15) Thoeri
9 mo'hg Ahkoth 1842; Haksh
"Come sarebbe a dire che Shoudhe è stato incarcerato?"
Thoeri sputò tutta la sua rabbia e incredulità in faccia alla guardia eterna che si era appena presentata al nuovo governatore consegnando un papiro firmato dall'Eternità. Il rotolo venne serrato nel pugno come a non accettare quelle parole per vere.
La notizia ebbe l'effetto di una blasfemia all'interno di quello che era lo studio del rinoceronte; il coccodrillo fece echeggiare le proprie urla tra gli scaffali e venne sentito anche da alcuni inservienti.
Am'igh non rispose alle grida, rimase mesto a fissare le sue dita da gorilla stringersi dal dispiacere. Maledisse Bhole e le risate che aveva fatto dopo aver vinto a morra per scegliere chi dovesse recapitare il messaggio. Si sentì piccolo e infimo nella grande armatura bianca, ma il compito che gli era stato affidato non era terminato.
Ritrovò il coraggio e l'ufficialità del suo essere emissario e alzò la testa verso i lunghi baffi del coccodrillo; più in alto non riusciva:
"Ho inoltre il dovere di informarla che l'Eternità non tollererà nessun'altra infrazione, altrimenti saranno costretti a intervenire..." Si morse le labbra, ma il timore uscì lo stesso. "La prego, i miei nipoti e i semplici cittadini non c'entrano nulla."
Quella supplica destabilizzò Thoeri, essere governatore da tre giorni si stava rivelando molto più arduo di quanto potesse immaginare e, con l'arrivo del gorilla, capì di doverlo essere a tempo indeterminato. Sentì l'eco di una frattura, labile ma non ignorabile, che stava intaccando le sue certezze sull'Eternità e sulla giustizia che avevano sempre incarnato. La riparò chiedendo l'unica cosa che avrebbe potuto ristorare la fede in quell'istituzione:
"Quali sono invece le conseguenze per Harfnag? Anche i suoi governatori sono stati resi prigionieri?"
La risposta, incerta e rapida, fu che non aveva il diritto di conoscere le questioni degli altri ge'th.
"Ragazzo, o mi racconti ciò che sai su Harfnag o verrò con te dall'Eternità. E non sarà un viaggio piacevole."
Il gorilla si passò una mano sul viso e guardò a terra in un punto assente. Sapeva ciò che doveva fare, ma non credeva che quella sciocca previsione con cui era partito fosse stata reale quanto lui. Pronunciò la battuta come se non gli appartenesse:
"Mi hanno ordinato di risponderle che il suo compito è di obbedire e tacere." Si estraniò, mortificato per aver rivolto quelle parole a un resh be'th del suo paese.
"Va' via" sussurrò Thoeri reggendosi sulla scrivania di Shoudhe.
Vide solo il mantello azzurro sfilare oltre la porta.
Crollò spingendo la sua schiena squamosa contro la poltrona del rinoceronte e si concentrò sull'ombra frazionata di una stalattite nel soffitto, sapeva cosa c'era dietro di lui, ma non aveva il coraggio di guardare le colline di quella mattina.
Cambiò idea e decise di uscire, strattonato dai sensi di colpa e dai dubbi che si alimentavano a vicenda. Giudicò ipocriti i suoi comportamenti di critica verso chiunque fosse stato messo alla prova dai pilastri e non avesse visto la loro legittimità e bontà. Gli sembrò di dover resistere al crollo di quel peso su di lui.
I corridoi angusti e impervi gli sembrarono ancor più difficili da percorrere e la sua mano scorreva sull'umidità delle pareti calcaree. Il pensiero bifido della responsabilità di Shoudhe verso il proprio incarceramento affiorò come un pungolo sotto la zampa squamata e visualizzò i giudizi degli altri maturatori reputarlo il mandante di quell'arresto.
Stressò i suoi baffi e pregò senza un destinatario che Shoudhe non fosse l'unico a pagare il prezzo degli eventi. Si rifugiò nella sua stanza e preparò distrattamente una sacca con le cose che aveva; lasciò lì i quadri dei propri avi e delle sue affinità, lasciò lì la piuma di colomba decorata da sua sorella quando aveva scoperto di essere stato scelto come maturatore, lasciò lì il modellino di un mulino. Una distrazione fastidiosa gli ricordò di spolverare il laboratorio; vi combatté per un attimo e lasciò il compito ai vari custodi.
Uscito sul corridoio vide Loubra'l, l'unico rimasto assieme a lui nel monte, dirigersi con una scopetta verso la stanza di Gharai. Aveva passato gli ultimi due giorni a preparare delle esequie per Hogal e Rabe'th nonostante l'eccezionalità e il tempo trascorso; un favore a Baharas per sdebitarsi del trattamento che gli avevano riservato.
Il camaleonte squadrò il coccodrillo arricciando una delle tante catenine al collo:
"Sembri giù, il ruolo di governatore non è come te lo immaginavi?".
"Molte cose non sono come immaginavo." Thoeri chiuse un discorso che non sarebbe mai iniziato.
"Ti va di darmi una mano a ispezionare la stanza di Gharai? Quattro occhi sono meglio di due."
Aspettò con un sorriso di conforto e le verruche marroni ai lati del viso gli diedero l'aspetto di un vecchio acerbo.
Entrare in quella profonda nicchia gettò Thoeri in un vortice di estraneità, ripensò alla discussione avuta col cacatua sull'Eternità e gli sfuggì un ghigno di sconfitta.
"Da dove vogliamo iniziare?" chiese il maturatore della magia già in cerca di qualche fortunato dettaglio.
"Shoudhe è stato incarcerato." La scopetta cadde a terra.
"E adesso?"
"Non lo so" sospirò.
Il camaleonte si rese conto che il resh be'th davanti a sé era sopraffatto, così lo incoraggiò a prendere la decisione che lui stesso aveva già pensato; riconobbe la sacca da viaggio.
"Sta' tranquillo, Shoudhe tornerà e Haksh riuscirà a cavarsela." Una smossa decisa e pacata avvicinò i due rettili desiderosi di credere a quella speranza.
Il coccodrillo scese per la via di servizio, ma gli sembrò comunque ripida e scomoda: più il tempo passava più aveva voglia di sfogarsi e prendere a calci qualche masso; l'idea di veder ruzzolare delle pietre giù dal versante fu una tentazione che riuscì a trovare appagamento anche nella sola immaginazione. Raggiunse la staccionata e salì in groppa a un mulo disponibile. Ne commentò l'odore acre e colpevolizzò l'animale, ma non cambiò cavalcatura. Giunse alla stalla dopo un trotto sofferto e fu scortese come solito:
"Il mulo puzza".
Lo stalliere muflone si scusò con ogni deferenza conosciuta e rimediò con delle secchiate d'acqua non appena il maturatore si fu allontanato. Presentò al coccodrillo un bellissimo e giovane stallone e gli applicò la sua sella personale; il frustino era nell'alloggio tra il corno e il pomello.
Senza dare una spiegazione, Thoeri insisté affinché la falda fosse sostituita con la sua cappa ben piegata: quel giorno volle essere un semplice resh be'th. A nulla valsero i tentativi dello stalliere di farlo desistere e, alla fine, acconsentì alla modifica quando riconobbe la sfiducia sul suo volto.
Si lasciarono nel silenzio e lo stalliere pregò per lui mentre lo vide scomparire tra la polvere sollevata dagli zoccoli.
Thoeri continuò la sua discesa nei sentieri di montagna spingendo al limite l'animale, urlò contro il vento e il sole, contro ogni albero e ogni presenza di vita. L'ebrezza della cavalcata fatta di salti e sterzate non lo esaltò, nonostante stesse dando fondo a tutta la sua abilità: il desiderio di soffrire fu sconfitto dalle memorie dell'istinto.
Quando la strada divenne un tratturo, rallentò il passo e proseguì invisibile nei passaggi in disuso dei boscaioli. Haksh fu costeggiata e guardò le spalle dei colossi di pietra, reputati momentaneamente complici di quel destino avverso a cui lui e Shoudhe erano stati sottoposti.
Cavalcò furioso tra i campi, rallentò per la vergogna, corse di nuovo per fuggire da sé stesso. Continuò il cammino finché il sole non decise per lui che era arrivato il momento di fermarsi; scese da cavallo e si rese conto di non aver preso nulla da mangiare. Solo allora si guardò attorno in quell'immensa distesa di campi maculati da boschi che oscillavano ai colori tenui del tramonto.
Sostava su un viale spesso trafficato, ma molti viandanti erano già con le zampe sotto un tavolino, a destinazione o in qualche ospedale di passaggio. Con i pensieri rivolti al rinoceronte e alla propria pochezza scelse che non aveva voglia di cacciare, ma scorse un casolare isolato di un agricoltore. Osservò il cavallo nitrire, mentre reggeva dal basso le redini, e una sequenza di azioni si palesò nel coccodrillo: lasciare l'animale nei pressi dell'abitazione e darsi all'eremitaggio. Nessuno lo avrebbe trovato.
Vigliacco.
Restò immobile e impaziente con sé stesso; alla fine, si diresse verso quella casa illuminata dalle ultime forze del giorno.
Bussò alla leggera porta di legno e un anziano gibbone, con un lume incerto, si palesò con le sue lunghe sopracciglia grigie e scomposte. Entrambi i resh be'th si bloccarono, paralizzati per l'incontro inaspettato. Fu il coccodrillo a reagire per primo, girò le spalle e se ne andò.
"Nobile Thoeri..." L'anziano resh be'th non sapeva come reagire. La camicia sgualcita e i pantaloni da lavoro non erano una buona presentazione.
"Prego... entri." Una mano rapida cercò di stirare e pulire gli abiti.
Il coccodrillo si voltò a osservare quei tentativi di contegno del vecchio primate e sbuffò rassegnato.
"Questa sera sono solo un resh be'th qualunque. Chiedo solo un tozzo di pane e una coperta."
Ottenne molto di più: pane, vino, una coperta e una baracca dove riposare con il cavallo.
Realizzò un cuscino con della paglia, strappata da alcune pile ammassate tra due assi portanti, e ne diede un po' all'animale, che masticò senza contegno.
Fu difficile addormentarsi, si chiese quando avrebbe consegnato il messaggio degli Zale'dh a Shoudhe, sospirò provando a convincersi che quella luna sarebbe passata in fretta. Ripartì col sorgere del sole come un ladro e senza lasciare traccia della sua presenza.
Quando Harsha iniziò a distinguersi tra le colline, si sentì chiamare dall'alto. Un'aquila stava sbracciando per farsi vedere e atterrò davanti al suo cavallo. Un'espressione triste, straniera sul viso del resh be'th, ombreggiava il suo atteggiamento. Aveva dei lineamenti familiari, ma il coccodrillo non sapeva chi fosse, né perse tempo a ipotizzarlo.
"Nobile Thoeri, scusi se la importuno. Vengo da Harsha e mi chiamo Aethrei, sono padre di Ak'uira."
Dopo essersi presentato, diede del tempo al maturatore per metabolizzare la sua identità e collegarla a quella del figlio.
"Sì," rispose secco e in attesa di conoscere il motivo dell'interruzione.
"So di essere sfacciato, ma... volevo sapere se potessi parlare con mio figlio." Thoeri percepì il dolore trattenuto modellare il viso del popolano.
"Le giovani promesse di Haksh sono tra i loro animali adesso e non possono essere disturbate." Cercò di negare il permesso andando al di là dell'assenza dei ragazzi.
"Immaginavo" sorrise abbandonando il tentativo. "Se possibile, vorrei parlare con lei come capo di Harsha."
"Sono un po' di fretta, arriva al punto." Si rifugiò immaginando di tuffarsi nel fiume dietro la sua tenuta e di isolarsi.
"L'otzica Joidhe, mia suocera, è morta ieri notte."
La resistenza dell'aquila crollò in un sussulto improvviso e le sue guance si rigarono dei detriti, subito asciugati, dell'affetto che provava.
Thoeri chiuse gli occhi maledicendo il cielo, avrebbe dovuto essere triste e riconoscere l'importanza di quella perdita. Avrebbe dovuto rispettare tutto ciò che quella donna era stata per la sua generazione anche se non le era stato concesso di insegnare nel monte, avrebbe dovuto omaggiare il suo spirito, la sua tenacia, la sua umiltà. Pensò fosse un altro ostacolo che non era in grado di superare e che Lath avrebbe dovuto essere informato, che avrebbe scoperto tutto, che sarebbe stato ricordato come il resh be'th che aveva fatto crollare Haksh e che avrebbe condannato Shoudhe alla prigionia e all'oblio della memoria.
Un leggero singhiozzo di Aethrei gli ricordò che era morta una resh be'th.
Dall'alto della cavalcatura, poggiò una mano sull'ala nera dell'aquila e recuperò un sincero sorriso malinconico.
"Torniamo a Harsha."
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