo stato d'animo che gli albergava dentro.
O meglio non potevo.
Non avevo mai permesso che un uomo avesse il potere di schiacciarmi, di ridurmi in quello stato.
Spinse la porta della nostra camera e si infiló all'interno senza accendere la luce. Era chiaro volesse restare sola, ma non l'avrei lasciata annegare nella sua disperazione.
Non quella sera. Non con la ferita ancora così fresca.
Spinsi l'interruttore e la luce illuminò la sua figura rannicchiata sul letto, la testa nascosta sotto al cuscino.
Raggiunsi il mio letto posto esattamente di fronte al suo e sfilai i sandali con il tacco mentre cercavo le parole giuste da usare.
La verità era che parole giuste non esistevano e seppure ci fossero state non sarei stata io a trovarle. Consolare le persone non faceva per me.
Io ero più adatta ad affondare il coltello nella ferita, a girare il dito nella piaga.
"Così hai avuto ragione" fu lei la prima a prendere la parola. Aveva disseppellito la testa da sotto il cuscino e mi osservava con un sorriso abbozzato che somigliava più ad una smorfia.
Stava cercando di non mandarmi a fanculo, capii.
Io lo avrei fatto.
Nella lontana eventualità in cui mi fossi ritrovata nella sua situazione non era difficile immaginare come avrei reagito. Avrei cominciato a sbraitare, distruggere cose e non avrei voluto vedere nessuno.
Eravamo così diverse anche in quello.
"È la prima volta che non mi fa piacere poter dire te l'avevo detto" lo dissi così, a metà strada tra la presa in giro e la serietà perché mettermi a conversare a cuore aperto con mia sorella non avrebbe mai fatto parte della mia natura.
"Già, magra consolazione" ribattè ironica, ma poi vidi il suo sguardo perdersi.
Che cosa avrebbe fatto con il matrimonio? Con il bambino? Con tutto quello che aveva progettato insieme a lui?
Se lo stava chiedendo ed erano le stesse domande che circolavano anche nella mia testa.
Tutto buttato nel cesso. Tempo sprecato.
Ecco cosa si guadagnava a fidarsi degli uomini.
Ma Grace non avrebbe dovuto sprecare altro tempo. Non l'avrei permesso.
Afferrai un peluche dalla mensola sopra la mia testa e glielo tirai contro centrandola in pieno. Sobbalzó e si voltó assumendo un'espressione torva.
"Togliti quell'espressione depressa dalla faccia e dormi" l'avvisai. "Domani si fa baldoria."
Le mie parole la lasciarono confusa. Inarcó un sopracciglio e mi guardó interrogativa. "Che significa?"
"Significa che domani, invece di festeggiare l'unione con quel depravato, celebri la tua libertà di donna libera. Credi davvero che butti nel cesso tutto il lavoro che ho fatto per organizzare solo perché ti sei scelta un senza palle?"
"Smettila di chiamarlo in quel modo" ribattè lei contrariata.
Era tutto quello che aveva da dirmi? Difendere il coglione che l'aveva mollata? Mi chiesi roteando gli occhi.
Era così tipico di Grace.
"A quale soprannome ti riferisci? Senza palle? Bastardo? Coglione?" elencai sapendo di infastidirla. "E comunque smettila di tergiversare. Quel fantastico abito che mi sono fatta fare non può restare nell'armadio a prendere polvere."
"Cosa mi stai proponendo, Millie?" chiese calcando sul soprannome. Quella volta era lei a volermi far incazzare. "Di mettermi l'abito da sposa e mangiare come una scrofa come se non fossi stata mollata all'altare?"
"Non la metterei proprio in questi termini" cominciai con aria pensierosa, poi spostai lo sguardo nel suo e schiacciai l'occhiolino. "Ma sì, il succo è quello" conclusi con un sorriso che lasciava presagire le mie cattive intenzioni.
"Tu sei pazza" rispose scuotendo la testa.
"Perché? Dimmi, preferisci per caso chiamare tutti gli invitati e disdire alle" controllai l'orario. "Due e mezza di notte?"
"Sei pazza" ripetè ancora.
Era un sì.
Lanciai un gridolino entusiastico e mi gettai sul suo letto rischiando di farla cascare giù.
****
Alle sette del mattino eravamo già giù dal letto ormai da un'ora.
Tiffany stava dando gli ultimi accorgimenti all'acconciatura di mia sorella quando varcai la soglia della stanza reggendo un vassoio tra le mani.
Succo, caffè e biscotti integrali.
"Colazione leggera dato tutto quello che dovremmo ingerire oggi pomeriggio."
Grace sollevò gli occhi al cielo e afferrò un biscotto infilandolo interamente in bocca. "Io sono incinta, quindi posso" spiegò scrollando le spalle in risposta al mio sguardo interrogativa.
"Mh, cominci a pretendere i tuoi diritti" commentai riflessiva, sorseggiando il succo. "Mi piace."
"Quale diritto?" farfuglió ancora con la bocca piena. "Quello di trasformarmi in una scrofa?"
Tiffany scoppió a ridere e io mostrai il dito medio a mia sorella.
"Tiff, non perdere troppo tempo dietro a questa ingrata. Qui c'è da aggiustare la vera regina della giornata."
"La vera regina?" ribattè Grace. "Sbaglio o ero io quella a dovermi sposare?"
"Eri, hai detto bene" specificai ridacchiando, poi le schiacciai l'occhiolino in risposta alla sua occhiataccia.
Non mi illudevo avesse smesso di pensarci, ma forse ironizzare sulla cosa le avrebbe almeno permesso di superare la giornata più o meno indenne.
Ad ogni modo quello era il massimo contributo che potevo offrire.
Battute pungenti e cinismo a raffica.
****
"Vorrei sapere a chi diavolo è venuta in mente quest'idea del cazzo" sentii una voce maschile borbottare mentre mi chiudevo la porta della camera alle spalle.
Ben vagava in corridoio come un'anima in pena, cercando invano di allacciarsi la cravatta.
Non si era ancora accorto della sottoscritta.
"Se ti riferisci alla festa della libertà, fratello" cominciai, facendolo sobbalzare. "Allora è stata una mia idea. Hai qualcosa da dire al riguardo?"
"Festa della libertà?" farfuglió confuso, stritolando la cravatta tra le dita. "Che diavolo è?"
"Una festa in onore della liberazione delle donne da voi sporchi uomini" chiarii, con un sorriso eloquente.
Mi guardó confuso per qualche secondo, poi scoppió a ridere fragorosamente. "Tu sei pazza" decretó scuotendo la testa. "Sicura di non essere lesbica?"
"Risposta prevedibile" replicai scrollando le spalle. "La classica risposta da maschio troglodita e ignorante. Femminista per voi equivale ad essere lesbica. Povero mondo!" sospirai melodrammatica. Mi staccai dal muro, pronta ad andarmene.
"E quel vestito potevi anche non indossarlo proprio per quanto sei scoperta" continuò.
Sorrisi. A Benjamin piaceva provocarmi, ma poi puntualmente non riusciva a reggere il confronto con la Regina delle Provocazioni.
Quel giorno però mi sentivo buona e decisi di evitargli l'umiliazione. "Hai bisogno di qualcosa, Benji?" chiesi con un sopracciglio inarcato.
Lo vidi annuire a testa bassa. Non doveva essere stato facile per lui mettere da parte l'orgoglio, soprattutto con la sottoscritta.
Fece un passo e mi mostró la cravatta.
"Visto? Basta chiederlo in maniera gentile" ridacchiai provocatoria.
Lo vidi sollevare gli occhi al cielo mentre mi appoggiavo alle sue spalle per far passare la cravatta intorno al colletto della camicia. Restava troppo alto anche se avevo quindici centimetri di tacco.
"Le altre sono già pronte?"
"Solo io e Grace. Ryan e Timmy?"
"Stanno ancora dormendo" rispose. Quando i miei occhi scattarono sul suo volto per assicurarmi che fosse serio vidi che stava ridacchiando. "Noi maschi trogloditi non abbiamo bisogno di una giornata intera per prepararci."
Touchè.
"Millie!" mi richiamó una voce. Storsi il naso a quel soprannome, ma poi la mia espressione si rilassó quando vidi Nancy venirmi incontro nel suo vestito blu notte col cinturino in vita.
L'avevo scelto apposta per lei e come sempre non mi ero sbagliata.
"Luce dei miei occhi!" esclamai andandole incontro.
"Io vado" avvisó scocciato Ben, ma la mia attenzione era già completamente catturata da altro.
Nancy storse il naso e mi lanció un'occhiata obliqua. "Millie, ho dodici anni" precisó con tono scocciato.
Nancy era l'unica persona a cui permettevo di farmi chiamare in quel modo, l'unica persona che adoravo con tutta me stessa. O meglio che adoravo più di quanto adorassi me stessa.
Quando i nostri genitori erano tornati dall'ennesimo viaggio con quei due fagottini tra le braccia e il mio sguardo si era posato negli occhi blu di mia sorella, avevo conosciuto l'amore a prima vista.
Nancy non era davvero mia sorella, non di sangue, ma era cresciuta con me, tra le mie braccia, con i miei insegnamenti. Ogni giorno la osservavo e mi ritenevo sempre più soddisfatta del mio lavoro.
Nancy non solo somigliava a me in maniera inquietante, ma era la versione potenziata di me.
L'allievo che supera il maestro.
"Cosa c'è?"
"Avrei bisogno di un consiglio."
Angolo autrice:
Bene, per oggi è tutto.
Che ne dite della "Festa della Libertà" organizzata da Camille? 😂
E del suo rapporto con Nancy (anche se abbiamo visto davvero poco)?
A quanto pare Camille ha a cuore qualcun'altro oltre a se stessa... È credibile? 🙄🤔😂
Alla prossima 😘
Kaika
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