Il guaritore misterioso

Colui che avevano creduto un vecchio "debole" era in realtà un bambino dal fisico emaciato. La pelle bianca quasi quanto quella di un cadavere risaltava grazie ai capelli neri unticci, ricadenti lungo le guance; tra i ciuffi facevano capolino le pallide orecchie a sventola. Il suo occhio destro era color nocciola, quello sinistro brillava di un azzurro ghiaccio, ed entrambi erano circondati da profonde occhiaie che portavano a credere che non dormisse da mesi.

Il bambino guizzò tra le loro gambe, prima di rialzarsi e indietreggiare terrorizzato sotto gli sguardi minacciosi.

«Chi diavolo sei?!» sbottò Xerxes.

«I-i-i-io...» La sua voce non poteva certo definirsi profonda, ma non era neanche acuta come quella di un bimbo. Era più simile alla tonalità di Nathan, come se già l'avesse sviluppata.

Dunque si era davvero trattato di una voce giovane che aveva finto il tono da vecchietto.

«I-io s-sono l'Umhïrt...»

«Tu sei un moccioso!» ringhiò James, avanzando con aria micidiale.

«No! Sono davvero io l'Umhïrtröfa! Lo sono da due anni ormai! È la verità!»

«E ti fingi un vecchietto?!» esclamò Yan. «Per quale ragione?!»

«Gli incantesimi che hai usato per curarci erano veri?» lo attaccò Xerxes. «O hai borbottato parole irreali approfittando della nostra ignoranza?»

«I-io...» Il piccolo ansimava, sempre più spaventato.

Scappò in un'altra stanza, così si affrettarono a inseguirlo nella sua linda cucina.

Lo trovarono con un coltello tra le mani puntato in loro direzione. Aveva le lacrime agli occhi. «Vivo quaggiù da anni e nessuno ha mai scoperto la mia vera identità! Non lascerò che mi uccidano a causa di cinque idioti che non hanno voluto dare ascolto a una guida in un luogo che neanche conoscono!»

«Ucciderti?» squittì Skye. «Perché qualcuno vorrebbe ucciderti?»

«Per i tuoi studi in medicina?» ipotizzò Yan.

Nathan li interruppe: «Ma è risaputo che in tanti abbiano cercato di attentare alla sua vita, pur conoscendolo solo come un vecchio... Perché invece dovrebbero ucciderti se sapessero che sei...» Strabuzzò gli occhi. «Dov'è il tuo tester?»

Il bambino impallidì più del normale. «Che vuoi dal mio t-tester?»

«Voglio vederlo.»

«No! Ma chi ti credi di essere?»

«Qual è il problema?» lo interrogò Nathan, critico. «Non c'è niente di male se ce lo mostri. Possiamo rimanere qui tutto il pomeriggio, ma prima o poi dovrai toccarlo, no? Insomma, dubito fortemente che tu sia davvero un "debole": non hai di certo quattordici anni. E se sei un mago, perché tutta questa messinscena?»

Il coltello tremava ora fuori controllo tra le mani del piccolo, quasi quanto la sua gola.

Non ottenendo risposta, Nathan sussurrò: «Ce l'hai, il tester?»

Xerxes fece un cenno a Skye e Yan, i quali uscirono dalla cucina per ispezionare le altre stanze.

Nathan rimase in attesa, senza togliere gli occhi di dosso dal piccolo sconosciuto, il cui corpo si scuoteva sempre più a ogni secondo trascorso nel silenzio.

Infine gli amici tornarono affermando di non aver trovato niente.

Non avevano impiegato molto a setacciare le stanze, ma a parte varcare le soglie, non avevano avuto altro da fare. Nessuno nascondeva mai il tester, che avesse già dato o meno i risultati.

Salvo che...

«Nascondi il tuo tester per un motivo?» tornò a dire Nathan. «Se "minacce di morte" e "tester" si trovano nella stessa frase, significa che stiamo parlando... di "bestia"...»

Il bambino sussultò tanto forte da perdere la presa sul coltello.

L'arma cadde tra le sue pantofole. Nessuno si mosse mentre si chinava goffamente a recuperarla e tornava a puntarla.

Nathan trattenne il fiato. "Non vuole ucciderci, non è un assassino. Vuole solo vivere." «Sei davvero un "bestia"?»

Il bambino strabuzzò gli occhi. «F-f-folle... Come potrei essere un "b-bestia"? S-sarei già morto sull'Isola della...»

«Stai mentendo» sussurrò Xerxes, esterrefatto. «Tu sei un "bestia".»

«No!»

«Invece sì! Tremi ogni volta che pronunciamo quella parola... "bestia"

L'impostore diede in un singulto e rischiò di perdere l'arma per la seconda volta.

All'attimo di paura, seguì la rabbia. Gli occhi bicolori si assottigliarono, preannunciando guai. Si piegò, pronto ad attaccare...

E intanto altri coltelli si sollevarono tutto intorno a lui, le punte a indicare i cinque viaggiatori.

Stavolta Nathan sollevò le braccia in segno di resa. I poltergeist del Rifugio stavano intervenendo. Avrebbero protetto quel bambino privo di poteri magici.

Uno dei coltelli si fece poco indietro, piegato nella preparazione allo scatto...

Così Skye intervenne: «Siamo "bestia" anche noi!»

Allora il bambino s'immobilizzò. Il coltello cadde ancora, però stavolta non si accucciò a raccoglierlo... perché svenne.

Nathan mosse un passo avanti per impulso, ma si bloccò non appena i coltelli si fecero più vicini. Qualche d'uno cadde, mentre gli spiriti in questione si affrettavano a recuperare un panno, muovevano la manovella dell'acqua e lo bagnavano per tastare la fronte del protetto.

Ancora con le braccia sollevate, Xerxes fece qualche altro passo. Le punte dei coltelli seguirono il suo movimento, così come quello degli altri ragazzi, ma stavolta i poltergeist vollero dar loro fiducia.

I cinque circondarono il bambino.

«Cosa gli succede?» pigolò Skye.

Yan lo afferrò per le caviglie e gli sollevò le gambe per adagiarle sulle proprie, mentre James gli tirava qualche schiaffetto.

Sentirono il piccolo mugolare, lo videro aprire e chiudere la bocca come un pesce, ma non si svegliò...

«Che diavolo gli prende?» si agitò Nathan. «È tutto rigido. N-non possiamo lasciarlo qui, vero?»

Non che avessero scelta, considerate le armi puntate addosso.

Ma perché i poltergeist non rispondevano? Come avrebbero potuto aiutare il poveretto senza ricevere indicazioni?

Prima che cominciassero a dar di matto, lo videro spalancare gli occhi, le labbra semiaperte come se non fosse capace di muovere la mascella, le braccia e le gambe ancora rigide.

«Ti senti bene?»

Quello non si mosse, ma dalla gola gli sgorgò un mugolio indistinto. Sembrava incapace di articolare bene le parole: «...ua...e... inu...o...»

«Penso che voglia dire "qualche minuto"» disse Skye.

Dunque sedettero in attesa.

Nathan si accorse che pian piano il bambino cominciava a muovere le dita delle mani, a sbattere le palpebre, a scuotere il naso e a inumidirsi le labbra.

Infine, quando riuscì a spostare la testa, lo aiutò a tirarsi a sedere.

«Che ti è successo?»

Il piccolo lasciò ciondolare il capo sul petto, respirando irregolarmente. Non rispose alla domanda, ma fissò i cinque visitatori con sgomento, dubbio e inquisizione.

Nonostante il fisico deboluccio, appariva piuttosto inquietante, merito degli occhi pesti e arrossati.

«Sei davvero un "bestia"?» fece eco Yan, la voce acuta dalla sorpresa. «Ma... c-come mai sei vivo?»

Il bambino si raddrizzò un poco e rispose con coraggio e diffidenza: «Potrei farvi la stessa domanda... Ma chi diavolo siete voi?»

Pur dopo un attimo di esitazione, i cinque iniziarono il racconto: da Skye che era stata identificata come "bestia", illustrarono in breve la vita di James – sebbene evitando di citare l'assassinio dei genitori – passarono ai tester di Nathan, Yan e Xerxes, raccontarono dell'Isola della Purga, delle Sirene, del loro viaggio attraverso la contea di Skauter, di come fossero riusciti a salire sulla nave e della schermaglia contro il cacciatore e le sue belve.

Lo sconosciuto li ascoltò con gli occhi sempre più spalancati, a questo punto rotondi quanto sfere. E pian piano, le sue spalle si rilassarono.

Infine disse, quando si fu tirato in piedi e poggiato al ripiano da cucina: «Oh, che storia interessante. Ne avete passate tantissime. Eppure siete arrivati fin qui...»

«M-ma tu, invece?» chiese ancora Nathan. «Chi sei?»

Quello si strinse nelle spalle. «Mi chiamo Owen Fitzroy... o solo Owen... e... beh, come la vostra, la mia storia non comincia bene. Tranquilli, va a migliorare, non è così tanto strappalacrime» borbottò con una certa leggerezza. «Dunque, io...» si fermò a chiudere gli occhi per riflettere – o forse stava solo cercando di creare atmosfera, «io sono nato nel regno di Egaelith, proprio come voi, però vi ho abitato per poco tempo. I miei genitori erano esploratori. Non appena ho compiuto cinque anni, sono ripartiti portandomi nei loro viaggi. Il giorno in cui si spense il mio tester, eravamo qui a Ilashwia. Mio padre lo nascose in una borsa, mentre mia madre mi disse di seguirla e mi portò in questa casa...» esitò, il corpo appena scosso mentre si guardava intorno. «Era conosciuta per essere un rifugio abbandonato e infestato da poltergeist sanguinosi, nessuno osava avvicinarsi. Mamma disse che dovevo dimostrarmi coraggioso per la nostra prossima avventura. Perciò mi fidai, dopotutto era mia madre... Beh, come avrete intuito, non appena rimisi il naso fuori, lei non c'era. Se l'era data a gambe nella speranza che i poltergeist mi ammazzassero. Invece gli spiriti di questo Rifugio si sono rivelati ben educati, mi hanno accolto a braccia aperte. Per fortuna posso attraversarli, altrimenti chissà quante strizzate. Comunque sia, mi hanno aiutato a cavarmela da solo... non è che potessero fare molto, ma almeno mi davano certe indicazioni.»

Lo spirito che stava reggendo il panno bagnato glielo spiaccicò sulla testa.

Nathan fu sorpreso di osservare quella reazione giocosa da parte di un poltergeist assassino.

James scosse le braccia per richiamare l'attenzione. «Un momento, non sto capendo niente. Va bene, i poltergeist ti hanno accolto. Ma tu come hai fatto a guadagnarti da vivere?»

«Beh, gli spiriti mi hanno mostrato il loro tesoro.»

«Il tesoro?!»

«Sì, era nascosto in una parete.»

Nathan, come la maggior parte della gente, aveva molto sentito parlare del Rifugio dei Poltergeist. Era stato suo padre a raccontargliene: chiunque volesse tentar di rubare il tesoro doveva giungere solo di notte, poiché era con l'ascesa della luna che la porta si spalancava agli incauti. Lui e la nonna avevano evitato di entrarvi per non correre pericoli, nonostante il desiderio del bottino che in molti avevano tentato di accaparrarsi, rimettendovi la vita.

«Ai poltergeist non importa se io sono un "bestia". Sono stati tutti proprietari di questo Rifugio e dunque del tesoro, ma l'ultimo di loro non ha lasciato eredi, e il posto è rimasto abbandonato. Beh, hanno scelto me a cui passare il patrimonio. Allora ho usato il tesoro per ottenere un territorio dalla Heimagosbrunnur.»

«Dalla... che cosa

«La Heimagosbrunnur...» ripeté Yan, meravigliato. «Significa letteralmente "Fonte della Casa". Parla della Fonte magica!»

Nathan sorrise raggiante. «Esiste davvero!»

«Sì, ma in pochi la conoscono» spiegò Owen. «È una costruzione leggendaria, coloro che l'hanno sentita nominare credono sia una fandonia, e chi invece è stato testimone della sua esistenza preferisce non divulgarlo, per avidità: è tipo un accordo tacito. Io sono riuscito a trovarla grazie ai poltergeist. Comunque, da quel momento ho sistemato questa casa, e... Beh, i miei genitori avevano studiato la magia curativa e mi avevano insegnato un sacco di cose. Mi è sempre piaciuto l'ambito della medicina, e... ho cominciato a studiare, a fare esperimenti su me stesso. Ehm, ecco perché ho un così pessimo aspetto: troppi medicinali fanno male a un organismo, specialmente se non ne ha bisogno. Più volte ho rischiato la morte, ma avevo già una medicina a disposizione che contrastasse l'effetto di un'altra. Dopo circa un anno di studio, ho deciso di farmi conoscere come un vecchino "debole" abile nella magia curativa.»

«Come ti procuravi il cibo?»

«Purtroppo sono scarso a cacciare, perciò ho coltivato qualcosa nel mio terreno. Ho vissuto un anno intero senza carne. Adesso me la faccio portare dai clienti: vengo pagato così. Non chiedo denaro, quello non mi manca. Non voglio che la gente rinunci ai soldi per le medicine: è giusto che io aiuti i bisognosi, non lo faccio per guadagno. Necessito solo di mangiare, di vestiti e coperte. E se ai pazienti va di portarmi qualche decorazione per la casa, non la rifiuto mai.»

«E il travestimento?»

«Ho trovato le vesti dell'ultimo proprietario, il suo spirito mi ha dato il permesso di sfruttarle. Le ho pulite per bene e le ho indossate, poi ho tagliuzzato l'imbottitura del letto per creare barba e sopracciglia finte. È stato così per le prime volte, poi mi sono fatto portare altri vestiti. Che ne pensate del risultato?» Owen cominciò ad allontanarsi, instabile e dondolante.

Xerxes fece una smorfia. «Un po' finto.»

«Alla gente malata non interessa, desidera solo venire curata. Voi siete gli unici pazienti tanto ingrati che mi sono trovato tra i piedi.»

«Beh, per qualche motivo ho i nervi a fior di pelle. Non mi va di essere preso in giro.»

«Quindi tu, fino a due anni fa, vivevi senza l'aiuto di nessuno?» squittì Yan, tornando a interrogare Owen. «A soli... beh, forse otto anni... insomma, avevi già scoperto molte...»

«Ehi!» Owen lo fissò indignato, appoggiatosi al fredda-viveri. «Guarda che compirò tredici anni questo Sagittarius, genio!»

Nathan lo guardò sorpreso. «Sei nato nel 1435? Quindi hai la nostra stessa età.»

«Ah sì? Uhm, beh, forse sembro un po' più piccolo, lo ammetto...»

«Nessuno è mai venuto a cercarti?» domandò Skye. «Se il tuo tester si è spento...»

«Non ne ho idea. Probabilmente i miei avranno fatto credere che io sia morto cadendo in un burrone...» Owen si stiracchiò sbadigliando, come se si fosse appena svegliato da un pisolino. «Immagino che non volessero tornare a casa facendo sapere agli amici che il loro unico figlio è un "bestia".»

«E quante domande si sono fatti gli abitanti di Shiwh?»

«Parecchie, ma ho semplicemente raccontato che sono il discendente perduto dell'ultimo proprietario, perciò il Rifugio è mio di diritto. Vivo da solo, sì, ma non mi lamento troppo. Sono popolare, no? La gente mi adora. E mi adoreranno ancora di più quando...» Owen fece un sorriso larghissimo che gli illuminò il volto stanco, «udite udite... annuncerò le cure per la pertosse!»

Nathan sbatté le palpebre, sempre più perplesso. «Owen, tu... ecco, n-non ho parole...»

«Non è necessario che tu dica niente. Anzi, magari un "Complimenti, Owen!", oppure "Sei davvero grandioso, Owen!", o "Sei la persona più geniale di Pure, Owen!". Sì, mi farebbe davvero piacere! Ricordate di sottolineare il mio nome!»

I ragazzi si scambiarono occhiate stranite, Skye invece ridacchiava.

Il guaritore tornò in salotto. «Bene, ora conoscete la mia triste storiella. In ogni caso, non sono l'unica persona eccezionale qui dentro, eh? Basta guardare cos'avete fatto voi. Certo, io ho fatto tutto da solo, però...»

Nathan fece un sorrisetto, spiazzato da come questo ragazzino, un attimo prima tremante come una foglia, adesso stesse facendo il gradasso.

Owen fece loro cenno di seguirlo. Li condusse attraverso un lungo corridoio che portava a una sala ampissima. I tavoli erano occupati da provette contenenti liquidi trasparenti, tutte etichettate con strisce di pergamena di diverso colore, e c'erano anche librerie strabordanti di enormi tomi dalle pagine ingiallite. Su un tavolino in un angolo erano stati sistemati, con ordine ossessivo, i migliori strumenti medici conosciuti dall'uomo.

«Benvenuti nel mio laboratorio!» esclamò Owen.

«Per tutti gli dèi del cielo! Ma dove diamine hai trovato tutta questa strumentazione?!» sbottò Yan.

«All'inizio mi camuffavo per entrare al villaggio e comprare il materiale. Acquisendo fama, mi sono permesso di fare delle ordinazioni. Questi strumenti vengono dai laboratori medici più stimati di Pure.»

James afferrò un ago-aspiratore. «Questo è sangue?»

«Sì, sto studiando le vulnerabilità dei nuovi nati del villaggio.»

Con un'improvvisa pelle d'oca a scuoterlo, Nathan indietreggiò. «J-James, n-non mi piaci con quell'affare in mano... per favore, mettilo giù...»

«Già!» Owen gli tirò uno schiaffetto alle dita e lo allontanò dal tavolo. «La mia roba non si tocca! Ehi, giù le mani! Distruggi il mio ordine!» ripeté quando James fece per toccare una provetta. «Mi avete stufato! Fuori dal laboratorio!» e li spintonò via, costringendoli a tornare in salotto.

Coi bubbolii di James in sottofondo, Yan esclamò: «Quanti libri che hai là dentro! Tutti di medicina? Oppure hai anche qualche poema epico? Qualche leggenda del Nord? Avventure tra i ghiacciai?»

«Sì, ogni tanto mi diletto nelle letture eroiche. Ora però ho io una domanda da farvi.» Owen indicò Skye. «Perché c'è una rana sulla vostra testa, signorina?»

Skye raccolse Niawn e le accarezzò il dorso. «È innocua. Ti infastidisce?»

«Beh, se non ha i peli non può sporcare. Vorrei però assicurarmi che non sia portatrice di malanni. Posso farle qualche analisi?»

Lei si portò Niawn al petto. «Cosa intendi dire?»

«Tranquilla, non voglio farle del male. Se si rivelerà sana, la riavrete indietro.»

«In caso contrario?»

Owen fece un largo sorriso. «Se si rivelerà sana, la riavrete indietro.»

Skye gli tirò una spintarella che lo fece scoppiare a ridere. «Sta' alla larga dalla mia rana!»

Nel momento in cui la pelle di Xerxes tornò del colore naturale, Owen si volse a guardarlo interessato. Non stava fermo un istante, troppo esaltato di poter finalmente parlare con qualcuno essendo semplicemente se stesso. «Dunque sei davvero il principe Xerxes Cavendish... Siete, chiedo scusa.»

«Usa pure il "tu". Non sono più un nobile, mio padre mi ha disconosciuto.»

«Mi dispiace... Ehm, invece voi,» Owen si rivolse agli altri, «come avete detto di chiamarvi? Ehi, e quei denti strani?» Afferrò gli angoli della bocca di James e l'allargò per osservargli la dentatura aguzza. «Che forza! Come hai fatto a farli diventare così? Affascinante! E come mai il tuo corpo ha molte più cicatrici rispetto agli altri?»

«Vuoi lasciarmi parlare o no?!» ringhiò James, battendo i denti come a volerlo mordere. «Mai sentito parlare del Red Lion?»

«No... Che cos'è? Una bevanda alcolica?»

James lo fissò basito. «No, idiota! Sono io! Criniera di riccioli, benda sugli occhi, ricoperto di sangue!»

Owen scosse ancora la testa, tutt'altro che intimorito dal suo sguardo torvo.

«Mio padre non permette che le visioni del regno di Egaelith arrivino sino agli altri Paesi» spiegò Xerxes.

James parve come... afflosciarsi. «Stai scherzando? Perché non me ne hai mai parlato? Credevo di essere conosciuto in tutta Pure!»

Nathan e Yan scoppiarono a ridere, solo per azzittirsi non appena James spostò gli occhi fulminanti su di loro.

Il primo venne salvato da Owen, che lo trascinò a sedersi sul divano, ordinandogli di tenere tesa la gamba gonfia. «Stai camminando già da troppo. Allora,» cambiò subito discorso, «com'è che vi chiamate?»

Era un fiume in piena. Nathan non riusciva quasi a stargli dietro, ma poteva comprendere il suo entusiasmo. Gli ricordò molto il primo incontro con Skye: anche lei era stata tanto felice da non riuscire a smettere di parlare.
Come allora con l'amica, anche adesso Nathan si sentiva contagiato dalla felicità di questo ragazzino dalla mente furba.

«Yan» si presentò il cadetto. «Poi abbiamo Xerxes, Skye Gael, Nathan Seller e James Carter.»

Questi prese parola: «Siamo anche conosciuti come aquilotto, cerbiattino, ranocchietta, puledrino e...»

«Leoncino» lo precedettero gli altri, facendolo ringhiare.

Owen si portò la mano sulla bocca per nascondere il riso. «Piacere di conoscervi. Ehm... come mai questi soprannomi?»

Xerxes allargò le braccia. «Perché James è un idiota!»

Mentre il diretto interessato si girava di scatto, Owen scoppiò a ridere così forte che ricadde sul divano, a tenersi le braccia attorno alla pancia.

James si sporse per premergli il naso contro. «Non ti conviene prendermi per il culo, nanerottolo. Io posso essere pericoloso!»

Invece Owen rise più forte, accasciandosi sul bracciolo. Il suo respiro si fece affannoso, per un attimo Nathan ebbe il terrore che fosse vicino a svenire di nuovo...

«Ehi!» Lo afferrò per tirargli uno schiaffetto. «Ehi, stai bene?»

«Sì...» Owen trasse respiri profondi, mentre apriva e chiudeva prima un occhio e poi l'altro. «Scusate, ma... se rido troppo a volte rischio di... di svenire...»

«È orribile! Come mai ti capita questo?»

«Si tratta di una malattia... di cui purtroppo non conosco la cura... Succede sempre quando provo forti emozioni, per esempio prima, che avevo una gran paura; alle volte invece mi addormento all'improvviso. Cerco di fare pisolini quando ne ho bisogno e... Beh, non fate quelle facce, non è nulla di mortale» li rassicurò. Si raddrizzò massaggiandosi il collo, e tornò a chiedere: «Uhm, dunque la vostra idea è di comprare una porzione di territorio dalla Heimagosbrunnur, eh? Mmm, a dire il vero è meglio se non viaggiate con tutte quelle ferite. E certo dei "bestia" non possono rischiare di alloggiare in una locanda. Qui sarete molto più al sicuro, almeno potrò continuare a curarvi finché non guarirete per bene. Non temete, ho fatto applicare un incantesimo affinché da fuori non si veda mai ciò che succede all'interno e non si senta ciò che diciamo. Utile, vero?»

Dubbioso, Xerxes fece tintinnare il bracciale d'ossa. «Non ne sono sicuro, Owen. Il fatto è che noi possediamo questi talismani che sembrano inibire qualsiasi incantesimo, e...»

«Davvero? Fa' vedere.» Owen si avvicinò incuriosito per tastare il bracciale. «Mai visti manufatti simili... Davvero annullano qualsiasi incantesimo?»

«Li abbiamo creati con le ossa dei "bestia" trovate sull'Isola della Purga. Sembrano essere immuni alla magia, ci hanno protetti durante il viaggio.»

Owen si era ritratto già prima di ascoltare la fine della frase. I suoi occhi trasudavano ribrezzo e scandalo. Fece saettare lo sguardo dai bracciali alle collane, e solo allora alzò gli occhi a sibilare imbestialito: «Ma siete fuori di senno? Datemi quelle ossa, imbecilli!»

Loro rimasero immobili nella confusione. Soltanto Skye obbedì, scossa nel vederlo tanto agitato.

Il ragazzino afferrò la collana e tese la mano agli altri. «Portare addosso ossa di bambini. Siete impazziti

«Ci hanno protetti per tutto questo tempo!»

«Non sono state queste ossa, ma i vostri corpi! È questo che siamo noi "bestia": immuni alla magia umana! E ora consegnatemi quella roba!»

Loro si affrettarono a togliersi tutti i tetri accessori.

Owen li posò su un davanzale e rimase a fissarli, scioccato. «Li seppellirò dopo... Dannazione, ma cos'avete al posto del cervello?! Ciò che avete fatto è da infami!»

«Eravamo disperati» mugolò Yan. «Ci dispiace...»

Nessun altro ebbe da replicare, persino James si era ammutolito.

Nathan avvertì la nausea, proprio come le prime volte che aveva indossato quelle ossa, quando ancora non si era abituato... in realtà, non si era mai veramente abituato...

Di fronte alle loro espressioni compunte, Owen parve ammorbidirsi. «Sì, in fondo posso capirvi. Ma quei talismani che vi siete creati non hanno fatto niente. Sono i nostri corpi a essere antincantesimo. L'organismo dei "bestia" allontana la magia. Solo quella umana, s'intende. E in qualche modo l'immunità rimane nelle ossa anche senza carne, organi o... beh, vita...»

«Davvero?» Nathan sbatté le palpebre. «Ma il signor Mowbray...»

Guardò Yan, il quale disse: «Sei sicuro che i tuoi genitori usassero incantesimi su di te? Io non ricordo bene riguardo mia madre...»

A rifletterci meglio, Nathan era stato molto generico. Non aveva ricordi precisi in cui suo padre o sua madre lo sollevavano in volo o gli pettinavano i capelli con la magia.

«Mowbray» sussurrò. «Soltanto lui...»

«Questa mi è nuova...» mugugnò Owen. «Ho avuto le prove di ciò che dico, ho persino analizzato le mie cellule. Le altre creature magiche invece possono influenzarci tramite la magia.»

«Tuttavia Mowbray potrebbe essere l'unica eccezione» li rasserenò Xerxes. «Quei due delinquenti non hanno potuto ferirci. E se i nostri genitori avevano notato l'immunità, avranno creduto che il nostro potere si stesse manifestando in qualche forma difensiva. A volte succede, persino prima del risultato del tester.»

«Quindi non erano i talismani a proteggerci» sottolineò James. «Siamo noi a essere più forti.» Ghignò. «Magari i maghi hanno davvero tentato di bloccarci sull'Isola, ma se i loro incantesimi non hanno effetto sui "bestia"...»

Yan annuì. «A dire il vero, questo spiega anche perché le Isole della Purga esistono. Se i maghi non possono farci del male, servono luoghi in cui le creature magiche possono divorarci.»

Nathan lo appoggiò. «Sì, ma chi le ha create sapeva della nostra immunità. Non capisco perché non l'abbia rivelata al mondo...»

Quanta confusione nel mondo...

Pure sembrava essere bagnata soltanto da intolleranza e incoerenza, come era possibile?

Perché niente tornava?

A vedere però le espressioni abbacchiate degli amici, Nathan preferì, come loro, non porgere altre domande ad alta voce.

Oramai erano quasi arrivati, presto la società non avrebbe più potuto dar loro noie. Avrebbe tanto voluto conoscere la verità, ma preferiva di gran lunga sopravvivere nella beata ignoranza, come aveva sempre fatto.

Si era rivelata un errore, ma adesso sentiva che, fin quando rimaneva al fianco dei suoi compagni, gli sarebbe bastato. Null'altro importava.

Poi Owen aggiunse: «Persino le malattie con batteri magici non possono colpirci, e allo stesso tempo le pozioni umane non hanno effetto su di noi. La magia non può nulla neanche contro le malattie con batteri non‐magici.»

«Però i malanni non‐magici possono colpire anche i maghi.»

«Esatto. Ecco perché studio per trovare le cure a quest'ultimo tipo di malattie.»

Xerxes si rivolse titubante a James: «Mio padre diceva di... torturarti...»

L'altro sbuffò con disprezzo. «Erano i suoi goblin a torturarmi, mica lui. Se tuo padre ti ha mai raccontato qualcosa su quel che mi faceva, allora...»

«Mentiva» terminò il principe, adombrandosi. «Ovvio, è la sua specialità: mentire per apparire più potente... Immagino che sapesse di noi, però non lo ha mai detto a nessuno...»

«Tsk! Sai quanto gli piaccia essere riservato.»

Owen, che li ascoltava confuso, si riscosse e riprese a dire: «Beh, comunque qui sarete ben curati. E gli incantesimi che proteggono la casa sono stati lanciati da un mio amico elfo, perciò non dobbiamo temere.» Si grattò la testa, forse vergognandosi un po' di aver perso la pazienza. «Dovreste davvero riposare, avete un aspetto tremendo. La signorina Skye può dormire sul letto, mentre per noi ragazzi ho delle coperte da poter stendere sul pavimento.»

Nathan prese un sospiro di sollievo quando vide Xerxes acconsentire, e tutti annuirono d'accordo.

Finalmente potevano stare in pace per un po'.

«Grazie, Owen» mormorò il principe, con un cenno rispettoso.

Owen arrossì un poco. «Beh, sarei un pessimo guaritore se non mi prendessi adeguatamente cura dei miei pazienti. Ma vorrei chiedervi di fare un bagno, perché puzzate un sacco.» Sollevò le mani di fronte alle loro facce offese. «Prometto che vi faccio trovare un pranzo coi fiocchi... se non mi addormento mentre cucino.»

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top