6) Zahirile -1-
8 mo'hg Ahkoth 1842 - luogo imprecisato
Erano già alcune ore che Zahirile strisciava in quella foresta assolata; l'umidità e il caldo erano asfissianti e non riuscì a trovare nessun animale, solo il canto di alcuni uccelli e le grida di alcune scimmie perse in quel verde soffocante.
Quell'ambiente fu così insolito per lui, era rigoglioso e vivo: diverse liane decoravano varie chiome e imponenti rampicanti abbracciavano con le loro foglie i tronchi secolari; fiori giganti e dai colori sgargianti erano stazioni di sosta per numerosi insetti che svolazzavano per i loro affari.
Ciò che il cobra riscontrò fu un'immagine completamente diversa dalla desolazione descritta dai maturatori. Sentì però i polmoni riempirsi di un'aria già conosciuta, opprimente e pericolosa, che aveva dimenticato. Avvertì tanti occhi su di sé, occhi impauriti e aggressivi pronti a scagliarglisi contro. Si vide dall'alto dei rami, da dietro alcuni cespugli, da sotto la sua coda: era circondato.
Fu tentato di richiamare il nome di suo nonno per stanarlo, ma era solo un residuo del proprio passato. Muovendo due dita, sollevò con il suo otzi un masso seminterrato nel sentiero che stava percorrendo e lo scagliò, come fosse stato un maglio, in punti casuali attorno a lui; quell'aria velenosamente familiare svanì con numerose zampe in fuga.
Continuò a vagare in quella vegetazione fino a dimenticare la direzione da cui proveniva, sperava che, così facendo, fosse stato più facile scovare un esemplare della sua affinità. Si rese conto di non avere nessun tipo di esperienza su dove potesse nascondersi un cobra dagli occhiali, nessuno glielo aveva mai spiegato. Ripescò tra i ricordi, ma l'unica cosa che ottenne fu rievocare la sua inettitudine come serpente; scacciò quel pensiero come una scoria da eliminare.
Il rumore in lontananza di un piccolo corso d'acqua gli rammentò di doversi cibare e dissetare. Raggiunse la fonte di quello scroscio e si aprì un esile ruscello disegnato da rocce sparse e macchiate dai resti di qualche uccello. Non era profondo e si sarebbe attraversato facilmente; la sua potenza avrebbe iniziato a scorrere tra poche foreste. Su un vecchio tronco marcito e fradicio notò saltellare una rana mansueta venuta a rinfrescarsi. Indugiò nell'osservarla, finché non decise di catturarla grazie alla telecinesi espressa con il palmo disteso.
Il piccolo anfibio iniziò a levitare, spostandosi tra alcuni fasci di luce che temperavano la freschezza dell'acqua; rimase immobile, ignaro di ciò che gli stesse succedendo. Credette di aver compiuto un balzo, così distese le sue dita palmate in attesa di atterrare.
Zahirile mirò quel ventre minuto e pallido, alcune chiazze sbiadite di pigmentazione marroncina lo fecero pensare alla sua stella: era sicuro l'avrebbe vista, di notte, tra le fronde degli alberi.
La pancia batteva veloce, in ansia per quel suolo che non giungeva mai; smise di gonfiarsi con un movimento rapido e privo di crudeltà.
Il resh be'th si allontanò dal ruscello quel tanto che bastava per allestire un piccolo fuocherello con il quale cucinare il suo pasto; il vento era leggero e portò via con sé il fumo della cottura.
Immaginò di restare turbato da quell'uccisione e di assimilarla a quella di suo nonno, immaginò di avere difficoltà a mangiare quell'animale e di vomitarlo subito dopo rigettando le sue azioni. Non provò nulla e si detestò giudicandosi crudele, non vide quanto in realtà era diventato maturo.
Proseguì la via tracciata dal corso d'acqua osservandone la portata sempre maggiore e abbandonò il terreno per avventurarsi tra rocce ancora più grandi e ammassate tra loro. I suoni divennero roboanti e imponenti e Zahirile si accorse di dover progettare i movimenti successivi per non scivolare tra le pietre che alimentavano le rapide del torrente.
Gli alberi avevano arretrato il loro dominio riconoscendo all'acqua lo spazio che meritava; in quella discesa, solo il sole vegliava sul percorso scavato dalla sorgente lontana.
Fu tra le fenditure di alcune rocce che donavano un po' d'ombra che Zahirile trovò una sua affinità. Il disegno caratteristico del cappuccio fu riconosciuto in mezzo a raggi di luce rimbalzanti e a gorghi di risacca che brillavano tra le insenature.
L'emozione fu travolgente e paralizzante. Lo osservò a lungo meravigliato mentre era avviluppato su sé stesso. Nonostante dormisse, emanava un immenso carisma ipnotico e Zahirile avvertì tutta la maestosità dell'animale. Si avvicinò lentamente sfilando tra i massi e mantenendo lo sguardo fisso sull'esemplare; si scompigliò i capelli castani per dargli la giusta dinamicità e continuò a contemplare il cobra addormentato.
Era la prima volta che vedeva un serpente e desiderò ardentemente prenderlo tra le mani e sentirlo scorrere sulla sua pelle. Decise che avrebbe trascorso quella luna assieme al rettile che aveva di fronte, lo avrebbe addomesticato e sarebbe tornato con lui a Haksh. Sentì come se la libertà che gli era sempre mancata si fosse materializzata sotto forma di affinità e che la realizzazione provata al maturamento non fosse altro che una pallida imitazione di quella incarnata dall'animale. Vivere in simbiosi con quel cobra lo avrebbe fatto sentire un vero resh be'th e tutte le debolezze nascoste sotto le cicatrici della schiena sarebbero state ingoiate da quelle spire. Allungò la mano per accarezzarlo e i due rettili entrarono in contatto.
Aveva delle squame così lucide e intense che si perse nella loro perfetta definizione geometrica, avvertì il respiro sinuoso e regolare e ci si riconobbe. Ancora estasiato, non si rese conto che i denti dell'animale avevano già raggiunto il suo collo.
Con uno scatto troppo lento, Zahirile si tirò indietro lanciando istintivamente il serpente lontano da sé.
Il torrente, le rocce, gli alberi, il sole. Ogni cosa iniziò a vorticare senza sosta; il suo cuore martellò sempre più forte. Uno sgradevole odore di ferro acido gli invase la gola; la testa si schiantò al suolo.
Respirò e singhiozzò in maniera sincopata.
Aiuto.
"In queste lune sei migliorato moltissimo, sono molto fiero di te. Ma là fuori sarà tutta un'altra storia, perciò mi raccomando: non fare errori e torna a casa".
La voce di Loubra'l gli alleviò il cuore.
Aiuto.
"Non sei degno di essere chiamato serpente".
Gli insulti del nonno infierirono sulle vecchie ferite.
I suoi occhi si chiusero.
Un respiro violento lo risvegliò e si ritrovò sulle sponde rocciose del greto, gli sembrò un dejavu. I ruggiti del torrente riemersero gradualmente e l'opacità della vista svanì come lavata via. Si tastò il collo all'altezza del morso e avvertì un leggero inspessimento: due piccoli fori e un caldo gonfiore furono gli unici segni di quel pericolo scampato.
In lontananza c'era un triste tramonto, i toni rosati del cielo di Haksh vennero sostituiti da colori verdi e spenti che crollavano verso il violaceo della notte. L'area circostante fu interessata da questo strano fenomeno e Zahirile credette fosse un effetto del veleno sui suoi occhi, ma si sbagliava.
Si guardò intorno senza un reale scopo e si accovacciò poggiando la schiena su un grande masso. Ripensò a quanto era successo e una parte di lui non volle vivere l'episodio come un incauto incidente, ma come una prova fallita; si disse che era stato rifiutato dal cobra perché non era ancora pronto. Desiderò ancora di più avere quell'animale con sé.
Passò la notte lì, tra quelle sponde, a riflettere; non aveva bisogno di un riparo, la temperatura rimase mite anche nelle ore più buie; non aveva bisogno di cibo, mangiare non fu reputato importante.
Si sdraiò ad alimentare il come del suo otzi e cercò di farlo abitare da una piccola luce sferica che assunse i tratti e la consistenza di un fragile uovo color panna.
Fluttuava leggero nell'aria e il resh be'th lo depositò con cura su una lieve conca riparata realizzata nel docile canale della sua mente; i suoni del torrente riuscirono a dare vigore anche al mulino di Harsha che portava aria calda. Nonostante fosse distante moltissime foreste dal ge'th, le pietre con cui era stata edificata la costruzione risultarono più nitide e vere rispetto a un ricordo.
Meditare era diventato un'attività sempre più naturale e rilassante per lui, le sensazioni provate erano in grado di sovrapporsi alla realtà e avevano reso quel luogo interiore una seconda casa nella quale maturare e rigenerarsi.
Senza rendersene conto, Zahirile crollò addormentato vegliando su quell'uovo come se valesse più della sua stessa vita.
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