I culti di Haksh (prima parte)

Alla ricerca dell'occhio

Durante gli anni dell'esodo, il popolo di Haksh non aveva ancora una vera e propria identità. Erano soltanto un gruppo di resh be'th molto numeroso dominato dal turbamento per come venne sconvolta la loro vita. Tutti loro attraversarono la guerra, la morte e l'incomprensibilità. Decisero di affidarsi alla guida di un resh be'th molto carismatico: Ghar, il cane bianco; l'unico in grado di capirli.

Per fortuna Ghar non fu solo, venne affiancato da suo fratello Ghashar in questo compito di guida.

La loro transumanza aveva uno scopo preciso, trovare una nuova terra da poter chiamare casa. Ghar era alla ricerca di un "occhio" che fosse in grado di salvare tutti. Aspettava un segno e avvertiva gli altri di essere sempre vigili. Ghashar non era d'accordo, era molto più pragmatico e credeva fosse sensato cercare una valle vicino ad un corso d'acqua o al mare. Nonostante ciò, seguì lo stesso il fratello.

Il cammino durò anni e non furono pochi i luoghi identificati da Ghashar come idonei ma scartati da Ghar, credeva fermamente nel fatto che Aleph avrebbe mostrato loro il luogo più adatto: l'occhio era l'unico segno da cercare.

Sentimenti contrastanti iniziarono così ad emergere anche tra gli esuli, chi credeva in Ghar e chi era frustrato e impaziente come Ghashar. Iniziò un periodo caratterizzato da tensioni e continue discussioni tra i due fratelli fino a ché non si arrivò alla rottura definitiva. Avevano una diversa visione sul significato dell'occhio e così Ghashar decise di tornare indietro assieme a chi la pensava come lui. Ghar cercò in tutti i modi di far restare il fratello con lui ma desistette non appena gli venne mostrata una reliquia tenuta fino a quel momento nascosta. Ghar e Ghashar possedevano entrambi un oggetto temibile e i due si separarono.

Il gruppo di Ghar continuò a vagare senza sosta e senza meta finché, un giorno d'estate, giunse in cima ad una collina. Da essa si dispiegava una valle immensa che sarebbe sicuramente piaciuta a Ghashar. Fu in quel momento che tutti videro compiersi un miracolo.

L'occhio che Ghar stava cercando si manifestò davanti ai loro occhi in tutto il suo splendore. Lui e i suoi cinque discepoli decisero di costruire lì un semplice santuario costituito dai loro sei bastoni tenuti insieme da un piccolo tumulo di pietre. Chiamarono quel luogo Ta'ebhin: l'occhio della vita. Il loro viaggio era terminato.

Ghar mostrò a tutti quel prodigio interpretandolo come l'occhio protettore di Aleph. Il monte sul quale era apparso doveva essere benedetto, era la manifestazione del suo spirito. Tutti furono persuasi che Aleph, sotto forma di monte, avesse dato in concessione a loro, il popolo prescelto, quella valle così rigogliosa.

Il monte, presenza vera di Aleph, divenne presto l'oggetto delle loro adorazioni. In maniera spontanea venne a costituirsi un culto molto stratificato dove al centro era posta la relazione tra i futuri hakshiani e il monte. Loro avrebbero governato con saggezza le terre e donato una sincera offerta, lui avrebbe concesso loro salvezza e abbondanza.

La nascita dei primi nuovi otzici – assenti dall'inizio dell'esodo - venne accolta come la suggellazione di questo nuovo patto: nacque il mito di Oth.

Culto del monte

Tutta la terra di quello che sarebbe poi diventato il ge'th partecipava dello spirito di Aleph tramite il monte. Ogni collina, piana o corso d'acqua erano pervasi dalla sua forza. La strana forma che caratterizzava i tre picchi, simile ad un dente, fece sì che tutti chiamassero il monte "haksh" (dente che protegge). Da allora, questo nome venne utilizzato come identità di quel popolo.

Il cielo divenne la sede dell'occhio che vegliava dall'alto, la montagna e la terra stessa furono la sede del dente – metonimia per la bocca – che teneva al sicuro e al riparo tutto ciò che era su di essa. Secondo il loro immaginario, Aleph aveva creato la catena montuosa di Haksh proprio come una bocca in grado di trattenere il bene al suo interno.

La terra, essendo vissuta maggiormente dagli abitanti tramite il lavoro, iniziò ad assumere un vero e proprio ruolo sacrale e divino. I contadini iniziarono a riconoscere la diversa forza che essa possedeva e le sue diverse qualità. Coltivarono le piante autoctone e quelle che più si adattavano ai diversi terreni riuscendo a ottenere benefici maggiori: secondo loro era il monte ad avergli indicato ciò. La sua forza era in grado così di passare dalla terra al cibo e dal cibo ai resh be'th.

Ma la terra non era in grado di sprigionare da sola tutta la sua forza, era necessario un lavoro congiunto anche da parte dei resh be'th stessi. Le giuste tecniche di lavorazione, di semina e di irrigazione iniziarono ad essere tramandate di generazione in generazione affinché potessero esprimere al meglio la forza del terreno. Il passo successivo era rendersi conto di non essere gli unici attori di quel processo. Anche la pioggia, il vento, il sole e gli insetti contribuivano nella trasmissione di questa forza ma bisognava fare in modo che la loro presenza fosse sempre favorevole. I resh be'th infatti non potevano decidere la loro comparsa e non potevano decidere la loro portata, potevano solo arginare le possibili condizioni avverse così da renderle salutari per la terra. Fu tramite questo aspetto che fecero leva su Jebha'r per installare la bozanj.

Questo complesso di tecniche si diffuse rapidamente in tutto il ge'th perché si riconosceva la concessione, da parte del monte, dell'abbondanza di coltivazioni e del benessere delle mandrie. I riti dell'Hileha e dell'offerta al Mealk'eari nacquero proprio per dimostrare al monte (ad Aleph) la riconoscenza per ciò che veniva offerto loro.

Mito del Mealk'eari

La presenza di quel lungo e ampio fiume che taglia a metà il ge'th e che nasce proprio dal monte Haksh, venne considerata come la vera traccia rimasta del passaggio di Aleph dal Mo'beh per salire al monte e aspettare il loro arrivo. Il solco creato dai suoi lunghi viaggi fu presto ricoperto dalle piogge poco prima del loro arrivo: questo miracolo portò alla formazione del corso d'acqua.

Aleph però voleva continuare a vegliare sul popolo di Haksh e, sebbene il ritorno al Mo'beh fosse facilitato dalla corrente, la risalita era diventata molto ardua. Si pensò quindi di cedere parte del proprio raccolto come offerta ad Aleph per fargli avere abbastanza energie da compiere quella traversata.

Un'altra versione del mito vede come le offerte siano in grado di attirare numerosi pesci dal mare che Aleph può sfruttare come passerella per arrivare in cima al monte.

La memoria sociale di questa divinità iniziò a sbiadirsi sempre di più scemando in emanazione del monte. Restò in piedi la credenza che le offerte cedute fossero consegnate al monte dal percorso annuale fatto dai salmoni lungo il fiume. Ciò permetteva la continuazione del ciclo vitale del loro mondo tramite il ritorno al monte della propria forza.

Oth, gli otzici e il monte

Con il mito di Oth, gli hakshiani credettero che la presenza degli otzi derivasse dal volere del monte venuto a patto con questa figura leggendaria. Si pensò quindi che fosse naturale che solo i pochi prescelti potessero accedere fino alla sommità di Haksh e che fosse proibito per chi non avesse quel simbolo avvicinarsi alle sue pendici. La presenza di una grotta sacra in cima al rilievo venne interpretata come ulteriore riprova della volontà di Haksh di accogliere solo i benedetti da quel marchio. Nessuno poteva sapere cosa si facesse al suo interno e nessuno poteva investigare sul perché si sentissero echi di alcune grida. Si credette che in quelle cavità si ottenesse l'accesso a verità profonde conoscibili solo da chi aveva il riconoscimento del monte impresso sul corpo.

Iniziò quindi a costituirsi una netta separazione tra quelli che furono i luoghi sacri, riservati(1) agli otzici, e quelli che erano gli ambienti profani accessibili a tutti. Questa semplice divisione spaziale – che si limitava al solo monte Haksh - con il tempo si concretizzò in una vera e propria divisione sociale. Possedere un otzi voleva dire essere migliore e superiore, oltre che essere dotati di capacità uniche. L'emersione di numerosi privilegi per le intercessioni, spirituali e materiali, che questi resh be'th fornivano alla popolazione, fece sì che gran parte degli otzici iniziò a sfruttare questa condizione. Dispensarono compiti sempre più gravosi ai popolani in nome del rispetto della terra e della volontà di Haksh. Le colture e gli allevamenti divennero sempre più serrati così che gli otzici potessero arricchirsi ulteriormente.

I risultati di questo comportamento iniziarono però a dare frutti sempre più acerbi: intensificando i raccolti e aumentando i ritmi lavorativi, iniziò a disgregarsi quell'equilibrio che aveva retto quelle terre per secoli. Le nuove generazioni non ebbero così la possibilità di apprendere le tecniche e le formule agricole che consentissero loro di tirar fuori il meglio dalla terra senza esaurirla.

La sempre più crescente scarsità di risorse fece sì che iniziassero i primi disordini e che bisognasse trovare una soluzione. Per fortuna, la squadra di Ham'ehar aveva terminato i propri studi sulle caratteristiche agrarie di Haksh. L'inserimento della bozanj aprì la via al sorgere di un nuovo culto.

 (1) Con la nascita del nuovo culto verrà eliminata la restrizione all'accesso al monte Haksh

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