Capitolo 40 - James
"Oh.. beh.. wow.. ciao James" mi ha salutato Margot sull'orlo della porta.
Non posso dire che si aspettava il mio arrivo.
Non me lo aspettavo neanche io.
Bridget mi aveva informato del suo cambio di residenza in una delle poche telefonate: era tutta euforica per il nuovo appartamento con la sua migliore amica ma non mi aveva detto l'indirizzo. Così sono stato costretto a passare allo Student's Point e chiedere al suo capo.
"Eh, Bridget non c'è. È andata in centro a finire la 'Santa Claus' mission'."
Me la immagino tutta indaffarata a spuntare i regali già fatti nella lista scritta un mese prima. Mi scapperebbe un sorriso, eppure non ci riesco.
"Posso entrare?" chiedo.
Non riesco a capire se ha paura che trovi qualcosa di compromettente che mi riveli la gravidanza di Brith o se è davvero tanto scossa dal mio arrivo che non riesce a collegare bocca-cervello-mani.
"Oh, ehm, si certo. Accomodati pure nel divano. Mi spiace se troverai qualche ago di abete, ma non dovrebbe pizzicarti le chiappe" scoppio a ridere e lei arrosisce "ti porto qualcosa, birra?"
"Acqua naturale."
La sua faccia rimane sbigottita per qualche secondo poi il suo viso si colora di viola non appena capisce a cosa ha alluso con quell'espressione.
Possibile che tutti si scandalizzino se chiedo acqua da bere?
"Le bolle non mi piacciono" sdrammatizzo e in parte ci riesco. Margot scoppia in una risata liberatoria e il suo viso si stinge di qualche tono diventando un rosa acceso. Avrei potuto risponderle di peggio, offenderla e insultarla ma non mi è mai rimasta poi così tanto antipatica, anzi.
"Ecco."
Torna dalla cucina con il bicchiere al limite della capienza e non riesco a trattenermi: "è vero che non la bevo spesso ma non vivo mica nel sahara!"
Margot assume lo stesso colorito violaceo: "scusa.. io.. non volevo intendere quello.."
"Rilassati, stavo scherzando."
Rilascia visibilmente le spalle e attende che finisca il liquido.
"Come vi trovate in questa casetta?"
Se voglio scoprire qualcosa, devo far sì che si senta a suo agio.
"Bene, è piccola ma c'è tutto."
Annuisco. "Bridget come sta?"
"Alla grande. Oggi è tornata da lavoro e è andata in centro; sarebbe dovuta andare a comprare qualche pensierino, li ha scritti in una lista e mi è sembrato di capire che i negozi sono tutti nella strada principale. Non so con cosa sei venuto, però posso accompagnarti se vuoi andare a farle una sorpresa; sono sicura che non vede l'ora di vederti."
E magari dirmi la verità.
Bridget mi ha detto varie volte che la parlantina di Margot può essere eccessiva. E sicuramente qui non ha mentito: non mi ricordo già che cosa ha detto a inizio frase!!
"Preferisco farmi trovare qui a casa. Anzi, se non ti dispiace mi dici qual'è la sua stanza così quando torna mi trova lì?!"
Margot è titubante, sono sicuro che vorrebbe dirmi di no. "Non spacco niente, promesso."
Bridget potrebbe averle raccontato della mia passione per tirare pugni a oggetti animati e non, e potrei metterla in imbarazzo a fare leva su certi argomenti.
"Beh, si. Le farebbe piacere, ovvio!" si guarda intorno, magari sta cercando il suo angelo custode per farsi suggerire qualche scappatoia "è infondo al corridoio a destra."
Soddisfatto delle mie doti di adulatore, la ringrazio e mi dirigo verso la stanza da lei indicata.
"Ah James!" mi richiama "io esco. Puoi dirlo tu a Brith che sono in biblioteca a studiare con Nicholas?"
Annuisco: "lo farò."
Quando la porta si chiude e Margot finisce di girare a chiave la serratura chiudendomi dentro, inizio a smantellare la camera.
Deve esserci.
Una prova di questa assurdità.
Deve esserci.
Apro i cassetti e non trovo altro che biancheria intima, jeans, magliette e qualche vestito.
L'armadio è pieno di camicette colorate, piumini, giubbotti di pelle e scatole.
Le apro tutte, non contengono niente di speciale. Poi ce n'é una che cattura la mia attenzione: è grigia e una grande scritta arcobaleno la definisce "scatola dei ricordi".
Calmo un po' la foga e mi prendo cinque minuti di pausa per sbirciare.
All'interno ci sono le nostre foto, tutte. Quelle che facevamo quando avevamo i telefoni con lo sportellino, tutte sgrante. Quelle che ci facevano i nostri genitori ai compleanni, quelle delle recite.
Infondo, noto un cartoncino giallo. Il mio cuore affonda nel petto appena capisco di cosa si tratta.
Eravamo in quinta elementare, undici anni. Era la giornata mondiale dell'amicizia e la maestra Lucy non perdeva mai occasione di farci celebrare queste piccole ricorrenze con attività fuori dalla lezione ordinaria. Arrivò in classe con questi cartoncini gialli, ripiegati in due a forma di librettino. Ce li consegnò, uno per uno. E poi ci spiegò che dovevamo scriverci sopra una dedica e consegnare il foglietto all' "amico più amico", così lo aveva definito.
~la nostra amicizia durerà per sempre. Te lo giuro sul gol che ho fatto domenica. James~
E così lo consegnai a Bridget. E lei mi consegnò il suo.
Inseparabili ma separati.
Io lo avevo buttato quando, a sedici anni, pulii la soffitta. Mi sembrava inutile tenerlo quando tra me e lei non c'era nient'altro che indifferenza.
Lei, invece, lo aveva tenuto.
Sospiro, ferito.
Inserisco alla rinfusa tutto quello che ho tirato fuori e vado in soggiorno. Lì qualcosa ci deve essere.
Apro i cassetti del mobile dove sopra ci è posizionata la tv.
Niente. Solo libri da leggere, libri univeristari, qualche candela, una sveglia e altri aggeggi vari.
Nessuna relazione di un ginecologo, nessun referto di pronto soccorso, nessuna ecografia.
Non ho nessuna prova per scagionarla.
Rassegnato, mi butto a peso morto nel divano.
Poi, l'illuminazione.
Il regalo di Natale! Deve avermelo pur fatto, no? Magari potrebbe svelare qualcosa!!
Inizio a scartare i vari pacchetti sotto l'albero: una felpa che dalle dimensioni presumo sia del fidanzato di Margot, un salame con attaccato un biglietto tutto colorato - anche questo non deve essere di Brith, una cover, e.. Bingo!!
Gli occhi si inumidiscono da soli alla vista di questo piccolo pezzo di stolla azzurra.
C'è. Mio figlio esiste.
Nessuno scherzo di cattivo gusto.
Insieme al body, giace un braccialetto nero con una targhetta di argento al centro:
Louis.
Piano piano mi riaffiorano alla mente i ricordi di quel pomeriggio in cui lo decretai il nome di mio figlio.
E Bridget non ne padella una.
Preso da un impeto di rabbia passo la mano sopra il tavolino e scaravento tutto in un angolo del piccolo salotto.
E prima di rendermene conto sto già prendendo le chiavi dal gancio accanto alla porta e sto uscendo.
Un bar.
Appena trovato mi ci fiondo dentro e per passare inosservato, aggiungo alla mia carrellata di alcolici un panino.
Infondo sono le sette di sera, è normale che un ragazzo di ventidue anni voglia mangiare e divertisi, no?
Evidentemente si, visto che il barista non fa nessun commento, con gli occhi bassi registra i miei acquisti in cassa e prende i miei soldi con foga.
Perfetto. Adesso posso tornare in casa.
Finisco le tre bottiglie di birra in un batter d'occhio e ho bisogno di altro.
Il senso di colpa per adesso tace.
La consapevolezza di essere uno stupido si fa sentire.
Eppure non mi basta per fermarmi.
Apro tutti i mobili della cucina e quando ho quasi perso la speranza, nell'ultimo trovo un paio di bottiglie di super alcolici. Whisky, Vodka e Baylis.
Scarto l'ultimo, troppo dolce da bere senza vomitare.
Scolo gli altri due e mi accascio a terra.
Non ci vuole molto prima che facciano il loro effetto. Il mio corpo era abituato a non bere più questi troiai e adesso capisco benissimo l'espressione di Margot quando le ho chiesto un bicchiere d'acqua.
James Walker che beve acqua.. ma di chi si sta parlando esattamente?
Sto per diventare padre e sono ubriaco, rannicchiato in una cucina con bottiglie vuote sparse ovunque e con lo stomaco in fiamme.
La ragazza che ho capito di amare sta per diventare la madre di mio figlio e sta per tornare a casa.
Sarà sicuramente contenta di vedermi in questo stato.
Bene! Poteva almeno dirmi la verità. Poteva almeno rivelarmi che di qui a breve la mia vita sarebbe cambiata.
In peggio.
Mi alzo barcollando, apro il primo cassetto e afferro un paio di forbici.
Apro in due e divido ancora il piccolo body azzuro. Poi faccio a metà il braccialetto e lascio che la targhetta di metallo cada a terra.
Forse dovrei sentirmi più libero, invece mi sento una merda.
L'arrivo di un figlio mi spaventa.
E poi io non sono nemmeno in grado di guardare me stesso. Sennò non sarei in queste condizioni e non magari avrei provato a ragionare e trovare una soluzione a tutto questo macello.
Torno verso il mobile e mi attacco alla bottiglia di Baylis. Fanculo, ho bisogno di bere.
Guarda come sono ridotto. Che gli insegnerò a quel povero disgraziato che di qui e sei mesi verrà alla luce?!
I minuti passano, forse passano le ore. La mia testa non ha mai smesso di frullare in direzioni opposte, cercando di risolvere un problema in una strada senza sfondo.
Ho scopato senza preservativo. Inutile cercare un rimedio.
Inutile piangere sul latte versato, avrebbe detto mio nonno. E a me non viene in mente altro che quello che un neonato vomita sulla spalla della madre dopo aver mangiato.
La maniglia della porta si abbassa e Bridget appare sugli attenti. Chissà cosa si aspetta, una rapina a mano armata?
Quando mi vede, le buste della spese gli cadono di mano e prima di parlare sembra caduta in uno stato di trance.
Io mi soffermo invece sulla sua pancia sporgente. Pensare che lì dentro stia crescendo mio figlio mi crea una specie di sfarfallio nello stomaco che però non riesco a definire. La sporgenza non è molta, ma è abbastanza per capire che quello non è grasso.
È abbastanza per capire che il bambino che si sta nascondendo lì dentro sarà la mia rovina o la mia rinascita.
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