Capitolo 7 - Brigdet
Io da sempre, tu per niente.
"Non posso tornare a casa" riesco a biascicare mentre James si affaccia sulla stanza piena di gente. Mi tiene tra le sue braccia come se fossi la sua principessa. Lo sei stata solo una volta ed era una messinscena.
Ricordo di essere arrivata con Margot, controvoglia. Mi ha trascinato qui solo perché voleva vedere Nicholas e perché considerava questa festa un buon modo per avvicinare James come il suo gatto Chany fa con gli uccellini. Furtivamente. Ci siamo sedute sui divanetti e mi ha detto che doveva dirmi una cosa importante. Se n'è scappata con un "se passo il test che ho fatto stamani sarò con te ad Oxford." Mi ha fatto urlare dalla felicità. Finalmente avrei avuto qualcuno con cui condividere le mie giornate! Felicità, però, durata ben poco: dieci minuti dopo il nostro arrivo, James appare sulla soglia vestito da Batman. Se non fosse stato per la sua bocca scoperta non lo avrei riconosciuto. Ma come fare a dimenticarsi quelle labbra?
Mi sono diretta verso il bancone dei drink giusto per buttare giù il fatto che anche lui fosse qui. L'ho visto scrutare la folla e il mio cuore ha iniziato a battere forte quando ho creduto che il mio sguardo avesse potuto incrociare il suo. Ma non è successo. Stava puntando un punto preciso, muovendosi tra la folla scansando con gomitate coloro che gli andavano addosso. Non credo, però, che sia arrivato a destinazione. Una bella mora l'ha fermato e non so per quanto tempo – forse una decina di minuti – sono stata ad osservarli mentre si strusciavano. Intanto al bancone era apparso un ragazzo castano, con i capelli corti e gli occhi verdi: ha chiesto due drink, uno per me. Ha brindato a un 'nuovo inizio' e insieme abbiamo tracannato il bicchierino. Ho tossito un paio di volte prima di afferrarne un altro e buttarlo giù con la stessa vivacità di quello prima. Mentre James continuava a fare la gastroscopia con la lingua a quella tizia avevo buttato giù altro liquido e l'alcol si stava facendo sentire. Mi sono ritrovata senza forze ad affrontare quel bel fusto che voleva a tutti costi infilarmi la lingua in bocca. Poi tutto è degenerato: mi ha brutalmente baciato, mi ha lasciato bacetti umidi su tutto il collo e non ha tardato a toccarmi. Senza rendermene conto mi sono ritrovata a salire le scale, mi ha fatto stendere dolcemente sul letto della prima camera che abbiamo trovato e poi è iniziato l'incubo: mani e lingua ovunque.
Margot si sporge per guardarmi in viso poi torna a parlare con James: "E' colpa tua" gli dice.
Il mio salvatore deglutisce a fatica poi mi guarda: "La porto a casa mia."
Cosa?
Mi sveglio in un letto che non è il mio che però non tardo a riconoscere. Quanti ricordi in questa stanza! Tanti problemi risolti, troppe risate.
Mi guardo intorno e di James nessuna traccia. Mi torna in mente il modo in cui mi stringeva ieri sera, come se non volesse lasciarmi più.
"Ah, finalmente ti sei svegliata" appare sulla porta a torso nudo e io non posso fare a meno che ammirare il suo corpo. "Allora? Muoviti, ho da fare e devo ancora riportarti a casa."
Come non detto: la favola è finita. Cosa credevi che fossero tutte rose e fiori, adesso?
Mi rendo conto di avere indosso un pigiama: pantaloncini azzurri e maglietta grigia con tanti pinguini disegnati. È suo, è quello che gli arrivava alle ginocchia e che usava per stare per casa la sera dopo cena.
Sorrido: "Mi ricordo di questo."
Mi sembra di aver visto un ombra di un sorriso sul suo bellissimo volto ma si riprende subito: "Va' a cambiarti. Ti ho già detto che non ho tempo da perdere con te."
Una spada nel cuore mi avrebbe fatto meno male. 'Inutile piangersi addosso, reagisci e stupisci' dice sempre mia madre quando mi vede in difficoltà. Non le do mai ascolto ma adesso è arrivato il momento di mettere in pratica le sue parole. Mi cambio velocemente e quando raggiungo la cucina James sta parlando al telefono. "Arrivo non appena riesco a togliermela dai piedi."
Il mio cuore perde un battito e non ci vedo più: "Non hai bisogno di togliermi dai piedi, stronzo. Vai pure dove vuoi, non ostacolerò i tuoi piani. Torno a piedi."
Sbatto la porta di casa e esco all'aria aperta respirando l'odore della pioggia. E no, non è successo come nei film americani: lui non mi ha inseguito, non mi ha preso per un polso, non ha fatto combaciare il suo corpo con il mio e non ha fatto toccare le nostre labbra. Mi ha lasciato andare, ancora.
Ieri, quando l'ho lasciato di fronte a casa sua, ho incontrato suo padre Jim. Ed è incredibile come riesca a farmi sentire importante. Abbiamo passato 15 minuti a parlare: mi ha domandato varie cose e prima di salutarmi mi ha fatto restare a bocca aperta: "Era bello averti sempre per casa e anche James era più felice quando c'eri tu" mi ha detto. Non direi visto il suo comportamento di cinque minuti fa.
Dopo quindici minuti di camminata prendo la decisione: non resterò in questa città un'ora in più. Devo riuscire a lasciare tutto alle mie spalle, devo dimenticarlo e devo cominciare a vivere senza il suo ricordo e senza la speranza che tra di noi possa esserci davvero qualcosa.
"Mamma stai tranquilla, ci ho messo tutto!" la guardo dal basso mentre cerco di chiudere la valigia. È rimasta interdetta quando le ho detto che sarei partita tre giorni prima del dovuto. Sono sempre la sua bambina e non avermi tra i piedi tutti i giorni la fa diventare triste. Anche a me manca più del dovuto: non sono mai stata una di quelle figlie desiderose di andare via di casa perché private della libertà. I miei mi hanno sempre permesso tutto – nei limiti del possibile – e posso solo ringraziarli.
"Mi mancherai tanto" confessa e la voce si spezza. Odio vederla piangere e mi dispiace lasciarla di nuovo. Odio gli addii e sento un nodo alla gola che non mi permette di parlare. Ma devo eliminarlo, devo farmi vedere forte: se cadessi nella debolezza sarebbe un disastro per entrambe.
"Con due ore sarai da me!" esclamo cercando di farla stare meglio. Le aprirò le porte della mia camera tutte le volte che vorrà e so che se un giorno volessi tornare qui sarò la benvenuta.
Mi mancava questa camera dalle mura rosse. Non ho idea di come siano le altre stanze ma rispetto al solito e monotono bianco d'ospedale preferisco di gran lunga il buio che crea questo colore. La camera è cupa di notte ma di giorno risplende. I due letti singoli sono perfettamente allineati, le scrivanie sono poste rispettivamente una a lato e l'altra ai piedi dei due letti. Ci sono due piccoli armadi accanto a quelle che chiamo 'campi di combattimento'. Eh si, perché io sopra la scrivania dichiaro guerra ai libri. Mi butto a capofitto sul letto accanto alla finestra, fregandomene di chi arriverà dopo di me. Se arriverà. Mi hanno appena comunicato che la vecchia compagna di stanza ha cambiato dormitorio così io sarò sola finché non troveranno qualcun altro da affibbiarmi. Non che mi dispiaccia: Karolina era strana e porto avanti la mia convinzione che lei vivesse di notte e di giorno dormisse. Tutte le volte che tornavo da lezione la trovavo addormentata nel letto e non appena io infilavo sotto le coperte, lei usciva tutta scoppiettante.
Rifletto su come cambierà la mia vita da questo momento. Se fino ad ora sono stata a cazzeggiare tutte le vacanze estive, adesso posso dare il benvenuto ai pomeriggi pieni di studio, libri e ansia.
E lavoro.
Domani inizierò la stagione invernale allo Student's Point. Bussai alla porta di questo bar un grigio e freddo pomeriggio di dicembre, prima delle vacanze natalizie. I due proprietari mi squadrarono divertiti: non capita mica tutti i giorni che una ragazza bagnata dai capelli fino alle dita dai piedi chieda lavoro come barista! Mi dissero che non avevano molto bisogno e che ci avrebbero pensato su. La chiamata arrivò dopo Natale e ne fui più che felice. I miei genitori avevano insistito a lungo per pagarmi le rette universitarie ma io ho sempre preferito l'autonomia. La libertà che ti da uno stipendio a fine mese non è – seppur molto gratificante – uguale al messaggio di tua madre che dice di aver versato metà del suo stipendio nel conto corrente bancario di Oxford.
Abbandono il comodo letto per una passeggiata nel cortile alla ricerca di volti conosciuti e di qualche amico. Non che ne abbia molti ma sono quasi sicura che troverò lui lì ad aspettarmi nella stessa panchina. Il nostro rapporto è un casino. Un gran casino.
Ricordo quando l'ho visto per la prima volta: io ero seduta in tribuna ad aspettare che la partita iniziasse. James mi aveva invitato a fare il tifo per lui e per la sua squadra.
Avevo dodici anni e ero perfettamente in grado di capire i segnali che mi mandava il cuore. Come fare a rifiutare l'invito del ragazzo che ti piace? Ecco, io non l'avevo mai fatto. Così, tutti i sabati pomeriggio mi trovavo sulle gradinate di quella tribuna a battere le mani per lui.
Ma quel giorno fu diverso: vidi questo ragazzo venire verso di me, credevo che fosse James così lo salutai, scesi velocemente le scale della tribuna e mi avventai alla rete. Solo quando eravamo a pochi metri di distanza mi accorsi che non era James bensì un suo compagno di squadra che gli assomigliava molto vista la pettinatura uguale a quella del mio migliore amico.
"Ciao" mi disse senza sorridere. Io, invece, feci il contrario: "Ciao!" esclamai tutta sorridente.
"Perché mi saluti se non ti conosco?" mi chiese. 'Mamma mia, come fanno i suoi amici a stargli vicini? E' così scorbutico!' pensai ma non mi arresi di fronte a quello sguardo duro.
"Credevo fossi James" ammisi guardando altrove nel campo cercando la chioma uguale alla sua.
"Sei amica di quello stronzo?"
Senti chi parla volevo rispondere ma fui più gentile: "Non parlare così di lui, è il mio migliore amico."
"Come ti chiami?" aggrappò una mano alla rete e aspettò che gli rispondessi. Non era così male come pensavo.
"Bridget, e tu?"
"Harry."
Il sabato era diventato quasi un rito salutarci e scambiare i soliti convenevoli. Fino a quando, nell'ultimo anno di liceo, si unì con il nostro gruppo. Da lì è scattato qualcosa e da quando frequentiamo gli stessi corsi qui ad Oxford ho scoperto in lui, oltre al ragazzo duro che vuol far credere di essere, una persona debole e con qualche paura.
Mi siedo sulla panchina e poco dopo tutto si fa buio. Due grandi mani sono fisse sui miei occhi e posso scommettere la casa dei miei genitori che si tratti proprio di lui. Harry.
Sorrido e scosto dai miei occhi le sue mani che si affretta a infilare in tasca e io mi devo trattenere dal buttarmi tra le sue braccia: odia le smancerie e non è così poi tanto socievole. Si apre con chi vuole e con la maggior parte della gente si comporta male. Per caso hai la calamita per questo genere di persone? mi domanda la vocina. "Bridget!" dice con tono calmo e distaccato mettendosi a sedere accanto a me e avvicinandosi al mio corpo. Se c'è una cosa che non ho mai capito di lui ma di cui ho fatto l'abitudine è il suo vizio di accostarsi a me. Da un anno a questa parte, quando parliamo non c'è una volta che il suo viso sia a pochi centimetri di distanza dal mio. Le prime volte odiavo questa sua attitudine ma, con il passare del tempo, ho capito che faceva parte di lui.
"Come sono andate le vacanze?" É la prima cosa che mi viene in mente da chiedergli. Lui sospira e comincia a torturarsi le unghie, anche questa é una cosa che gli ho visto fare spesso. Vuole apparire calmo ma so con certezza che dentro di lui c'è la guerra.
Lui sospira: "Di merda."
"Ma come? Mi avevi detto che saresti andato nella casa al mare di tuo nonno insieme a Jane!" esclamo incredula. Jane e Harry stanno insieme da 1 anno e mezzo: si sono conosciuti per l'ultimo dell'anno e ci hanno subito dato dentro. Nessuno dei presenti alla festa gli avrebbe dato un futuro come coppia ma evidentemente si sbagliavano.
"Si ci siamo stati ma è stato noiosissimo" ammette sconfitto. "Io volevo chiamare anche i nostri amici ma lei diceva che avremo finito per perderci e per combinare cazzate. Brith, io non la sopporto più."
"Lasciala no?" troppe volte ho fatto parte a questa conversazione, con le stesse parole, stesse domande e stesse risposte.
"Non posso." Lui risponde sempre così ma in realtà non vuole ammettere che è innamorato pazzo di lei e non riuscirebbe a stare senza. "Tu?"
"Ho rivisto James" gli dico la prima cosa che mi passa per la testa e rimango male quando mi sento pronunciare quelle parole. È sempre al centro dei tuoi pensieri, mi rammenta la vocina.
Lui, accanto a me sussulta: "Cosa? E Dove?"
"A Doncaster, la sera dello spettacolo dei bambini della parrocchia." Spiego.
Adesso sta dondolando insistentemente la gamba, cosa che fa quando è nervoso. È davvero un bel ragazzo e non nego che mi attira un po': è moro, ha i capelli corti e gli occhi chiari; è muscoloso e più alto di me.
"C'ero anche io, ma non l'ho visto." Confessa confuso. Io lo guardo male e poi mi alzo di fronte a lui: "Che stronzo! Potevi passare a salutarmi, almeno."
Lui scuote la testa e alza le spalle e a me sale il nervoso. A sentire lui sembra che non gliene freghi niente di me, non passa a salutarmi e aspetta sempre che lo faccia io. Non mi scrive e dice che lo potrei fare benissimo io.
Visto che continua a non rispondermi e a fare il passivo mi allontano ma nemmeno questa volta vengo richiamata come si vede nei film americani. L'unica cosa positiva è che non mi aspettavo che lo facesse.
Spazio Autrice
Ciao! :) Per scusarmi della lunga attesa, ecco a voi un capitolo più lungo.
Entra in scena un nuovo personaggio: Harry. Secondo voi che ruolo avrà nella storia? E come influenzerà la vita di Bridget?
Se avete voglia di leggere qualcosa di diverso vi consiglio vivamente "Maledetta voglia di te" di sabrinaboccia6. E' una storia molto appassionante, vale la pena leggerla!!
Vorrei anche chiedervi una cosa: la storia vi piace? I primi capitoli avevano molte stelline invece adesso ne hanno meno. Vi prego di metterle: è una motivazione per andare avanti!! :)
Questo è tutto, ci vediamo in settimana con un altro capitolo! :)
Ire
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