L'apprendista cavaliere

Nathan aveva cenato con pane e polenta, aveva lasciato le croste al ratto, aveva sfamato Cassius ed era uscito lasciando a loro la guardia della casa.

L'aria serale era fresca e piacevole e le lucciole erano già sgusciate fuori dalle tane per danzare e conversare nel loro codice luminescente.

Nathan si esibì in due saltelli prima di partire a corsa lungo i campi.

Quando correva, la mente gli formicolava. Quella sensazione di libertà gli trasmetteva un'euforia straordinaria, qualcosa che, ne era certo, la magia non avrebbe potuto equiparare. Era sicuro che soltanto volare sarebbe risultato più eccitante di correre e cavalcare.

Corse per buona parte del tragitto, finché, sentendo le gambe tremolare e il respiro venire meno, rallentò per riprendere fiato.

Avrebbe impiegato meno tempo in sella a Cassius, ma ci sarebbe stato l'alto rischio che lo vedessero arrivare.

Raggiunse infine la base dei cavalieri di Murcuw: era una struttura molto grande, circondata da mura solide quanto quelle della città, con alcuni capannoni esterni per le guardie e le scuderie per i loro cavalli.

E, soprattutto, all'interno della cinta si trovava un'accademia per le reclute.

In tutto il regno di Egaelith vi erano soltanto cinque scuole per cavalieri, e Murcuw aveva il privilegio di ospitarne una poco fuori dalla città.

Nathan attraversava le mura di quella base quando doveva consegnare un messaggio a un soldato o a un apprendista, ma non aveva mai visto il campus durante il buio.

Se si recava lì ogni sera a quell'ora, era soltanto per rimanerne fuori.

Col favore delle tenebre, sgattaiolò sino alla fiancata della collina su cui poggiavano le strutture militari, così da rimanere nascosto alla vista delle sentinelle.

Presso un insieme di rocce, raggiunse un frassino solitario che sporgeva audacemente nel vuoto, e si arrampicò per sedersi su un ramo ad aspettare, ammirando interessato i giochi delle lucciole che gli svolazzavano intorno.

Di lì a poco udì un rumore di passi.

Si allarmò poiché provenienti dalla zona dei capanni, ma quando si volse vide giungere soltanto un ragazzo della sua età.

Aveva la pelle scura, le labbra erano carnose e i buffi capelli neri irsuti lasciavano pensare che fosse rimasto vittima di un fulmine. Sebbene fosse un poco più basso di Nathan, il suo fisico era robusto, molto più resistente, con le braccia e le gambe cariche di muscoli. Gli occhi erano verde chiaro, a differenza della maggior parte delle persone dalla pelle nera.

Nathan si rilassò mentre l'altro ragazzo si arrampicava accanto a lui.

«Come va?» lo salutò questi allegramente.

«Da dove sei passato?»

«Mio padre è tornato, perciò ho il suo permesso per poter uscire quanto voglio. Gli ho raccontato dei nostri incontri. Non temere, non ci tradirà.»

«Non facciamo tardi come ieri, Yan» borbottò Nathan, quasi in tono accusatorio. «Stamattina ho rischiato di non svegliarmi.»

Yan scoppiò a ridere forte. «Veramente? Di solito sei sempre così attento all'orario, prendi il lavoro molto seriamente! Non riesco a credere che tu abbia rischiato di far tardi!»

«Sbellicati quanto ti pare...»

«Non è certo colpa mia se non hai messo il canto-del-gallo al segna-ore!»

Scesero per distendersi sull'erba, ad ammirare la scintillante volta celeste.

A Nathan piaceva tenere a mente la posizione delle stelle, suo padre gli aveva spiegato quanto potessero tornare utili per non perdere l'orientamento: guardandole si poteva riconoscere il nord dal sud, l'est dall'ovest, l'ovest dal nord...

Per un istante chiuse gli occhi, immaginando di essere avvolto da un suo braccio, mentre la sua voce risuonava nella notte per spiegare a Nathan e a Yan gli elementi fondamentali dei punti cardinali.

Tornato al presente, vide l'amico stiracchiarsi accanto a lui e sbadigliare senza coprirsi la bocca. «Quante lettere ci sono per domani?»

«Ne sono apparse un bel po'. Sarà una giornata piena... Le solite banalità: richieste di denaro, messaggi da parte dei parenti, pettegolezzi tra donne...»

«Ammetti che ti piace ficcare il naso, eh?»

«Che vuoi? È compito di ogni messaggero controllare che le lettere siano nella norma. Faccio solo il mio lavoro.»

D'altronde, non era un mestiere per tutti: non si parlava soltanto di consegnare lettere, ma prima ancora del diritto di aprirle e analizzarle e del dovere di evitare che eventuali terroristi si scambiassero messaggi pericolosi.

Soltanto menti intelligenti e argute potevano assumersi una simile responsabilità, e Nathan non aveva mai nascosto tali doti di fronte alle persone a lui più vicine, tra le quali il padrino cavaliere che lo aveva elogiato dinnanzi al duca Robert Bellspring.

Mosso da compassione dopo i tragici eventi nella famiglia Seller, costui aveva offerto al giovane il ruolo di apprendista messaggero.

E quando il mentore, Lothar Harmon, era deceduto per malattia, Nathan ne aveva preso il posto.

Il ragazzo aveva preferito rimanere l'unico messaggero del sud di Murcuw, anziché affidarsi all'apprendistato di quello del collega a nord. Non aveva voluto deludere l'uomo che lo aveva accompagnato nel mestiere in quel breve periodo seguito al lutto, e ormai erano tre anni che lavorava da solo.

Voleva che almeno il signor Harmon fosse orgoglioso di lui, dato che, lo sentiva, aveva deluso i suoi genitori...

Percependo lo sguardo di Yan sulla guancia, si riscosse e toccò a lui chiedere: «Tu invece? In cosa vi siete cimentati quest'oggi?»

L'amico fece un gran sorriso. «Ho partecipato a una simulazione di lotta contro un wendigo!»

«Un wendigo?! Ma sono pericolosissimi! Mi fanno venire la fifa soltanto a immaginarli. Hai superato la prova?»

«No, era troppo difficile» ammise Yan, pur senza amarezza. «Nessuno di noi l'ha superata. Poi però i goblin si sono trasformati in orchi, e io ho vinto contro entrambi! E il maestro ha detto che domani ci farà allenare contro un drago! Intendo un drago vero

Nathan lo fissò, colmo di ammirazione. «Un drago in carne e ossa?! N-non sarà troppo pericoloso?»

«Non temere, si tratta di un drago buono e amico del maestro. È stato istruito per combattere al nostro livello.»

«Vorrei proprio assistere. Sta' attento...»

«Suvvia, non essere troppo preoccupato! So cavarmela benissimo, lo sai!» Yan gli sorrise sicuro di sé, poi chiese: «Il tuo tester?»

«Purtroppo ancora niente poteri.»

«Oggi abbiamo avuto una lezione sui "bestia". Poveracci...»

Nathan rimase in silenzio ad ascoltarlo, interessato su cosa pensasse l'amico di quell'argomento inusuale.

Yan continuò: «È vero, i "bestia" potranno anche avere una malattia pericolosa e incurabile, però... Sono persone, no? Bambini e ragazzi come me e te. E vengono mandati a morire in quel modo orribile... Non ci sarebbe un modo meno violento per purificarli? Ed è proprio necessaria la loro morte? E poi, perché chiamarli "bestia"? Io considero bestie gli animali, soprattutto quelli feroci e fuori controllo. Invece i "bestia" sono persone. Insomma, non va bene che la magia scompaia, però...»

Nathan annuì. «Sì, anch'io vorrei che ci fosse una maniera migliore.»

I "bestia" erano malati, parassiti.

L'unico modo per aiutarli era deportarli sulle Isole della Purga, dove venivano divorati dagli animali magici che le abitavano. Tramite quelle creature pregne di potere incantato, lo spirito dei "bestia" veniva purificato cosicché gli dèi potessero accettarli in Paradisus, anziché condannarli all'Inferius.

Negli ultimi anni Nathan aveva spesso riflettuto sulla faccenda: non dubitava che i "bestia" portassero nel sangue una malattia pericolosa, ma il metodo per eliminarli gli risuonava troppo brutale e macabro.

Certo i guaritori più esperti non erano riusciti a trovare cura a quel tumore maligno presente sin dalla nascita, e se i "bestia" non potevano esser curati, non li si poteva certo lasciare liberi di vagare e rischiare così che infettassero il resto del mondo con la loro aura maligna, modificando i corpi degli innocenti e provocando ulteriori nascite di "bestia".

Un semplice incantesimo mortale li avrebbe però fatti soffrire molto meno: il loro corpo sarebbe stato investito dalla magia, e in tal modo lo spirito avrebbe potuto raggiungere il Paradisus senza patimenti, come invece accadeva sulle Isole della Purga.

Sembrava invece che quelle Isole avessero un chissà quale collegamento con l'aldilà... non aveva capito molto bene.

Provava pena per i "bestia": non era colpa loro se nascevano malati... non sceglievano di nascere.

Erano esseri umani e, finché il tester non si spegneva, erano inconsapevoli della loro colpa intrinseca.

O almeno Nathan la vedeva così.

Se poi quei giovani privi di magia ragionassero crudelmente fin dall'infanzia... beh, lui non aveva modo di saperlo.

Non riteneva comunque possibile che dei bambini potessero essere malvagi, tutto qui.

Forse era un ingenuo, ma più ci rifletteva, più rimaneva ancorato alla sua idea.

«Se un tipo superstizioso come te la pensa così, allora forse non siamo gli unici a porci queste domande» commentò Yan, pensieroso.

Nathan afferrò la battuta nella serietà, ma non poté dargli torto.

Vedendo quanto l'amico fosse rimasto tetro, gli tirò una leggera gomitata per riscuoterlo. «Invece il tuo tester ha brillato?»

«Se così fosse stato, non avrei atteso oltre per fartelo sapere! Mi avresti visto arrivare tutto saltellante! Uhm, no, probabilmente quando potrò usare la magia, apparirò direttamente sopra di te.»

«Non me ne parlare! Io lavorerei subito quei capelli strani che ti ritrovi! Te li farei diventare tutti colorati!»

«Ehi, da dove ti è sortita quest'idea geniale? Di solito non sei così incline al divertimento.»

«Io sono simpatico. Sono divertente!»

«Come no!»

Nathan alzò gli occhi al cielo. Certo, tra i due, Yan era quello considerato più simpatico...

«Tu sei solo un giullare» bofonchiò permaloso.

«Sì, i miei compagni lo dicono sempre.»

«Cosa vuoi dire?»

Pur continuando a sorridere, Yan si strinse nelle spalle e rispose: «Loro sono molto introversi. Mio padre scherza dicendo che sono io particolarmente entusiasta, ma mi pare strano che al mondo siano tutti musi lunghi come loro. Non fraintendermi, li rispetto e sarò pronto a combattere al loro fianco quando ce ne sarà bisogno. Tuttavia preferirei passare il tempo libero con gente un po' più allegra. Gente come te».

Nathan scosse la testa. «A quanto pare invece tutti mi credono un tipo molto introverso. A dire il vero, non mi tange se la gente mi vede in questo modo. Almeno nessuno si fa gli affari miei... beh, non più di quanto già se li facciano...»

«Sarai anche introverso, ma almeno ti lasci andare. Almeno mi parli, ecco! Prendi il mio coinquilino: alle volte neanche si gira a guardarmi, quel maleducato!»

«Mi dispiace, Yan...»

In realtà, Nathan era certo che gli altri apprendisti evitassero Yan per un altro motivo.

Il suo amico però, per quanto apparisse tenero e ingenuo, non era stupido. «Lo so che il colore della mia pelle non mi aiuta. Neanche il fatto che sia entrato tra i cadetti grazie all'importanza di mio padre...»

«Gli inquisitori ti avrebbero scacciato soltanto per il tuo colore» borbottò Nathan, astioso verso quegli uomini arroganti. «Ti ho visto allenare prima che tu entrassi: sei molto bravo, e non ero l'unico a pensarlo. A Murc dicevano tutti la stessa cosa. Semplicemente, nell'esercito non ti volevano per la tua pelle. Tuo padre ha fatto bene ad aiutarti, hanno bisogno di un cavaliere come te.»

Yan però riacquistò il tono allegro: «Addestrarsi e studiare è divertente, si imparano un sacco di cose interessanti! Sono certo che un giorno diventerò un soldato coi fiocchi, e renderò orgogliosi di me i miei genitori e tutto il regno di Egaelith. Anzi, l'intera Pure! Però sarebbe molto più facile se avessi accanto a me gente che mi somigli. Io provo ad adattarmi ai miei compari e a cercare di rimanere tranquillo, ma la pacatezza non fa per me. Comunque mi impegno sodo, anche al pensiero che possa svagarmi con il mio migliore amico non appena terminato di cenare», e gli sferrò un pugnetto.

Nathan sorrise intenerito, ma si finse nauseato: «Quanti sentimentalismi!»

«Avanti! So benissimo che adori la mia compagnia! Altrimenti non faresti tanta strada solo per vedermi!»

«Vengo solo per farmi quattro risate con la tua faccia a culo.»

«Ti sei guardato allo specchio ultimamente?»

Stavolta Nathan accolse la battuta e rise a sua volta.

Valeva la pena rischiare di cominciare il lavoro in ritardo per poter passare qualche ora insieme.

Si conoscevano fin dalla nascita, erano stati cresciuti abituati a trascorrere la maggior parte del tempo in compagnia.

Da quando però Yan era stato arruolato tra i cadetti dell'esercito, i due non avevano più potuto vedersi come al solito, perciò avevano pianificato un modo per incontrarsi ogni sera: Yan aveva imparato a sgattaiolare fuori dai dormitori e persino dalle mura tramite un passaggio segreto conosciuto, almeno apparentemente, solo da lui.

Se le guardie li avessero beccati, avrebbero tirato le orecchie a entrambi fino a renderle grandi quanto quelle di un elefante, ma l'apprendista avrebbe rischiato molto di più: poteva rimetterci il posto nell'esercito, oltre che infangare il buon nome di suo padre.

Eppure non si preoccupava, e aveva sempre insistito nell'incontrare l'amico d'infanzia.

Per il momento non erano mai stati scoperti.

Il pensiero di saperlo in mezzo a ragazzi che lo disdegnavano fece come al solito preoccupare Nathan. «Vorrei tanto poterti stare accanto, Yan, ma non ho il fisico da combattente. Per di più, il pensiero di lottare non mi eccita, la sola idea di trovarmi di fronte a un cadavere mi fa venire il voltastomaco... L'esercito non è il posto adatto a me. Mi dispiace, vorrei avere la tua forza d'animo, ma...»

«Che dici? Non fare così, hai un sacco di qualità anche tu» lo incoraggiò l'amico, e l'altro gli sorrise grato. «Non preoccuparti per me, io me la cavo. Parliamo di cose più serie, che dici?» Yan sdrammatizzò esibendo un sogghigno malizioso. «Come procede con Shirley Lucas?»

Nathan roteò gli occhi. «Non procede, né sto provando a farla procedere. Lei è una piacevole amica, conversiamo affabilmente, ma nulla di più. Al momento non sono intenzionato a tentare un approccio più spinto, altrimenti brucerei le mie possibilità per il futuro.»

«Ma lei ha quasi quindici anni! Presto o tardi dovrà sposarsi! Sicuro che non abbia già un fidanzato?»

Nathan arrossì di gelosia. «Non lo so... ma se anche fosse? Io sono solo un umile messaggero ancora incapace di usare la magia. Shirley non può certo aspettarmi, dovrà pur costruirsi una vita.»

«Devi cominciare a corteggiarla, amico.» Yan cominciò a pungolargli la tempia in un ritmo regolare. «Si invaghirà di te, tu entro un anno avrai i tuoi poteri, potrai migliorare la tua vita e chiederle di sposarla. Allora potrete vivere per sempre felici e contenti.»

Nathan si girò sul fianco per dargli le spalle. «Quanto sei melenso...»

«Sto cercando di aiutarti! Non è che tu t'impegni così tanto, eh?»

«Perché non ho mai avuto una concreta speranza di riuscirci. Beh, il regno è pieno di donzelle stupende, no?»

Yan si tirò a sedere per guardarlo indagatore. «Non riesco a capire se stai bene, o se stai solo fingendo che non t'importi.»

Allora toccò a Nathan sogghignare. «Se davvero sei mio amico, dovresti riuscire a capirlo.»

«Ah, taci!» lo sgridò Yan, e risero di nuovo. Poi la giovane recluta scattò in piedi e afferrò l'amico per i polsi, così da indurlo ad alzarsi. «Coraggio, voglio farti vedere una cosa! Scommetto che ti piacerà!»

Nathan spostò il peso verso il basso per rendergli difficile tirarlo su, ma Yan, abituato a sollevare cose assai più pesanti, non ebbe problemi.

«Di cosa si tratta?»

«Lo vedrai!»

Nathan lo guardò dirigersi a corsa verso i capannoni delle guardie. «Ehm... Yan, esattamente dov'è che dobbiamo andare?»

«Da mio padre!»

Il giovane messaggero inciampò per la sorpresa e si fermò un istante, timoroso che i cavalieri scoprissero il loro segreto e impedissero futuri incontri.

Tuttavia ricordò che il padre di Yan era a conoscenza delle loro chiacchierate serali, dunque seguì l'amico.

Raggiunsero il primo capannone riuscendo a non farsi vedere dalle sentinelle. Yan sapeva quanto tempo aspettare prima che quelle si voltassero in un'altra direzione.

«Avevi detto che ci sono incantesimi di rilevazione...» bisbigliò Nathan.

«Funzionano solo su chi ha cattive intenzioni. Tu non ne hai, perciò non c'è bisogno di allertare le guardie. Pensi che i miei compagni apprendisti non infrangano le regole? Il mio coinquilino sgattaiola sempre nel dormitorio delle ragazze per incontrare la sua dolce metà» Yan scimmiottò una vocetta comica tirando fuori la lingua. «Se i soldati perdessero tempo con noi cadetti, impazzirebbero.»

«Yan...» mugugnò Nathan. «I maghi non sfruttano una particolarità solo su chi ha buone intenzioni. E usare una particolarità su chi ha cattive intenzioni mi pare impossibile, piuttosto si dovrebbe sondare la mente di qualsiasi individuo che si avvicina. Mi stai mentendo?»

In una cosa Yan eccelleva particolarmente: le bugie. Non mentiva spesso, ma quelle rare volte in cui lo faceva, riusciva a imbrogliare chiunque.

Chiunque a parte Nathan.

Infatti l'amico chinò la testa nell'imbarazzo. «Va bene, cervellone... Ecco, in realtà, al momento le difese sono abbassate.»

«Che cosa? Perché?»

«Nulla di grave, non c'è da preoccuparsi... Oh, è ora di muoversi.» Yan lo spintonò, accortosi che le sentinelle stavano guardando altrove.

Tornò cauto una volta dietro al capannone.

Si affacciarono per sbirciare le guardie che stavano giocando a carte su un tavolino, la partita illuminata da una fiammella che svolazzava loro intorno.

«Vedi?» bisbigliò la recluta. «Al momento il regno non sta intraprendendo guerre, e i banditi sono tenuti a bada dai gruppi di ricognizione. Ecco perché i cavalieri se la prendono comoda. Figurati se vogliono interrompere le pennichelle per colpa nostra!»

«È una scusa un po'...»

«Avanti, Nate, gli adulti sono loro. Ne sapranno meglio di noi, no?»

Nathan trattenne a stento un altro commento. "Già, gli adulti sono loro... e sicuramente lo sanno meglio di me" volle convincersi.

I cavalieri avevano con sé una piccola lastra-della-visione, sulla cui convessa e liscia superficie si muovevano le immagini di un combattimento.

Nathan vide un'arena circolare, i tifosi sugli spalti si sbracciavano per inneggiare ai guerrieri.

Un troll dai bicipiti gonfi zoppicava macchiato di sangue, in evidente difficoltà. Il grosso martello sua arma strusciava stridente sul pavimento.

L'avversario era un ragazzo dell'età di Nathan e Yan. I capelli arruffati in riccioli cespugliosi erano completamente ricoperti di sangue, fresco e secco, così come il volto e il resto del corpo; gli occhi erano celati da una benda di velluto, ma malgrado l'impedimento, sembrava essere in vantaggio. La bocca era allargata in un'enorme smorfia malsana che metteva in mostra i denti altrettanto sporchi.

Nathan distolse lo sguardo appena udì il suo grido belluino, seguito dagli stramazzi dell'imponente rivale.

Yan gli tirò una leggera pacca: anche lui aveva abbassato gli occhi.

«La vista del sangue mi dà la nausea...» tentò quasi due giustificarsi Nathan, imbarazzato.

«Lo capisco. Detesto l'arena dei guerrieri, in cui si lotta per divertimento...»

«Beh, i combattenti lottano per sopravvivere. Il divertimento viene dagli spettatori, e soprattutto dal re, che permette un massacro del genere. Cosa ci vedrà di così allietante?»

Nathan tornò ad affacciarsi e vide proprio il sogghigno soddisfatto del sovrano, inquadrato nella lastra-della-visione: era vestito così bene, con la sua tunica sfarzosa, il mantello di seta splendente e la corona tempestata di diamanti tra i capelli rossi.

Al suo fianco si trovava il figlio maggiore, il principe Xerxes Cavendish, l'erede al trono. Anche lui era coetaneo di Nathan e Yan e, per quanto somigliasse al padre, non sembrava altrettanto appagato dalla visione del sangue e della morte, anzi pareva guardare altrove, sebbene gli occhi grigi apparissero indecifrabili.

«Re Kayne è strano» bofonchiò Yan guardando a sua volta la lastra-della-visione, su cui adesso veniva inquadrato il giovane vincitore della lotta.

Ruggiva imbestialito agitando il suo pugnale insanguinato, il viso era una maschera demoniaca. Nonostante la vittoria, non sembrava trionfante. I versi bestiali risuonavano più come una minaccia di morte riservata agli spettatori.

Nathan rabbrividì, sentendosi improvvisamente gelare il sangue. «Non dirmi che è ancora Red Lion...»

«Sì» rispose cupo Yan. «In due anni non ha ancora perso una sfida. È riuscito a uccidere tutti i suoi avversari, persino vampiri, lupi mannari e addirittura un drago.»

«E la sua magia non si è ancora attivata?»

«Negativo. In ogni caso, non potrebbe usarla lì dentro.»

Nathan tremolò ancora.

Quel giovane gladiatore, il Red Lion lo chiamavano, era una belva spietata: era stato arrestato a undici anni per aver ucciso i suoi genitori, e aveva vinto tutte quelle lotte nell'arena contro creature mostruose.

Certo lì era vietato combattere usando la magia, ma se quel ragazzo era capace di tanto senza poteri magici, Nathan non osava pensare a cosa avrebbe potuto una volta ottenuti. Non si sarebbe sorpreso se entro qualche anno fosse riuscito a fuggire dalla prigionia.

E la benda sugli occhi lo rendeva ancor più spaventoso. Non era cieco, ma la sua vista non funzionava bene, perciò si trovava meglio a combattere senza vedere, così da sfruttare anzi l'olfatto e l'udito.

Nathan detestava quel tipo di diletto, lo trovava imperdonabile da parte del loro re...

Si distolse dai cupi pensieri quando Yan si sporse pericolosamente e agitò le braccia, tanto forte che l'amico dovette trarlo indietro per paura che le guardie lo vedessero.

Quando però tornarono ad affacciarsi cauti, Nathan riconobbe il signor Mowbray, il padre di Yan e suo padrino.
Li aveva notati.

Era un uomo alto, nerboruto e dalla pelle abbronzata, ma chiara. Yan aveva ereditato da lui gli occhi verdi, mentre la pelle scura dalla madre.

Il cavaliere si alzò lentamente. «Vado a controllare come sta la bestiola. Sarò lesto. Ah.»

Si fermò per agitare la mano.
Sul suo palmo apparve una piccola sfera che rimase a fluttuare al suo posto, un puntino verde si muoveva all'interno.

«Non azzardatevi a sbirciare le mie carte» avvertì l'uomo in tono di falsa minaccia, allora i compagni scoppiarono in una fragorosa risata.

Yan strizzò l'occhio a Nathan prima di fargli cenno di seguirlo, e girarono attorno al capanno così da raggiungere la parte posteriore di una scuderia.
Di fronte all'entrata, il signor Mowbray mosse la mano in loro direzione.

Improvvisamente Nathan sentì pizzicare il naso, dopodiché non fu più capace di vedere né Yan né il proprio corpo.

Erano diventati invisibili.

Maggiormente sicuri, sgattaiolarono silenziosi verso il signor Mowbray eludendo la sorveglianza delle guardie vicine alla scuderia, ed entrarono.

Solo allora l'uomo borbottò affabile: «Come procede, Nathan?»

«Bene, signor Mowbray. E lei? È bello rivederla.»

«Grazie, ragazzo. La missione per placare quel drago acquatico è andata a buon fine. Purtroppo ci sono state due perdite, dei cari amici... Abbiamo sollevato i calici in loro onore. Se posso trovare una fortuna nella disgrazia, è che almeno non avevano una famiglia da abbandonare...»

Nathan annuì comprensivo, sebbene il signor Mowbray non potesse vederlo.

Molti soldati morivano, lasciando così le loro famiglie. Gli dispiaceva pensare a quei ragazzi improvvisamente privati dei genitori, di fatto capiva molto bene l'abisso emotivo in cui si trovavano a precipitare, privo di fondo, gelido e crudele...

La mente venne attraversata dal ricordo dei loro corpi fradici di sangue...

Mamma e papà non erano stati soldati, ma semplici allevatori di cavalli.

Eppure erano morti in quella maniera crudele...

Nathan si era svegliato e li aveva trovati fuori, di fronte alla soglia di casa, sferzati da ferite profonde. Era rimasto inginocchiato sopra di loro per ore, senza piangere, troppo scioccato per potersi rendere conto di quanto accaduto e di quanto stava provando. Si era riscosso solo quando i Mowbray erano venuti a trovarli e avevano scoperto lo scempio. Allora il bambino era scoppiato a piangere, aggrappandosi ai genitori che non avevano potuto rispondergli...

Si costrinse a distogliere i pensieri, tornando al presente come se fosse riemerso da una lunghissima apnea – un'impressione quotidiana per lui.

Riuscì a distrarsi nel passare di fronte ai box dei cavalli.

«Ciao» sussurrò, allungando la mano verso il muso di un sauro.

Gli stalloni non potevano vederlo, ma i loro istinti erano molto più fini rispetto a quelli degli esseri umani, dunque percepirono la sua presenza.

L'animale sbuffò e sporse il naso per sfiorargli il palmo.

Nathan fece lo stesso con gli altri equini, i quali sembrarono apprezzare la sua vicinanza e il suo tocco.

Aveva sviluppato una forte affinità coi cavalli, essendo cresciuto in mezzo a loro: i suoi genitori ne erano stati allevatori e venditori, sia per i fattori che per i cavalieri.

Gli sarebbe piaciuto portare avanti l'attività di famiglia, ma non aveva imparato abbastanza e si era detto che non sarebbe stato capace quanto lo erano stati i genitori.

Era stato un peccato dover abbandonare tutto: l'allevamento dei Seller era stato molto conosciuto nel ducato di Bellspring. La fama era giunta addirittura oltre i confini, poiché una volta persino il re aveva richiesto una delle loro giumente più forti.

Riscosso stavolta da Yan, Nathan seguì la voce dell'amico fino a uno stallo che ospitava un cavallo candido, dalla cui fronte spuntava un corno lungo quanto il suo braccio, a spirale e terminante in una punta aguzza.

Col fiato sospeso, Nathan si aggrappò alla porticella. «Un unicorno! Ma come...»

«I soldati lo hanno trovato sul sentiero che porta alla Foresta di Hanover» raccontò Yan, dalla voce ridente. «È una bellezza, eh?»

Il signor Mowbray si avvicinò con un larghissimo sorriso. «Un vero spettacolo. È stata una bella fortuna trovarlo, gli unicorni sono rarissimi. Era ferito», indicò la fascia alla zampa posteriore sinistra. «I guaritori hanno aggiustato l'osso. D'altronde gli unicorni sono colmi di magia, come noi. Se si fosse invece trattato di un cavallo non-magico, l'incantesimo non avrebbe funzionato e avremmo dovuto sopprimerlo. Aspetteremo che questa magnifica creatura si rimetta, poi la lasceremo libera.»

«Sì, perché gli unicorni contribuiscono a far prosperare le foreste e a placare le ire dei draghi» spiegò Yan. «È importante proteggerli.»

«Ben detto, figliolo! Vedo che studi!»

«Ti piace, Nate? So che il cavallo è il tuo animale preferito, e ho pensato che un unicorno potesse essere migliore!»

«Stupendo! Davvero fantastico!»

In realtà l'animale preferito di Nathan era il pegaso: un cavallo in grado di volare! Esisteva creatura più nobile?
Però non lo disse ad alta voce, per non offendere l'unicorno.

L'equino si era girato alla ricerca dei visitatori invisibili.

Il ragazzo sollevò cauto la mano, lasciando che ricevesse il suo odore e gli riscaldasse le dita a suon di sbuffi. Il manto brillava come la neve. Non aveva mai incontrato animale più bello!

Fu a malincuore che Nathan prese un lungo sospiro e mormorò: «Sarà meglio che vada, o domani rischio di far tardi...»

«Va bene, ragazzo. Ah, come va la casa?» lo interrogò il signor Mowbray. «Vuoi che venga a dare una sistemata?»

«N-no no, grazie, signore, ma è in perfetta forma! Nulla di rotto, e tutto pulito!» mentì Nathan, lieto che l'uomo non potesse vederlo: almeno non avrebbe colto alcun elemento della bugia.

Apprezzava l'aiuto del padrino, ma lui era appena tornato da una missione sfiancante e pericolosa, non voleva disturbarlo chiedendogli aiuto in casa.

Ogni volta che la signora Mowbray lo incontrava al villaggio e proponeva di fargli visita, il giovane declinava con tutta la gentilezza possibile e richiedeva di poter essere lui a recarsi da lei, naturalmente sorprendendola sempre con qualche dolcetto o focaccina del mercato.

«E gli incantesimi di protezione?» insistette il signor Mowbray.

Sempre a disagio quando veniva nominato qualcosa legato alla morte dei genitori, Nathan deglutì forse troppo rumorosam. «La barriera va benissimo, non ho notato nessuna incrinatura.»

Dopo la morte degli amici, il signor Mowbray aveva applicato, con l'aiuto degli altri soldati, una barriera invisibile attorno alla casa di Nathan.

Se un estraneo si fosse avvicinato, non sarebbe riuscito entrare.

L'uomo allungò la mano, fin quando non arrivò a strizzare amorevolmente la spalla del figlioccio, il quale sorrise a quel tocco rassicurante.

«Devo andare» ripeté poi.

Yan gli rispose vicino all'orecchio: «Va bene, amico. Va', papà annullerà l'incantesimo che sarai già lontano».

«Non vedo l'ora di saperlo fare per conto mio!»

«La lucentezza del tester non vi cambierà molto!» dichiarò orgoglioso il signor Mowbray. «Siete già due ragazzi eccezionali!»

Nathan arrossì compiaciuto. I suoi genitori erano morti, tuttavia i signori Mowbray lo avevano sempre trattato come un figlio.

Scoccò una veloce occhiata all'unicorno e diede un ultimo saluto ai presenti, per infine uscire dalla scuderia e passare cauto in mezzo ai cavalieri che non potevano vederlo.

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top