4. BENJAMIN
Buongiorno a tutti!
Oggi a sorpresa pubblicherò due capitoli di seguito in anticipo rispetto a quando mi ero programmata.
Il motivo è semplice: spulciando tra le notifiche mi è apparso un concorso abbastanza carino. Non l'avevo programmato nè tantomeno avevo pensato di partecipare a un concorso così in fretta, però l'idea mi è piaciuta. Tra i requisiti del concorso c'era quello di avere almeno cinque parti pubblicate e quindi eccoci qui!
Spero questo doppio aggiornamento possa far piacere anche a voi 💓💓
Buona lettura!
"Quanto diavolo ci mette?" blateró per l'ennesima volta Camille dai sedili posteriori.
"È uscita da due minuti, cazzo!" sbottai. "Dalle il tempo!"
Stare chiuso lì dentro a stretto contatto con quella donna stava mettendo a dura prova la mia pazienza.
"Perché?" chiese, sollevando lo sguardo dal cellulare e inarcando un sopracciglio. "Quanto credi ci voglia per scaricarla?"
Quelle parole.
Quel tono provocatorio.
La sua espressione costantemente scazzata.
Un ringhio proruppe dalla mia gola e afferrai il volante tra le mani stringendo fino a far sbiancare le nocche.
Proprio allora il portone del condominio si aprì e ne venne fuori Grace, stretta nel suo cappotto nero. Il buio mal illuminato dai lampioni non permetteva di scorgere il suo volto.
Aprì la portiera e scivoló all'interno. Per un paio di secondi solo il silenzio colmó lo spazio tra di noi.
"Grace" cominciai, ma fui subito interrotto dal suono di un singhiozzo, poi un altro e un altro ancora.
L'aveva fatto.
Quel bastardo di Darren James l'aveva mollata a poche ore dal matrimonio, incinta di suo figlio.
Affondai le unghia nei palmi fino a sentirle penetrare la carne.
Dolore fisico.
Ne avevo bisogno per trattenere istinti violenti che avrebbero solo peggiorato la situazione.
Allungai un braccio sulle spalle di Grace e la spinsi contro il mio petto. La sentii aggrapparsi con le mani alla mia maglietta e vidi le sue spalle scosse dai singhiozzi.
Mi limitai a stringerla, rassicurandomi con il pensiero confortante che quel coglione l'avrebbe pagata.
E me ne sarei assicurato personalmente.
I singhiozzi diminuirono lentamente finché la sentii fare resistenza contro il mio petto per allontanarsi. La lasciai andare mentre la osservavo asciugarsi il volto bagnato.
"Grace" ripetei ancora, ma lei mi zittì con un gesto della meno.
"Andiamo a casa" disse solo, la voce rauca.
Esitai e lei se ne accorse. "Per favore" mi supplicó allora, con gli occhi ancora lucidi.
Sospirai e infine annuii.
L'auto si mise in un moto con un borbottio del motore e nel tragitto verso casa i pensieri non fecero altro che susseguirsi nella mia mente come biglie impazzite.
La sentii nuovamente. Quella frustrazione al centro del petto che si trasformava in impotenza e che mi faceva sentire come un uccellino in gabbia.
Un uccellino rabbioso pronto a tutto pur di liberarsi dalla propria prigionia.
Che cosa mi intrappolava davvero?
Rallentai sul vialetto di casa e aspettai che scendessero entrambe. Camille affiancó Grace e si avviarono insieme verso l'ingresso. Per una volta Camille non sembrava avere l'aria della ragazzina cinica e arrogante.
Era davvero una buona idea lasciarla sola con Grace dopo quello che era successo?
Spostai lo sguardo di lato e fu allora che la vidi. L'auto dei nostri genitori.
Erano tornati.
Erano tornati apposta per il matrimonio e adesso la cerimonia era stata annullata nel tempo di due secondi.
Chi avrebbe dovuto parlarci?
Non c'era troppo da pensarci, con ogni probabilità sarei dovuto essere io a prenderli da parte e informarli del triste esito della vicenda.
Strinsi i pugni e la sentii nuovamente. La voglia di tornare indietro, prendere quel coglione di Darren per il collo e trascinarlo al cospetto di Edward Price.
Probabilmente gli sarebbe passata la voglia di fare il coglione.
Sospirai prima di bussare.
Venne ad aprirmi Hannah con Alvis tra le braccia. La bambina aveva il bavaglio sporco di salsa e un sorriso sdentato sulla faccia.
Beata ingenuità.
"I signori sono appena tornati" mi informó Hannah con un'espressione preoccupata. Doveva aver già capito che c'era qualcosa che non andava e mi conosceva abbastanza da sapere quanto poco sopportassi avere i miei genitori in giro per casa.
"Sì, ho già visto l'auto fuori" risposi, poi la precedetti lungo il corridoio.
Varcai l'arco del salotto e lì, sul divano, era riunita la famiglia Price al completo.
Camille e Grace erano le uniche a mancare.
Ed ecco su chi ricadeva l'onere di spiegare quella situazione del cazzo.
Mia madre si mise in piedi e mi venne incontro nel suo tailleur color crema. "Benny, che è successo?" chiese con espressione preoccupata. "È entrata Grace in lacrime e Camille non ha voluto spiegarci."
Certo che non ha voluto, la stronza!
Aspettai che anche mio padre raggiungesse sua moglie prima di aprire bocca.
Non avevo intenzione di ripeterlo più volte del necessario.
"Darren l'ha lasciata."
Silenzio.
Mi veniva da ridere se pensavo che quella era stata la mia stessa reazione una ventina di minuti prima. Adesso invece avevo solo voglia di spaccare qualcosa.
La risata di Alvis che smanettava con il cellulare fu il primo suono a rompere il silenzio.
Poi mia madre spalancò gli occhi e si portò una mano alla bocca, i braccialetti che portava al polso tintinnarono. "Oddio!" boccheggió. "Non stai scherzando, vero?"
Come se ci fosse qualcosa di divertente in tutto quello.
Mi limitai a scuotere meccanicamente la testa.
Ero entrato in quella casa da appena due minuti e avevo già voglia di scappare via.
"E quando avevate intenzione di avvisarci?"
Eccola, quella voce. Avevo pregato di sentirla il più tardi possibile, ma ovviamente non potevo sperare che se ne stesse zitto tutto il tempo. Non dopo la bomba che gli avevo lanciato addosso.
"L'abbiamo appena saputo anche noi" ribattei con voce incolore.
Erano passati gli anni in cui mi ribellavo, in cui scalpitavo all'interno della gabbia che ci aveva costruito addosso. Una gabbia di parole mirate, di sguardi subdoli che ti affondavano dentro come pugnali. Adesso mi limitavo a sopportare stoicamente i rari momenti in cui ero costretto ad averci a che fare.
E non erano mai troppi. Miranda e Edward Price avevano sempre sentito il bisogno di dare soddisfazione alle proprie ambizioni.
Ambizioni troppo elevate perché potessero conciliarsi con una famiglia.
Peccato avessero dimenticato di usare le protezioni nei loro momenti di baldoria e quindi erano periodicamente costretti a tagliarsi dei buchi nel loro lavoro per venire a controllare che la casa non fosse implosa sotto l'impulso di otto figli, di cui la metà adolescenti.
"Quindi, fammi capire" cominció mio padre, battendo compulsivamente le palpebre in un tic nervoso. Tendeva ad avere reazioni eccessive quando le cose sfuggivano al suo controllo. "questo ragazzo ha annullato il matrimonio quando? Mezz'ora fa?"
Anche un po' meno, pensai.
"Esattamente" confermai.
Edward Price divenne così rosso che cominciai seriamente a preoccuparmi. Cominciò a borbottare insulti tra i denti, poi strinse i pugni e battè una mano sul tavolino di vetro, creando un gran fracasso.
Il vetro scricchioló pericolosamente e Alvis scoppió a piangere.
Vidi Hannah provare invano a calmarla finché fu Josy a prenderla in braccio, mi lanció un'occhiata e poi si allontanó con Alvis verso la cucina.
I restanti tre erano lì, seduti sul divano con gli abiti perfetti e le mani posate sulle ginocchia.
Il rituale che si ripeteva ogni volta che i nostri genitori erano di ritorno.
Persino Ryan, che stava sempre con le ginocchia immerse nel fango, adesso somigliava ad una sorta di royal baby durante i riti ufficiali.
Nancy mi guardava con l'espressione accigliata ma non osava proferire parola. Non in presenza di nostro padre.
To be continued...
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