Il messaggero di Murcuw
Nathan si svegliò disturbato.
Non appena ritrasse la gamba, un acciacco terribile gli attraversò la schiena e un sibilo gli sgorgò dalla gola. Strusciò le nocche sulla spina dorsale e alzò il piede per massaggiare la pianta con l'altra mano.
Qualcuno gli aveva fatto il solletico, avvertiva ancora quella fastidiosa sensazione formicolante.
Mentre agitava le dita per scacciarla, puntò lo sguardo sulla scrivania sopra cui aveva tenuto posate le gambe per tutta la notte: un grosso ratto grigio lo fissava di rimando con gli occhietti neri e acquosi.
«Ti piace proprio darmi fastidio, eh?»
Nathan sbadigliò forte e adagiò il mento sul ripiano, cosicché il suo piccolo amico potesse passare il naso sulla sua guancia prima di salirgli sulle spalle, dando in uno squittio lamentoso.
«Oh, sta' zitto... Sai che non devi farmi il solletico ai piedi.»
Poi il ragazzo si stiracchiò, rimanendo a studiare la scrivania di legno su cui, la sera precedente, aveva lasciato tutte le lettere reinserite nelle rispettive buste.
Tutte eccetto una, che aveva fatto cadere nell'addormentarsi.
Grazie agli dèi, non era sgualcita.
La raccolse in fretta e riprese con attenzione da dove l'aveva lasciata: era un semplice testo d'amore da parte del signor Pauls, verso la moglie che aveva dovuto lasciare a casa mentre lui andava a occuparsi della madre malata, nella città accanto.
Nessun messaggio minatorio nascosto tra le righe e le parole, niente di sospetto.
Non ne fu sorpreso.
Certo, sapeva che i criminali potevano nascondersi dietro ogni tipo di maschera, anche quella di un uomo che vendeva il latte delle sue due amate capre o quella di una donna che cuciva abiti modesti e rammendava tessuti danneggiati, ma Nathan sapeva che i Pauls erano persone tranquille – inoltre, davvero non c'era alcun significato nascosto nel messaggio.
Ridacchiò nervosamente e scambiò un'occhiatina con il ratto, che ancora lo fissava come con disappunto. «Cosa? Va tutto bene! Mi sono addormentato perché non c'è niente più che 'Mi manchi tanto, tesoro' e 'Sei sempre nei miei pensieri'! La città è al sicuro, proprio come il ducato e l'intero regno. Tutte le lettere sono innocue."
Il ratto sbadigliò.
E Nathan lo imitò, ripiegando il foglio per sistemarlo nella busta che, per ulteriore fortuna, i suoi piedi non avevano rovinato. «Beh, tu sei solo un ratto. Cosa t'importa? Se morissimo, mangeresti i nostri cadaveri, no?»
Poi si voltò molto lentamente a guardare il segna-ore: era mattina inoltrata.
'Merda!'
Scattò quasi dimentico del roditore sulle spalle e corse a mettere gli stivali. Si spogliò della maglietta per indossarne una pulita, si coprì con una mantella leggera e si precipitò alla scrivania per recuperare la borsa a tracolla e le lettere, accartocciandone qualcuna mentre le infilava frettolosamente nella cartella.
Una volta pronto scattò fuori di casa e attraversò il giardino per raggiungere la stalla, dove il suo cavallo baio lo accolse con un nitrito di sorpresa.
«'Giorno, Cassius!»
Il ragazzo preparò la sella e le briglie e lo guidò fuori, poi chiuse a chiave la porta e, dopo essere montato su Cassius, scosse le redini per indurlo a sbrigarsi.
Non appena gli zoccoli cominciarono a calpestare il terreno, Nathan udì uno squittio nell'orecchio e scoprì che il ratto, con gli artigli conficcati nella mantella, stava rischiando di volare via.
Il giovane tenne abilmente le briglie con una mano sola mentre con l'altra lo infilava al sicuro in tasca.
E quando sferrò una pacca gentile al collo del destriero, andarono ancor più veloci.
Nathan provava la stessa euforia che faceva nitrire il baio con così tanta emozione: il vento sul viso, le farfalle nello stomaco e il collo freddo gli provocavano una sensazione di adrenalina impareggiabile, inspiegabile.
Lanciò un urlo liberatorio e scoppiò a ridere mentre Cassius rilasciava un secondo nitrito, così il giovane tornò a gridare nell'imitazione del suo verso, le risa sempre più forti.
I ciuffi castani della frangetta gli ferivano un poco gli occhi, dunque li spostò di lato per guardare dritto di fronte a sé: la campagna del ducato di Bellspring si estendeva attorno a lui, il sentiero si allungava sino ai cespugli di campanula e le case del villaggio di Murc, affiancanti le basse mura della città di Murcuw.
Avvicinandosi all'entrata del paesello, Nathan cominciò a tirare il cavallo per fargli rallentare l'andatura ed entrambi sbuffarono infastiditi: interrompere una corsa era una sensazione veramente spiacevole.
Una guardia li vide arrivare ma non si allertò, anzi ammiccò al giovane in saluto. «Stamattina sei in ritardo, Seller.»
«Già, ho avuto un problema con Cassius,» mentì Nathan, battendo sulla spalla del cavallo bruno, «così mi ha accompagnato per farsi perdonare.» Una volta smontato, si allontanò dalle guardie trascinando Cassius e bisbigliò divertito: «Non prendertela, amico mio. Nessuno si arrabbierebbe mai con un cavallo. Io invece ci rimetterei il lavoro. E niente lavoro significa niente monete, e niente monete significa niente cibo. Niente cibo invece significa niente padrone ad accudirti. Ti è chiaro?».
Cassius però non poteva essere meno interessato, considerato quanto gaiamente stesse masticando i capelli di Nathan.
Il ragazzo lo lasciò alla stalla comune.
Era un servizio abbastanza costoso, ciononostante sapeva che la colpa del ritardo era sua. Anzi, se non fosse stato per il suo amico ratto, probabilmente non si sarebbe svegliato affatto e non avrebbe mai consegnato le lettere, così il giorno successivo sarebbe stato costretto a lavorare rinunciando al pagamento, per farsi perdonare dai clienti.
Non che loro ne avrebbero ricavato molti aspetti positivi, considerato che Nathan era l'unico messaggero di Murc e della parte sud di Murcuw. Sapeva però quanto la gente fosse orgogliosa e che perciò non fosse bene scherzarci troppo: i clienti avrebbero sempre avuto ragione finché lui ne avesse dipeso.
Ripetendosi i numerosi nomi memorizzati la sera precedente sulle lettere, si avvicinò a bussare a una casa cominciando a cercare l'indirizzo giusto nella borsa.
La trovò appena in tempo, quando la porta venne spalancata da un vecchietto coi calzoni all'aria.
Nathan cercò di trattenere il sorriso mentre gli porgeva la lettera – che grazie al cielo non era una di quelle accartocciate. «Per voi, signor Grint.»
«Oh, grazie, Nathan.» Il vecchino afferrò la busta e si allontanò, soltanto per tornare un attimo dopo con un paio di monete tra le mani. Le posò sul suo palmo, dopodiché gli passò un sacchetto emanante un profumino delizioso. «La mia cara Lily ha preparato questi dolcetti. Prendine pure qualcuno, giovanotto.»
Nathan arrossì lusingato. «Siete molto gentili, grazie mille!»
Passò alle case successive. Le più vicine appartenevano ai clienti a lui affezionati e che, come i signori Grint, erano soliti regalargli qualche dolcetto o focaccina al miele. Neanche quella mattina Nathan rimase deluso e, finalmente rimessosi al pari col tempo, rallentò il passo per mangiare qualcosa come colazione.
Fece il giro di tutto il villaggio di Murc – lottando per far riassumere un'aria decente alle buste più rovinate – e solo quando il sole fu alto si disse di potersi concedere una pausa, dunque si allontanò dalla strada principale.
Normalmente sarebbe passato di fronte al cimitero, ma non appena vide la vecchia gatta nera del nuovo becchino comparire da un cespuglio di campanule, invertì la rotta e optò per una via più lunga.
Al parco, sedette all'ombra del suo albero di magnolia preferito e pescò le focaccine da una delle saccocce che aveva appeso alla cintura.
Quando il ratto fece capolino dalla tasca e gli venne offerto un pezzo, si buttò ad affondare assiduo i denti nella crosta, facendo lavorare i muscoli del corpo ossuto. Neanche il fiore bianco e rosato che atterrò graziosamente sulla sua testa poté distrarlo, ma la scena fece ridere forte Nathan.
Poi il giovane trasse un lungo sospiro e poggiò la testa contro il tronco, rimirando il giardino deserto.
Quando sbatté le palpebre in un attacco di sonnolenza, vide due bimbi lanciarsi a corsa verso l'avanti-e-indietro. I seggiolini cominciarono a muoversi veloci, e non appena uno di loro gridò «Più su!», il proprio aumentò di oscillò fuori controllo, finendo per vorticare attorno all'asse superiore.
Un fiore piroettò davanti a Nathan e lui si riscosse.
I bambini erano scomparsi.
Gli sarebbe piaciuto tornare a giocare sull'avanti-e-indietro, fare giravolte su se stesso per godere del fresco attorno al corpo e dell'adrenalina che gli ghermiva la pancia.
La mamma si era arrabbiata parecchio quel giorno, lo aveva preso a sculacciate urlandogli di non cacciarsi più in un rischio simile.
Che esagerata che era stata! Nathan si era sempre comportato bene, per una volta che aveva fatto una marachella, lei si era alterata così tanto!
Una volta a casa anche il papà lo aveva sgridato, ma poi, lontano dalle orecchie della mamma, ci aveva riso su insieme al figlio.
Sorrise al ricordo.
Terminato di mangiare, sollevò il braccio per controllare il segna-ore da polso. Il piccolo sole aveva appena cominciato la sua discesa: era quasi terminata l'ora del pranzo e lui doveva tornare al lavoro per entrare a Murcuw.
Anche le guardie ai cancelli lo lasciarono passare senza sottoporlo a interrogatori.
Nathan era molto conosciuto sia al villaggio che in città, in quanto uno dei tre messaggeri. Non era un gran chiacchierone, non si era mai soffermato a parlare troppo con le guardie per stringervi confidenza, ma aveva sempre portato loro rispetto. E poiché si era dimostrato responsabile e serio nel proprio lavoro, le guardie avevano subito cominciato a ricambiare quel rispetto e a trattarlo quasi come un adulto.
Insomma, era responsabile la maggior parte delle volte, ma dopotutto si trattava di un ragazzino, qualche contrattempo come un ritardo poteva capitare.
Nell'usuale folla della città, Nathan aguzzò la concentrazione per schivare i passanti.
La gente era sempre in giro a qualsiasi ora del giorno, per i fortunati venditori non c'era mai un attimo di tregua. Inoltre era appena giunta la stagione primaverile, faceva più caldo, e i giovani facoltosi rinunciavano volentieri allo studio pur di godersi il diletto all'aperto, all'insaputa dei genitori usciti per le commissioni.
Le molte bandiere sventolavano nella tiepida brezza e mettevano in mostra l'emblema del ducato di Bellspring, la campanula purpurea spalancata per liberare le rondini.
Nonostante il via vai di gente e pur amante della solitudine, a Nathan piaceva Murcuw. Non aveva mai viaggiato, tuttavia non avrebbe mai potuto immaginare una città più bella di quella, che si trattasse del regno di Egaelith o di tutta Pure con i suoi innumerevoli Paesi.
Chinandosi a ogni famiglio alato che gli sfrecciava sul capo, si avvicinò a una delle tante grandi case e tirò la cordicella per far tintinnare il campanello alla porta. Il suono squillante non ebbe neanche il tempo di cessare, che un cestino fluttuò fuori dalla finestra superiore e calò per soffermarsi di fronte al messaggero, il quale afferrò le monete all'interno per scambiarle con due buste.
Prima ancora che il cesto volasse di nuovo oltre la finestra, Nathan aveva già girato i tacchi per dirigersi alla prossima abitazione.
Echi gioiosi portavano il nome del duca Robert adesso che era tornato dal visitare la sorella, la baronessa di Tirsh. Era stato via soltanto due settimane, ma ai cittadini di Murcuw mancava ogni volta che non era a casa.
Dopo aver recapitato qualche altra lettera, Nathan passò accanto a un bel giardino dove vide una fanciulla intenta a stendere sotto al sole i panni lavati.
Rimase a guardarla, interessato.
Sfoggiava un bell'abito casalingo rosa confetto, i capelli rossicci erano raccolti in un grosso fiocco il cui colore si abbinava al vestito; le labbra sottili si contrassero in una leggera smorfia di sforzo quando sollevò le mani per far levitare un lenzuolo da appendere alla corda.
Nathan cercò di ricacciare il sorrisino mentre grattava la schiena del ratto nella tasca. «Non farti vedere, o dopo ti stacco la coda» sussurrò tra i denti.
Tenendo una mano premuta sul suo corpo, il ragazzo si schiarì rumorosamente la gola per attirare l'attenzione della fanciulla.
Ella si voltò a occhi sgranati.
Nathan fece caso a quanto fossero carine le lentiggini che le punteggiavano il naso.
«Oh, buon pomeriggio, Nathan.»
«Salve, Shirley. Ho una lettera per tuo padre.»
«Oh, non è a casa. Il duca è tornato e mio padre necessitava di chiedergli non so cosa a proposito del suo lavoro. Oh, sì, aspetta un secondo...»
Shirley non si avvicinò alla staccionata quando Nathan sollevò la busta, anzi mosse soltanto la mano, con le delicate sopracciglia contratte. Non appena lui sentì la lettera tremare tra le dita, Nathan la lasciò andare affinché potesse volteggiare verso la ragazza.
Lei sorrise soddisfatta mentre il giovane messaggero applaudiva.
«Molto brava!»
Finalmente Shirley si avvicinò. Sebbene Nathan fosse di due anni più giovane di lei, erano quasi della stessa altezza.
«Ti ringrazio, Nathan. Ma la levitazione non è così complicata!»
Lui ricambiò il sorriso, frattanto che lottava per tenere fermo il ratto nella tasca.
Posò poi gli occhi sui panni ancora da stendere. «Scusami, ho visto molte donne applicare magie di riscaldamento sui panni bagnati. Perché non li usi anche tu?»
Shirley soffiò frustrata. «Lo so. E mia madre vorrebbe che mi allenassi, ma ancora non sono brava con gli incantesimi di riscaldamento e di raffreddamento. Sono molto più abile con la levitazione, con la magia delle piante e con quella curativa. Sto pensando di divenire un'erborista o una guaritrice, sebbene non siano le mie più grandi ambizioni...»
«La tua magia si è attivata soltanto da tre anni, non c'è niente di sbagliato se ancora pecchi in qualcosa» rispose lui, gentile. «So che serve del tempo per riuscire a controllare egregiamente tutte le branche della magia! Dovresti almeno aspettare di raggiungere la maggiore età, prima di prendere decisioni tanto importanti.»
«Ma sai che compirò sedici anni il prossimo anno!»
«Sì, ma tu non hai idea di quante cose possano accadere in un solo minuto, figurati in un solo anno!»
Shirley sbatté le palpebre, perplessa, finché non scoppiò a ridere gaia. «Beh, ti ringrazio! Mi serviva una spintarella d'incoraggiamento! Non mi aspettavo che fossi così saggio!»
«Beh, mi piace sostenere i miei amici...» farfugliò lui, sperando che Shirley non notasse il rossore delle sue guance.
«Uh, allora siamo amici!» La ragazza continuava a ridacchiare. «Mi compiace sentirtelo dire. Volevo chiedertelo per esserne sicura, ma temevo che sarei stata troppo affrettata con "Seller-Il-Silenzioso"!»
«Il cosa? E chi mi chiama così?»
Il mugolio di Nathan la face scoppiare a ridere più forte, seppur nella sua solita compostezza.
Tuttavia, dopo aver dato in un altro piccolo sbuffo, l'espressione di Shirley si rifece un poco preoccupata. «Il tuo tester non ha ancora...»
«Ancora no. A proposito, meglio che mi sbrighi a consegnare queste ultime lettere...» disse lui suo malgrado, controllando il segna-ore da polso: il piccolo sole stava calando inesorabilmente sulla sezione "tramonto". «Non posso arrivare tardi.»
Per di più, il ratto si stava agitando.
«Sei preoccupato, Nathan?»
Il ragazzo scrollò le spalle. «No, non lo sono. È vero, fra poco compirò tredici anni, ma ho ancora un anno di tempo a disposizione.»
Shirley annuì lentamente. «Lo sai, la mia magia si è attivata soltanto pochi giorni prima che io compissi dodici anni. Ero spaventatissima, il mio tempo sarebbe scaduto di lì a tre giorni! Ho seriamente temuto di essere una...» si guardò intorno come per assicurarsi che nessuno stesse ascoltando e si sporse in avanti a sussurrare: «una "bestia"!»
Nathan fece un sorrisino. «I "bestia" vengono scoperti a qualsiasi età, non necessariamente ai dodici anni di una ragazza o ai quattordici di un ragazzo.»
«Sì, però potevo essere una "debole"... Uhm, certamente sarebbe stato di gran lunga migliore che essere una "bestia"... Beh, grazie agli dèi, alla fine è andato tutto bene.»
«Tu una "bestia" o una "debole"? Impossibile!»
«Shh!» Shirley gli fece cenno di abbassare la voce, ma poi sorrise, lusingata.
Alla fine Nathan dovette salutarla, molto più allegro dopo aver chiacchierato con quella ragazza tanto carina.
Non che coltivasse una vera speranza: Shirley Lucas era più grande di lui, era una cittadina all'interno delle mura ed era di famiglia facoltosa. Nathan era invece un ragazzino che viveva addirittura al di fuori del villaggio, in una sudicia casa cadente a pezzi.
Consegnata l'ultima lettera, si affrettò a tornare sui propri passi per entrare al mercato a comprarsi la cena.
Solo una volta terminate le rapide compere uscì da Murcuw, raggiunse la stalla per recuperare Cassius, si issò sul suo dorso e lo spronò al galoppo per tornare a casa.
*
Dopo aver nutrito il cavallo, Nathan rientrò carico delle sacche della spesa, che posò sul ripiano da cucina. Infilò il formaggio e il coniglio già scuoiato nell fredda-viveri, mentre il resto venne depositato sugli scaffali.
Dipoi, in bagno, si spogliò e sferrò una bottarella alla leva per lasciarla oscillare in modo che pompasse acqua calda nella vasca, in cui rimase a mollo per qualche minuto, distratto a fissare il soffitto ammuffito e ricoperto di ragnatele.
Il ratto grigio zampettava sull'orlo della vasca beandosi dei vapori quando Nathan gli gettò addosso un po' d'acqua, mandandolo a cadere per terra a squittire indignato.
Una volta fuori, il ragazzo si asciugò il corpo e tornò in salotto a torso nudo, lasciando che i capelli, lunghi fino alle spalle, sgocciolassero sul pavimento.
Si sedette a cavalcioni sulla sedia della cucina e rivolse l'attenzione all'opale che aveva di fronte: la gemma era tenuta dritta da una base piatta circolare e sfrigolava continuamente di scintille magiche colorate.
Nathan lanciò un'occhiata al segna-ore vicino: era quasi terminato il tramonto.
Non appena il sole si fosse inabissato oltre l'orizzonte, il tester, quell'opale colorato, si sarebbe illuminato appena di più.
Tali artefatti venivano incantati dalle fate per far sì che l'intensità della luce aumentasse in caso il giovane in questione fosse pronto a usare la magia.
Se il ragazzo si fosse invece rivelato un "bestia" – cioè un umano privo di poteri magici – la gemma si sarebbe spenta per sempre, avvertendo i soldati affinché accorressero a catturarlo.
Altrimenti avrebbe proseguito a scoppiettare, pronta per la prova della sera successiva.
Come di regola, alla fine di ogni tramonto da che aveva sei anni Nathan attendeva la risposta del tester.
Sebbene la mancanza di risultati, non si impensieriva: i "bestia" erano molto rari, si era calcolato che ne nascessero massimo tre ogni cinquant'anni, non di più. Seguendo il conteggio portato avanti dagli eruditi da che avevano attuato tale scoperta, il ciclo attuale era ricominciato nell'anno 1435, lo stesso in cui era nato Nathan.
Al momento era stata scoperta soltanto una "bestia", proprio nel regno di Egaelith. Mancavano ancora trentasette anni all'inizio del nuovo ciclo, gli altri due "bestia" si sarebbero palesati in futuro - sempre che ce ne fossero stati un secondo e un terzo.
Certo Nathan avrebbe potuto rivelarsi un "debole": si trattava di maghi la cui energia magica era però difettosa, non si presentava al meglio ed erano dunque capaci di sfruttare un solo tipo di potere.
Però i "deboli" erano rari quasi quanto i "bestia", dunque lui non ci pensava troppo. E comunque, come aveva detto Shirley, meglio essere "debole" che "bestia".
"Come si può vivere senza magia? È durissima..." pensò.
Non appena il segna-ore scoccò la fine del tramonto, il ragazzo allungò l'indice a toccare il tester e, come di consueto, la gemma aumentò il bagliore, così lui cominciò la conta dei secondi che passavano.
La superficie era calda, gli bruciava il polpastrello, ma strinse i denti e resistette.
Seguitò a contare finché non raggiunse il numero sessanta.
Allora il tester, la cui luce aveva ancora tutto da invidiare a quella delle stelle, calò d'intensità per tornare a sfrigolare pacato, come al solito.
Nathan allontanò il dito, nel tentativo di rallentare i battiti del cuore e reprimendo la fitta di delusione.
Lo sguardo venne catturato dal foglio-a-impressione incorniciato vicino, raffigurante un uomo alto e una donna un poco bassa con un bimbo sorridente in braccio. Lei teneva la mano tesa per innalzare una brezza di fiori intorno alla famiglia.
"Quando potrò farlo anch'io?"
Nathan aveva ancora un anno a disposizione, mancava poco, ma non era quello il giorno.
Appoggiò il mento sullo schienale della sedia e si volse a guardare il ratto, rimasto appollaiato sul mobile a osservare la scena.
Il ragazzo scosse piano la testa. «Mi spiace, amico, ancora niente magia. La nostra bella vita dovrà attendere.»
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