Capitolo 28 - James

Non avevo minimamente idea di cosa significasse fare l'amore. Un groviglio di emozioni sono racchiuse dentro al mio cuore e adesso mi sento un altro. Sarà la maturità ad essere esplosa dentro di me, oppure la consapevolezza che sono vissuto fino ad ora senza qualcosa di cui da questo momento non potrei farne a meno. Questo qualcosa o meglio, qualcuno si chiama Bridget. Dorme beatamente rannicchiata contro il mio corpo. I capelli scompigliati fanno da cornice al suo viso dove giace un'espressione felice, appagata e serena.

"Che ci fai tu qui? Sentivi già la mia mancanza?!" Mark si materializza di fronte a me quando apro la porta della mia stanza. Bridget ha insistito perché andassi a lezione visto che le ho confessato di avere l'esame di biologia generale la prossima settimana e una volta tanto le ho dato ascolto. Ma presumo che non andrò a nessuna lezione: dov'è Mark ci sono i guai e dove ci sono i guai c'è Mark.

Il mio vecchio amico mi guarda ma non risponde. La sua espressione impassibile mette in seria discussione il mio buon umore.

"Mark cosa c'è, che sei venuto a fare?" un groppo si appropinqua della mia gola e non vuole lasciarla andare. Un brivido di paura mi corre lungo la colonna vertebrale costringendomi a fare un passo verso di lui per saperne di più.

"Sei ricercato" dice come se fosse la cosa più normale al mondo.

"Mi stai prendendo per il culo, non dire stronzate Mark. E' da quando sono qui che non spaccio.. Sono passati due mesi!" mi giustifico mentre il sangue mi si congela nelle vene. Vorrei anche ridere, magari per farlo confessare che è solo uno scherzo di cattivo gusto e per comprendere a pieno il vero Mark, quello che credevo fosse la persona più importante tra i miei amici.

"Tu non hai spacciato, Jack si!"

Non capendo in pieno dove voglia andare a parare, mi avvento su di lui e gli assesto un cazzotto nello zigomo.

'Fanculo al buonumore, 'fanculo all'amore.

Mark risponde subito prendendomi precisamente nel naso che comincia a sanguinare.

Il mio piede sfreccia verso il suo ginocchio colpendolo proprio nel mezzo della rotula.

"Okey okey okey, adesso che ti sei sfogato e sei tornato dal mondo dei sogni dove eri pochi minuti fa, comincia a ragionare su quello che ti ho detto."

Lui si tocca il ginocchio, nell'esatto posto in cui la mia punta della scarpe lo ha preso.

Ben gli sta, così impara a sparare meno stronzate!

"Quindi non stavi scherzando?" improvvisamente torno serio, il mondo intorno a me si blocca.

"No, cazzo! Ma ti pare? A me sembra che in questi due mesi ti sia bevuto il cervello!"

"Scusami eh" esordisco facendomi scivolare addosso la battuta stupida appena fatta "ma se Jack continua a spacciare come credi che io possa entrarci? Porca puttana, stiamo a centocinquanta chilometri di distanza, come puoi pensare che possa averlo aiutato? Sai che lo odio!"

"Infatti non l'ho pensato io. Ci ha pensato direttamente lui! In poche parole: lo hanno beccato in fragrante mentre dava roba a Dylan. Ti ricordi quel cretino che sta dietro Doncaster, in quella strada per arrivare alla ferrovia?"

Annuisco debolmente mentre tutti i pezzi del puzzle sembra stiano andando al loro posto.

"Ecco, insomma. Ovviamente ha detto che stava conseg.."

"Ovviamente una sega!" urlo balzando in piedi. Mark non si scompone e riprende il suo discorso: "Ha detto che stava consegnando al posto tuo e che se avessero voluto controllare in casa sua lo avrebbero potuto fare in qualsiasi momento ma visti i precedenti che hai, hanno preferito lavorare meno e arrivare dritti da te. Cosa vuoi fare?"

Mi prendo la testa tra le mani e mi impongo di non piangere. Probabilmente se fossi stato solo lo avrei fatto, anche se fossi stato con Bridget. Ma qui c'è Mark ed è pronto a prenderti per il culo in ogni occasione.

"Piombi qui, non ti accorgi che sono ancora mezzo fracassato, ho una caviglia scomposta e nemmeno mi chiedi cos'ho fatto. Mi dai una notizia che cambierà ancora la mia vita e adesso su due piedi mi chiedi cosa voglio fare, ma che razza di persona sei!?"

Lui, in tutta risposta, rimane un po' folgorato dalle mie parole ma dopo scoppia a ridere e mi denigra solo con gli occhi: "Cazzo se lo studio ti ha fatto male! Farò finta di non aver sentito e ti offrirò lo scantinato di mia nonna per sbarcare i prossimi quindici giorni" tira su con il naso e afferra la maniglia della porta "Ah, della tua caviglia non me ne frega un cazzo. Basta che non mi fai andare nei casini: se finisci dietro le sbarre il prossimo sarò io" sorride strafottente e fa per andarsene "Muoviti, parto tra dieci minuti. Ti aspetto giù."

Lo scantinato della casa della nonna di Mark è angusto. Non riesco a stare in piedi per il soffitto troppo basso, la brandina posizionata sotto le scale che portano alle camere è la metà di me e non credo di poter fare altro che starmene sdraiato, rannicchiato su me stesso.

Sono passati cinque giorni da quando Mark mi ha fatto entrare qui dentro distraendo sua nonna e chiedendogli di accompagnato in soffitta a cercare un libro che poi avrebbe dovuto prestarmi.

Non ho un telefono, ho staccato tutto, tolto la sim e nascosta in una delle federe del cuscino del dormitorio. Cosa più importante non ho salutato Bridget, non le ho detto che sarei partito e forse mai più tornato, non le ho dato spiegazioni. La cosa buffa è che mi manca, mi ero abituato alla sua presenza e adesso dovere farne a meno è più massacrante di non poter fumare il mio pacchetto di sigarette giornaliero.

Delle voci dalla cucina mi inducono a pensare che sia arrivato Mark: mi porta ogni due mattine la spesa in modo che io possa vivere qui dentro senza destare sospetti a sua nonna che, ignara della mia presenza accoglie tutti i giorni il nipote con la stessa frase.

"Amore della nonna, credi che stia per morire? E' quasi una settimana che passi a trovarmi ogni giorno."

Le prime mattine sono scoppiato a ridere immaginandomi la faccia di quello stronzo che si addolcisce per recitare la parte.

"No nonna, te l'ho già detto!" le risponde quasi dolcemente.

Rimane giusto una quindicina di minuti sorbendosi tutti i racconti della nonna da giovane e nel frattempo riesce a mettermi la busta della spesa sopra il tavolo, davanti alla porta dello scantinato. Quando è convinto che la vecchietta non si accorga di niente, batte un colpo di tosse. A quel punto, come se fossi un topo che aspetta che la padrona di casa se ne vada per acchiappare furtivamente il pezzetto di formaggio caduto accidentalmente nel pavimento, esco e afferro la spesa.

Come un prigioniero che non vede la luce del sole da dieci anni, esco da casa della nonna di Mark stropicciandomi gli occhi. Sono stati i dieci giorni più lunghi della mia vita e gli unici risultati che porterò a casa sono una gobba persistente dovuta alla posizione curva assunta durante questo internamento nel sottoscala, un nervosismo quasi impossibile da scaricare a causa della mancanza di sigarette e una malinconia assurda di quello che credevo che fosse la mia vita quasi perfetta prima che quello stronzo di Mark potesse darmi la notizia.

"Vuoi muoverti?" il mio amico mi spintona giù per il vialetto di casa pronto a salire in auto e accompagnarmi all'ospedale.

"Una sigaretta, ti prego!" mugolo, come una bambina al supermercato con sua madre che non le vuole comprare i vestitini per la barbie.

"Mia nonna è andata alle bancarelle qui dietro, va bene che è un po' zoppa ma non impiegherà molto per tornare!"

Sconsolato, rimetto la sigaretta dentro il pacchetto ancora pieno e salgo in macchina.

Il viaggio è silenzioso, nessuno dei due ha osato proferire parola anche se io due notizie in più sul figlio di puttana di Jack le avrei sentite molto volentieri.

Il parcheggio dell'ospedale è gremito di gente: macchine che non si scambiano, clacson che danno sfogo alla loro voce, persone che urlano e altre che lentamente si incamminano verso il loro mezzo.

"Rammentami di nuovo il motivo per cui ti sto accompagnando in questo cazzo di posto!" sbraita Mark dal lato del guidatore. Le sue mani sono strette al volante e la sua faccia è rossa di rabbia: sono quindici minuti che siamo in fila e non abbiamo nemmeno ingranato la prima per fare un passo d'uomo.

"Io scendo, tu parcheggia se puoi."

Salendo le scale il mio battito cardiaco aumenta e non solo per lo sforzo sovrumano che sto facendo con la gamba buona o per la paura che, essendo adesso alla luce del giorno, tutti possano vedermi e gli sbirri trovarmi, ma per quella figura esile, vestita di nero che sta venendo nella mia direzione.

Le sue guance sono rosse e i suoi occhi lucidi. Cammina verso di me con talmente tanta velocità che in tre passi mi raggiunge e uno schiaffo sonoro rimbomba nel piccolo corridoio.

"Ehi!" esclamo portandomi una mano nel punto dove la sua mano mi ha colpito.

"Potevi almeno evitare di scappare così. L'ho sempre saputo che non sono stata mai niente per te ma credevo che delle spiegazioni avrei potuto meritarmele!"

"Per favore, fammi parlare!" le chiedo con un filo di voce. Non so bene cosa le dirò, se la verità sarà l'unica componente del mio discorso ma non voglio che soffra.

Colpita dal mio tono, mi guarda cambiando decisamente luce negli occhi e, prendendomi a braccetto mi conduce sulle sedie più vicine. Non sono sorpreso di vederla: Bridget ha i fogli del mio ricovero e avrà sperato che non mi fossi dimenticato dell'appuntamento per togliermi il gesso.

"Non sono scappato da te, Brith! Ci sono un sacco di cose che devi sapere, forse troppe. Un giorno spero di avere l'opportunità di raccontarti la verità. Non lo dico perché non ti voglio al mio fianco, lo dico per te: allontanati e se ce la fai, scordati di me. Ci saranno momenti in cui ti converrà non conoscermi, non sapere chi sono. Qualunque cosa accada Bridget, abbi fiducia in me e sappi che ti amo e forse ti ho sempre amato e non l'ho mai capito."

Quando finisco il discorso, mi sento fiero di me stesso: finalmente le ho rivelato i miei sentimenti. Volevo che sapesse ma nutro il dubbio che, sapendo, scappi. E io non voglio che se ne vada, la voglio con me e sono sicuro che non mi abbandonerà.

I suoi occhi sono colmi di lacrime che scendono a cascata sulle sue guance paffute e finiscono sulla maglietta scollata, creando una gora scura.

"Bellissimo discorso, quasi commuovente. Ora muoviti, vai a toglierti quel gesso con la minima differenza che ad accompagnarti non ci sarà la tua amata ma verrò io, giusto per prevenire una fuga. Poi credo che sarai contento di seguirci in caserma, la tua futura casa."

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