11) Hatsei e Go'se -2-
8 mo'gh Ahkoth 1842; fuori dalla Bozanj
Hatsei corse verso quelle voci lontane tamponando il naso con una mano, ma delle gocce di sangue riuscivano a defluire tra le sue dita lasciando un sentiero puntinato dietro di sé.
Il terreno era arido nonostante la pioggia della sera precedente, sentiva le sue unghie affondare in quella che avrebbe giurato fosse sabbia: solo cenere accumulata nel tempo. Sradicò inavvertitamente un arbusto secco e inciampò su di lui; staccò i rametti intrecciati ai peli delle sue zampe e corse via: donò del sangue a quel cespuglio, poté avvolgersi di vita per un'ultima volta.
Raggiunse la sommità di un vallone e vide la presenza di un gruppo di resh be'th nella parte bassa, gridò per farsi notare e iniziò a precipitarsi per una stradina delineata da muretti di detriti ammassati in maniera ordinata saltellando nei punti più impervi.
Trovò una quindicina di reietti intenti a scherzare tra loro e seduti attorno a dei massi. Cercò di riprendere fiato e notò come la linea rossa tatuata sull'occhio enfatizzasse l'espressione neutra e cupa che quei resh be'th avevano assunto nei suoi confronti. I loro vestiti erano logori e con pezze di pelle e pelliccia, riconobbe le diverse mode che li caratterizzavano, ma non seppe a quali ge'th appartenessero; pensò sarebbe stato più difficile comunicare.
Il licaone si fece coraggio e, gesticolando, cercò di far capire loro che dovevano seguirlo verso l'accampamento. Un pinguino con un top simile al metallo e dei lunghi bracciali di cuoio scosse la testa con fare derisorio e assemblò un discorso con le poche parole che conosceva nella lingua di Haksh.
"Casa è notte, giorno di caccia: Hastiin caccia." E lo indicò.
Un cinghiale, un geco, un armadillo e un ghepardo si erano avvicinati al licaone con le mani dietro la schiena. Sebbene con età diverse, le condizioni di quei luoghi avevano strappato la giovinezza dai loro visi, ma non dai loro occhi di fuoco. Hatsei avvertì il pericolo.
"Hastiin caccia, noi compagni" ripeté il pinguino e i quattro mostrarono ciò che tenevano nascosto: un pugnale di selce, un ramo simile a un bastone, un arco rudimentale e una mazza di pietra.
Ritrovata la spavalderia contrattò:
"No, dopo. Ora tornare da Go'se".
Parlò imitandoli sperando di farsi capire, si disse che non avrebbe mai sprecato il suo linguaggio per resh be'th simili.
"No Gose. Caccia."
Quel discorso fu frustrante per entrambi e anche gli altri, che rimasero indifferenti, iniziarono a essere impazienti. Quel botta e risposta inconcludente continuò finché una lucertola proveniente da Harfnag non volle mediare. Si alzò a fatica facendo leva con le mani sulle ginocchia squamose e si sfilò una piccola borraccia di pelle e foglie di ninfea dal collo.
"Hastiin, dolore?" Indicò il naso col sangue rappreso e gli porse il recipiente.
Hatsei vide gli altri mollare la presa, sembrava avessero capito che doveva ristabilirsi e calmarsi. Si rimisero a sedere e invitarono il licaone con un sorriso a bere. Seppur scettico, ne provò un sorso.
Se c'è del veleno sarà amaro.
Era pronto a sputare, invece trovò il sapore dolce, caldo e buono. Il primo sorso di quel latte lo sorprese piacevolmente tanto che ne fece un altro. Tutti esultarono complici e dissero una frase che lui non capì. Riconsegnò la borraccia alla lucertola disponibile, ma il braccio divenne pesante. Un lieve terrore iniziò a impossessarsi di lui svanendo però all'istante, la paura scemava in un'ombra sempre più sfocata e distante ogni secondo che passava. Ricordava di dover andare via da lì e tornare da Go'se, anche se il motivo continuava a sfuggirgli. Era sicuro fosse importante.
Camminò per ore e ogni cosa intorno a lui si distese e si rilassò, ebbe la sensazione di affondare in un terreno soffice e pronto ad avvolgerlo nel suo tepore.
Aveva percorso qualche lancia e vide dei resh be'th stargli dietro. Strascicò un braccio in avanti.
Perché mi seguono?... Sono il loro capo?! Ora si spiega tutto.
La capanna era ancora molto lontana, ma Hatsei attraversava degli immensi laghi di sangue per tornare indietro. Affondò in uno di essi e fu avvolto dai flutti.
Hastiin si risvegliò quando il sole era già calato; il crepitio di un fuoco troppo vicino gli bruciò il viso e si scostò di scatto ancora stordito. La sua coscienza riemerse come dagli abissi e si manifestò con un solo nome.
"Go'se" urlò a squarciagola tirandosi su di scatto.
La lucertola della mattina gli si parò davanti a torso nudo decisa:
"Fa' silenzio".
Hatsei poté riconoscere delle linee rosse diramarsi sul suo addome scavato da vecchi digiuni.
"Cosa mi avete fatto? Dove mi trovo?" disse spintonandola furioso, ma non sembrò avvertire lo strattone del licaone. Altri occhi lo stavano osservando.
"Mi pare che il braccio vada meglio" constatò e spinse il giovane a terra.
Nonostante la stazza esile, la lucertola era molto forte, temprata da vent'anni in quel mondo martoriato e maledetto. Alcuni tagli in sequenza sui polsi erano a monito di vecchi incidenti: aveva il compito di stabilire quali piante fossero benefiche o meno.
Afferrò senza delicatezza il braccio del licaone e lo controllò, tutta l'aggressività di Hatsei svanì.
"Mangia." Gli fu messo un pezzo di carne su una roccia al suo fianco, ma non si mosse.
Spazientita, la lucertola ne morse una parte e lanciò il resto al ragazzo. Gli altri, in cerchio, assistevano in penombra incuriositi da quell'interazione.
Hatsei iniziò a mangiare guardingo; nonostante il godimento, cercò di mantenere la mente lucida. Pianificò il momento giusto per poter fuggire e andare a cercare Go'se, avrebbe accettato qualsiasi sasso in faccia pur di poterla rivedere all'istante. I reietti presero a parlottare tra di loro e Hatsei se ne compiacque, avrebbe potuto agire.
Il suo pezzo di carne era finito, ma fingeva di averlo ancora tra le mani e di rosicchiare le ossa. Avvertì degli occhi gialli accendersi e spegnersi su di lui, era il pinguino che stava giocando con un tronchetto. Non avrebbe avuto il vantaggio che sperava, ma doveva tentare: scattò in piedi e si allontanò di corsa da quel braciere nemico.
Nessuno di loro cercò di raggiungerlo e Hatsei ne fu sollevato, pensò di averli sorpresi.
Un fulmine, accecante e assordante, esplose davanti alle sue zampe scaraventandolo a due lance di distanza. Credette di morire.
"Hastiin fugge?" disse Iuben mentre avanzava con le sue gambe da iena tra la boscaglia secca, il suo sguardo truce mostrava il desiderio di colpire l'hakshiano nuovamente.
Hatsei era frastornato e con il cuore impazzito, non sapeva cosa fare né dove andare.
"Il tuo nome è Hatzei, giusto?" chiese la lucertola accorsa a sollevarlo. "La tua Asdzaa è con le nostre asdzae."
Quella frase lo sciolse e lo destabilizzò allo stesso modo. Era frustrante vedere come l'unica persona che comprendeva era l'unica di cui sapeva di non potersi fidare.
"Rilassati e mangia con noi. Quando sentiremo i tamburi, dovremo andare."
Fu condotto ancora una volta verso il fuoco, Iuben sorrideva nostalgico alle spalle del licaone.
Si sedette su un posto lasciato libero per lui tra un cavallo e un koala, non li guardò nemmeno, si concentrò sulle fiamme che stavano avviluppando un animale scuoiato; dalla dentatura capì si trattasse di un cane selvatico.
Spero sia tu, coyote maledetto.
Gli occhi del pinguino erano ancora fissi su di lui e sembravano squadrarlo più intensamente: prese a incidere il legno che aveva in mano. Hatsei ricambiò l'occhiata, ma il reietto non distolse la sua attenzione dal giovane, gli sorrise beffardamente.
I resh be'th attorno al fuoco parvero non accorgersi dell'odore di bruciato provenire dall'animale, erano tutti intenti a svolgere lo stesso passatempo: pestare del tritato indistinto su delle rocce davanti a loro.
Lo spiedo su cui era retto l'animale venne consumato dalle fiamme, cedette sul suo peso e una nuvola di scintille avvolse e illuminò quella comitiva silenziosa.
La lucertola, che aveva imbracciato uno spesso bastone, si avvicinò al braciere con molta calma e lo ispezionò spostando i carboni e le parti della carcassa. Iniziò a percuoterla con forza in vari punti per spezzarne le ossa. Le zampe e la mascella della bestia cedettero subito a quei colpi violenti. Isolate dal resto del braciere, furono messe in una zona dove il fuoco vivo era ancora molto forte. Quando furono consumate dalle fiamme, la lucertola spostò le ossa carbonizzate sulle rocce: anch'esse vennero battute assieme all'impasto realizzato.
In lontananza, dei tamburi iniziarono a rombare.
"Andiamo da Go'se" disse la lucertola al ragazzo.
Prese del cordame di canapa e si avvicinò per legargli i polsi, ma Hatsei si divincolò cercando di alzarsi. Fu preso per il collo e sbattuto a terra; la musica continuava.
"Non hai ancora capito qual è la tua posizione?"
Con la rabbia negli occhi, Hatsei subì quell'atto.
Tutto era inspiegabile per il licaone, compreso il tipo di legatura: le braccia non vennero bloccate insieme, ma ogni polso era stato annodato con una diversa corda. La canapa risultò grezza e ruvida al tatto, i suoi filamenti prudevano e bruciavano quando venne tirato verso l'ignoto.
Il suono dei tamburi si avvicinava all'interno di quel bosco spoglio e morto, e la luce di un immenso falò sembrava essere un cuore pulsante circondato da ossa di legno. Era calmo e regolare, di una potenza inaudita.
Seduto sul prato, un nutrito gruppo di Harkiw era intento a cucire un panno lungo e sottile mentre dei resh be'th forzuti stavano fissando dei pali, spessi come braccia e a forma di forcola, nel terreno.
Quando i suonatori videro la lucertola, Hatsei e il gruppo di cacciatori al seguito, smisero di suonare. Per un momento, il licaone si distrasse nell'osservare quelle percussioni imponenti. Una fitta rete di legacci tendeva quella che fu una pelle d'orso su alcune casse alte poco più di una lancia. Risuonò un colpo.
Go'se apparve condotta da una lince e un gruppo di donne, anche lei era legata come Hatsei. Un colpo.
"Go'..." Gli fu tappata la bocca. Un altro colpo: silenzio.
La gazzella di mezz'età apparve dal buio nella luce del fuoco. Le ombre solcarono maggiormente sul viso i segni della durezza di quel mondo decadente. Un vestito di pelli legate tra loro era realizzato con uno stile molto familiare ed era adornato da alcune collane di fiori cristallizzati.
"Hastiin e Asdzaa," il tono della sua voce confermava la forza d'animo che possedeva, "avete scelto il vostro futuro e siete entrati in un mondo che non può più offrirlo. Siete stati cacciati da casa, e non avete più nulla se non la vostra sofferenza e il vostro dolore. Non avete più amici e non avete più speranze: siete soli in mezzo alla morte. Guardatevi intorno, questi alberi urlano in silenzio il destino che vi attende."
Un rullo sincopato di tamburi iniziò a insinuarsi tra le parole della resh be'th portando agitazione nel cuore del licaone e della mangusta che si cercarono terrorizzati.
"Ora è giunto il momento di assumere la vita dell'altro in voi."
La musica cessò nuovamente per poi ripartire martellante e ansiogena; un cavallo tra i cacciatori e una lupa tra le donne avanzarono verso la gazzella. Entrambi portarono una ciotola di pietra con uno strano intruglio rosso al suo interno. La resh be'th anziana sputò in entrambe le ciotole e i due messi mescolarono l'impasto fluido.
Le braccia di Hatsei furono tirate indietro finché la sua schiena non toccò il palo fissato e il cordame fu fatto scorrere attorno ai bracci di legno; due resh be'th continuarono a mantenere la tensione. La stessa sorte capitò a Go'se.
I tamburi crebbero potenti e sovrastarono le urla dei due che temevano il peggio. In quei secondi concitati, la lupa con la ciotola e una rana molto magra con in mano degli spilli andarono da Go'se; la gazzella si era avvicinata determinata a Hatsei.
Il licaone e l'anziana si guardarono intensamente. Leggere sopracciglia buie tendevano verso la fronte rugata, generando due linee immaginarie che terminavano in lunghe corna snelle e aggrovigliate su loro stesse; gli occhi, evidenziati da quella striscia rossa che accomunava quei resh be'th, erano lucidi.
Senza preavviso diede uno schiaffo a Hatsei: molto forte, molto vero.
"Guarda cosa le hai fatto" urlò con tutta la voce che aveva indicando la mangusta.
Tra le lacrime, il licaone fissò la ragazza che quella mattina aveva tradito, sapeva di meritarsi tutto ciò che ipotizzava gli sarebbe successo, ma stava fraintendendo. Go'se iniziò a gridare di dolore e cercò di divincolarsi invano dalla rana che la stava torturando.
Aghi d'osso penetrarono nella sua carne andando a violentare la zona che circondava l'occhio.
Lo shock del licaone si tramutò velocemente in un'ira che non immaginava di possedere e divenne una vera e propria belva: rischiò di slogarsi le spalle nella foga del raptus, ma i suoi carcerieri erano preparati a ciò.
"Aiutami, Hatsei." La sentì piangere dentro di sé.
Il resh be'th sbraitò con quanto fiato aveva in gola pur di far cessare quella tortura verso Go'se. Le urla continuarono e lui rimase intrappolato nel suo giogo. Fissò le spalle lucide di quella rana sognando di fargliela pagare, ma crollò in ginocchio; sconfitto dal pianto della mangusta e dalla sua impotenza, pregò l'intervento di qualcuno. Pensò di non essere forte abbastanza.
"Alzati!" disse singhiozzando la gazzella che lo afferrò per la mascella e lo obbligò a guardare. "È tutta colpa tua!"
"Lo so" tuonò il licaone con il volto rigato dalla sofferenza.
Dentro di sé, il vortice di idee confuse lo stava sopraffacendo e assistette al proseguo di quella violenza.
Go'se accettò il suo destino, ma non aveva ancora imparato a resistere a quel dolore sempre spaventoso e sempre impressionante. Ogni colpo, oltre a inciderle la pelle in maniera perenne, portò a galla la sua paura, quella di non essere capita e di non essere compresa fino in fondo. Nonostante la giornata passata in solitudine con alcune donne del gruppo, aveva creduto che Hatsei sarebbe corso in suo aiuto, soprattutto in quel momento di sofferenza. Sentire solo le sue urla di rabbia non fu più sufficiente, perse le speranze che riponeva in lui.
L'ultima serie di colpi sembrò l'ennesima, non si accorse della fine neanche quando alcune donne le passarono sul viso della fanghiglia rinfrescante e le fasciarono l'occhio con le bende appena cucite. Sentì solo la musica cessare.
Tornata in sé, non poté non rivolgere tutta la sua rabbia silenziosa verso Hatsei. Il suo sguardo, ricolmo di venature, ferì il licaone come il sasso scagliato la mattina stessa.
L'anziana gazzella, sistemando i suoi capelli bianchi tra le corna vorticose, si avvicinò calma a Go'se, le osservò le fasciature e le asciugò delicatamente il sangue che colava sulla guancia.
"Come ti senti?" Ma la mangusta non rispose, si limitò a sbuffare affannosamente.
La donna fece un cenno alla platea e i tamburi ripresero seguendo il ritmo del suo respiro, tumultuoso e impetuoso.
"Adesso, osserva cosa vuoi fargli" le disse afferrandole il viso e puntandolo verso il licaone.
Gli spini rossi, guidati dalla rana, iniziarono a martoriare la pelle del licaone nello stesso punto della mangusta. Il ragazzo gridava e si dimenava, aveva desiderato che quella tortura passasse a lui, ma iniziò a provare la fatica di quel pensiero. Fu atroce ed ebbe paura. Si sentì nuovamente solo e immerso nel buio: le lame immaginate erano ora punte vere che penetravano nella sua carne senza dargli respiro.
Si sentì sospeso nel vuoto e stava per perdere i sensi, lo percepiva.
Dei piccoli schiaffetti lo ributtarono nella realtà e vomitò. Quel conato fu l'unico momento di riposo che ricevette e gli aghi, come vespe agguerrite, ripresero a pungerlo con intensità. Ancora e ancora.
L'immagine di Hatsei in quello stato divenne di colpo troppo cruda per Go'se che precipitò nuovamente nei suoi pensieri e venne mangiata dai rimorsi: Hatsei stava provando quello che aveva provato lei, si era sbagliata. Il dolore parlò al posto suo; lei non voleva augurargli quel male: aveva fallito la prova.
Urlò il suo nome in un grido straziato e lacerato dall'angoscia di perdere quello che era il suo unico amore. Anche lei cercò di liberarsi per salvarlo, ma le sue forze erano esaurite. Lo raggiunse nel pensiero, ma non sapeva cosa dirgli se non parole d'amore che credeva non avrebbero sortito alcun effetto.
Mentre il suo occhio veniva torturato, Hatsei superò il dolore ansimando una sola frase:
"Mi dispiace!"
I tamburi continuarono imperterriti il loro canto.
"Mi dispiace."
Go'se scoppiò in un pianto viscerale che prese il pieno controllo di lei.
"Mi dispiace."
Anche per lui la fanghiglia fu un sollievo agognato più di ogni altra cosa.
"Mi dispiace."
Entrambi i resh be'th si sentirono come svuotati, non si accorsero nemmeno che i loro aguzzini avevano allentato la presa del cordame. Una volta sciolti, furono presi sottobraccio e condotti ciondolanti dalla gazzella che li aspettava davanti al fuoco assieme a Iuben.
La musica era terminata, ne riecheggiò solo l'eco nelle orecchie supportato dal crepitio delle fiamme vivaci.
La gazzella si parò di fronte a Hatsei che guardava il vuoto, un abbraccio inaspettato lo ridestò: profumava di casa.
"Benvenuto, ragazzo" gli sussurrò all'orecchio mentre lo baciava sulla guancia.
Abbracciò anche Go'se e le sorrise:
"Benvenuta, figlia mia. Sono Bhera'l".
E baciò anche lei.
Bhera'l li prese per mano e accompagnò i loro sguardi verso l'altro, non ci fu esitazione: si gettarono l'uno nelle braccia dell'altra.
"Accogliamo tutti i nuovi figli tra gli Harkiw" urlò Iuben saettando due fulmini nel cielo.
I resh be'th, come una folla, si fiondarono gioiosi verso Hatsei e Go'se per abbracciarli e salutarli quali membri della loro unica famiglia. Storditi e confusi, i due giovani sentirono che, nonostante l'esperienza traumatica di quella sera, qualsiasi difficoltà avessero avuto, non sarebbero più stati soli e che l'avrebbero superata insieme.
"Portatele qui" disse infine Bhera'l facendo scemare quel clima di festa e di acclamazione.
Il pinguino e una airone, coppia in quel deserto notturno, portarono delle statuette pendenti in legno che raffiguravano una resh be'th licaone e un resh be'th mangusta.
La gazzella, compagna del compianto Hak'obh, consegnò la prima a Go'se e Iuben pose la mangusta a Hatsei; le loro parole si sovrapposero:
"Eri tu nella vita passata, conservalo. Era scritto nel destino che il tuo amore sopravvivesse alla forma. Adesso, ama e ricorda, ricorda e ama. Questo è ciò che sei, ciò che eri e ciò che sarai. Che la fortuna giunga presto nella tua vita."
I due Harkiw indossarono i loro amuleti e rinnovarono la promessa iniziata dai loro precedenti passati.
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