Capitolo 9

21 Mo'hg Ghar 1842 – città di Harsha; Haksh

Quella notte Ak'uira pensò molto alle parole di sua nonna riguardo i cobra dagli occhiali; durante la cena, infatti, avevano parlato della verifica fatta e dei ragazzi che l'avevano superata. Scoprire che qualche ciclo prima il capo di un villaggio della città di Sham'r, a nord, era stato ucciso, in qualche modo ruppe la pacifica idea di mondo che l'aquila aveva.

"Credono sia una faida interna a quella famiglia. Quindi di sicuro il sacerdote Lath se ne sarà già occupato" commentò la nonna prima di raccontare quanto fosse antipatico il sacerdote.

Nonostante sperasse il contrario, l'aquila pensò che Zahirile fosse coinvolto in quella storia. Attese che tutti in casa fossero a dormire per uscire di soppiatto e andare a cercarlo. Data la situazione del cobra, escluse si fosse registrato nell'ospedale, così girovagò per le vie di Harsha. Si accorse della stupidità della sua idea solo dopo essere uscito, le gambe ormai si muovevano da sole.

Vado da lui per?

Non lo sapeva. A ogni nuovo vicolo che imboccava si diceva sarebbe tornato indietro, ma continuava a cercare. In fondo, anche assaporare la città con quell'atmosfera tenue e misteriosa lo intrigò: non c'era nessuno per le strade. Le fiaccole accese erano le uniche a scrutarlo volubili. Nel silenzio di quelle case di pietra e legna, trovò il cobra dormire in una stradina laterale avvolto in un sacco a pelo malridotto. Era vicino alla piazza.

Ora posso tornarmene a casa.

Non si sarebbe mai permesso di svegliarlo. Il suo sonno però era molto agitato e del liquido filtrava dalle sue dita che si stendevano e contraevano nervosamente: era veleno. Aveva il respiro affannato e sudava freddo, l'incubo che stava immaginando era molto tormentato e io, che l'ho vissuto con lui, provai compassione verso quel giovane. Ak'uira decise di interessarsi, seppur non convinto. Frugò nella sacca del ragazzo ed estrasse la borraccia e un panno che gli mise sulla fronte.

Ora posso andarmene.

Zahirile iniziò a tossire, strinse una mano al petto e si svegliò. Ak'uira era pietrificato dalla paura e dalla vergogna. Il cobra, disorientato, si tolse il panno dalla fronte e fu subito pronto ad alzarsi. Le membrane del suo collo si aprirono per rispondere alla minaccia, ma si bloccò appena riconobbe l'aquila. Tirò un sospiro che, in un secondo momento, lo incuriosì. Si pulì le mani velenose e lo ringraziò senza neanche guardarlo.

"Di nulla" rispose Ak'uira, spiazzato.

In piedi, l'uno di fronte all'altro, nessuno seppe cosa dire.

"Tutto bene?" si sentì obbligato a domandare l'aquila.

"Sì, ora sì. Grazie."

Con quel secondo grazie, Ak'uira si ritirò imbarazzato.

Il cobra si fermò a osservare quel resh be'th allontanarsi e a pensare che quel gesto, seppur invadente, era la prima azione disinteressata di qualcuno nei suoi confronti da moltissimo tempo. In quella piccola città stava bene, non poteva negarlo. Erano cicli che nessuno si era messo sulle sue tracce e soggiornare lì, in attesa del maturamento, iniziò a non sembrargli una cattiva idea.

"Per Haksh, perché non ti decidi a crepare?!"

In un'esplosione improvvisa, la sua mente fu investita con l'immagine violenta del nonno che lo frustava. Cambiò idea: non poteva più restare lì. Prese tutta la sua roba tra le braccia e, di corsa, strisciò in un'altra via buia. Abbassare la guardia in quel modo gli sarebbe costata la libertà. Non doveva più distrarsi: all'alba avrebbe ripreso il suo cammino.

Un abitante gentile lo svegliò, il sole era sorto da un pezzo. Zahirile aveva provato a rimanere vigile, ma senza successo. La stanchezza e il sonno lo avevano completamente sconfitto. Non disse una parola a quel resh be'th e partì immediatamente: era furioso con sé stesso.

Per le strade, altri cittadini lo riconobbero e gli offrirono cibo e ospitalità. Non resistette a lungo, urlò gettando a terra il cesto di frutta di un vecchio opossum. Era tutto il raccolto del suo piccolo melo.

"Non voglio niente da voi! Cosa devo fare per farvelo capire?"

Ak'uira e suo padre videro la scena mentre correvano. Zahirile se ne accorse e, con una smorfia frustrata, proseguì lasciando l'anziano incredulo e col sentore che, forse, quella non sarebbe stata una buona annata.

Che M'eha Haksh ci aspetterà?

L'aquila chiamò il cobra più volte, ma non volle fermarsi. Abbandonò lì Aethrei e tentò di raggiungerlo.

Entrambi i resh be'th aumentarono l'andatura, ma Ak'uira fu molto più veloce, gli artigli sul terreno vennero sfruttati per darsi lo slancio.

"Ehi, aspetta!"

Erano uno di fronte all'altro, tra i campi, col fiatone.

"Cosa vuoi ancora?"

"Sapere cosa ti è preso."

"Non sono affari tuoi."

"E smettila!" Anche Ak'uira si sorprese delle sue parole.

"Senti, ma perché non mi lasci stare?"

"Mi sembrava giusto offriti una mano, tra qualche giorno saremo compagni."

"Io e te non saremo mai compagni" rifiutò Zahirile. "Non ne ho bisogno e mai ne avrò!"

Scagliò il sacco a terra in un gesto istintivo. Si sentì perso e spezzato tra ciò che voleva essere e ciò a cui era stato abituato. Ak'uira si guardò intorno, le mani ai fianchi; era davvero una bella giornata di sole.

"Comunque, se volevi andare a Haksh sei dalla parte opposta. Hatsei e gli altri sono andati verso nord e..."

"Io non posso più andare a nord..." disse reprimendo il nervosismo; si accasciò accanto al suo sacco. "Mi stanno cercando."

Ak'uira collegò tutti i pezzi.

"Il capo villaggio di Eshm'ar. L'hai ucciso tu?"

A Zahirile non importò come facesse a sapere quelle cose, era esasperato.

"Mio nonno? Sì."

L'aquila ripensò alle cicatrici che aveva intravisto e intuì l'orrore che il ragazzo poteva aver patito.

"È stato lui a fartele?"

Quella domanda toccò un punto delicato che spinse Zahirile ad aprirsi con amarezza.

"Non sono mai stati felici per la mia nascita. I colori sbiaditi sulla mia schiena li hanno delusi profondamente. Per non parlare poi dell'otzi. Nonostante quello che rappresenta, per loro non era altro se non la conferma del mio essere diverso e abominevole." Ak'uira non sapeva cosa dire, preferì aspettare. 

"Mio nonno e mio padre non hanno mai scambiato il loro veleno con il mio. In compenso, quello stronzo ogni giorno mi frustava o si divertiva a colpirmi con un coltello."

Sorrise con nostalgia e continuò: "Mio zio. Mio zio invece era l'unico a possedere un otzi e scappò quand'era giovane. Non l'ho mai conosciuto. Ho sempre desiderato avere la sua forza e mi ripetevo che, prima o poi, me ne sarei andato. Alla fine, sono esploso."

La sua mente si affollò di quegli ultimi attimi di prigionia: la valanga di rabbia omicida, l'assalto alle spalle, il furto della lama, lo squarcio deciso nel petto. Afferrò tra le mani il cuore vigoroso e fragile del nonno: il veleno che scorreva, lo strappo deciso, l'oblio, il sangue.

"Mi dispiace" commentò Ak'uira.

"Finalmente posso respirare senza sentirmi in colpa." Lo guardò meglio e continuò ad aprirsi, "Ho sempre invidiato gli uccelli e i resh be'th come te: cosa si prova a volare?"

Ak'uira avrebbe voluto raccontargli numerosi momenti di libertà, ma il cobra non immaginava che anche lui ne fosse sprovvisto, inchiodato a terra dalla sua paura. Si rese conto che l'aquila avesse qualcosa da nascondere; come lui copriva le sue 'cicatrici' per non mostrare le proprie debolezze. Sorrise a quell'ironia e si sentì stranamente vicino a quel ragazzo. Zahirile si domandò se la leggerezza che stava provando non fosse proprio ciò che renderebbe due persone amiche.

"Ti chiedo scusa, credevo che tu..."

"Non potevi saperlo."

Nonostante la vergogna e il rifiuto di sé, Ak'uira si sentì in dovere di raccontare quella storia che solo Hatsei e Saho're conoscevano; si sedette sulla strada, le braccia e le ali ad avvolgere le ginocchia.

"Avevo quattro anni e mio padre mi stava insegnando a volare. Riuscivo a stare sulla corrente e non smetteva di incoraggiarmi. Ricordo che il vento cambiò di colpo e, in un attimo, persi il controllo. Sono rimasto svenuto per più di un ciclo. Hanno detto che sono stato scaraventato contro una parete rocciosa." 

Il cobra lo ascoltava. 

"Ho provato numerose volte a volare, ma venivo sempre preso da tremori e vertigini. Alla fine, ho smesso di tentare." Sembrava volesse giustificarsi.

"Ma le tue ali sono robuste" gli fece notare Zahirile, guardando lo splendore di quelle ampie piume.

"Sì. Mio padre mi costringe a sbatterle per tenerle in forma. Non sono più in grado di correre senza farlo."

"Allora tu sai volare."

"No, no. Mi paralizzo."

"Sarà..." affermò il cobra scettico. "Forse deve ancora arrivare."

"Cosa?"

"Il momento." Fissò il cielo, come se ci fosse la risposta. "Se non riesci a fare qualcosa, hai bisogno del momento per farla."

"Non riesco a seguirti."

Il cobra si alzò e riprese il suo sacco. Mentre lo puliva dalla polvere, disse: 

"C'è un istante che ci mette davanti a noi stessi. È lì che scegliamo che strada prendere: è un momento particolare. Ciò che scegli cambierà la tua vita. Il mio, credo mi abbia fatto fuggire di casa. Forse il tuo deve ancora arrivare".

"E come lo riconosco?" chiese Ak'uira con un briciolo di ingenua speranza; il cobra alzò le spalle.

"A questo non posso risponderti. Sei tu che devi riconoscerlo, so solo che bisogna essere veloci." Spuntò il suo primo vero sorriso e tese la mano verso l'aquila: "Ora ti saluto, devo incamminarmi per Haksh e ho molta strada da percorrere. Mi ha fatto davvero piacere parlare con te. A presto."

"Non è necessario che tu vada. Puoi restare da me."

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