Capitolo 8
21 Mo'hg Ghar 1842 – città di Harsha, Haksh
Una leggera brezza attraversò la quercia millenaria, mentre gli sguardi di Ak'uira e Zahirile si studiavano con imbarazzo e disagio crescente. L'aquila si presentò, voleva dare un senso a quell'incontro, e attese un gesto da parte del cobra per potersi sedere: si limitò a fissarlo senza parlare. Si sedette lo stesso mantenendo una distanza accettabile; era un bel pomeriggio e non gli dispiaceva ammirare le case di pietra della sua città illuminate dal sole.
Le attività dei popolani continuavano con la calma che caratterizzava dei periodi quieti, vicini ai momenti di riposo; ogni tanto, qualcuno indicava i due otzici al proprio compare o alla sua comitiva e faceva un segno di rispetto e benedizione.
Ak'uira si ritrovò a massaggiare il polso con la spirale azzurra, era leggermente nervoso. Prese coraggio e si appoggiò all'unica cosa che, lui e il cobra, sapeva avessero in comune.
"Che tipo di otzi è il tuo?"
Si sentì infantile e la domanda irritò il ragazzo, i capelli scompigliati e sporchi molleggiarono nel voltarsi. Non riusciva a capire come mai quell'aquila restasse lì e non se ne volasse da qualche altra parte.
"Ma che vuoi da me?"
"Niente, scusa tranquillo. Me ne vado. È solo che... non sei di qui, hai i vestiti logori e si vede che sei – uno straccio – stanco. Volevo solo... ma hai ragione: non sono affari miei."
Si alzò dal suo posto, fece qualche passo verso la strada principale e si girò nuovamente verso il cobra:
"Proseguendo in questa direzione c'è un piccolo ospedale" indicò con il braccio, "con due k'e potrai dormire facilmente. In questo periodo ci sono pochi mercanti, per cui dovresti trovare posto. Se invece vai nella via alle tue spalle troverai, sulla destra, il mulino est: lì l'acqua è ottima." Fece una piccola pausa. "Mi sembra tutto. Per qualsiasi cosa chiedi pure a chiunque, siamo molto cordiali con i visitatori; con chi ha un otzi – l'hai notato – abbiamo un occhio di riguardo in più."
Detto ciò, lo salutò.
Zahirile restò a guardarlo per qualche secondo serio: una parte di sé era dispiaciuta per averlo scacciato, ma non poteva permettersi di abbassare la guardia in una cittadina sconosciuta; pensò che se lo avesse incontrato di nuovo al maturamento le cose sarebbero andate diversamente, non che gli importasse più di tanto. Sentirsi dire "non sei di qui" lo rimise in allerta come appena fuggito da casa, si chiese se fosse il caso di aggregarsi ai ragazzi con gli otzi o proseguire solitario. Si sarebbe mescolato nel gruppo e sarebbe arrivato in fretta a Haksh, ma poteva essere comunque visibile; non sapeva se a cercarlo fossero solo gli abitanti di Eshm'ar o anche i laici di Lath. Era così vicino al suo obiettivo e aveva paura di mandare tutto all'aria. Decise che sarebbe partito il giorno seguente evitando le strade principali e quei ragazzi.
Di sicuro non saranno silenziosi.
Osservò il cielo per vedere se e come stesse cambiando il tempo, ma le foglie del grande albero gli impedirono la visuale e si spostò oltre l'ombra della chioma. Era di un azzurro limpido e le poche nuvole presenti davano segnali che per la notte sarebbero sparite, lasciando spazio alla luna che aveva iniziato lentamente a nascondere il suo volto.
Sbirciò nelle direzioni indicate da Ak'uira: nella strada principale l'ospedale, dietro la quercia il mulino. Non aveva soldi e rinfrescarsi con l'acqua di un canale gli avrebbe fatto bene. Perciò si allontanò in una piccola stradina tra due case di legno e pietra e si guardò intorno. Scoprì il suo sacco sotto un telo di canapa e iniziò a strisciare verso la sua meta.
Dopo una dozzina di minuti, vide il mulino in lontananza. Ne rimase affascinato e sorpreso, era più grande rispetto a quello nel suo villaggio. Oltre ad avere un'immensa ruota di legno mossa dalla corrente di un ruscello artificiale, possedeva anche una torre di mattoni dove delle pale sfruttavano la forza del vento. Quella costruzione usava l'acqua per la macina e la torchiatura, mentre con la costante brezza era possibile realizzare una rete idrica che distribuisse l'acqua nei campi lì vicino. Rimase ipnotizzato a fissare quel cerchio gigante mai visto a Eshm'ar.
Due operai uscirono dalla porta della torre, stanchi della giornata di lavoro, ma ancora in forze per commentare un episodio avvenuto qualche ora prima. Zahirile lì notò troppo tardi e si ritrovò in mezzo alla loro conversazione.
"Guarda lì, Ro'dh. Non è uno dei ragazzi di oggi?"
"Sì, è lui. Un cobra non si vede tutti i giorni da queste parti. Ehi tu!" si rivolse al serpente.
Fu subito zittito dall'altro con un colpo sul petto per la rudezza con cui lo aveva chiamato.
"Chiediamo scusa per i nostri modi, ma sa, siamo semplici operai. Non sappiamo molto bene come parlare a persone di una certa importanza come..." sussurrò poi avvicinandosi al collega. "Si dà del lei o del voi?"
Erano entrambi due lupi adulti a cui piaceva sporcarsi le mani e faticare, due fratelli di sangue che non si erano mai separati nella loro pacifica vita. Zahirile non disse nulla e cercò di nascondere l'agitazione; tornò a osservare la ruota del mulino.
"Possiamo esserle utili? Immagino non siate di qui, avete un posto dove stare? Le nostre mogli fanno uno stufato delizioso e dove si mangia in sei, si mangia anche in sette. I nostri figli la adoreranno."
Zahirile si sorprese a sorridere: una famiglia normale.
"Vi ringrazio per la cortesia, ma ho solo bisogno di riempire la mia borraccia." Senza rendersene conto aggiunse: "Questo mulino è veramente bello."
"Ha proprio ragione, è davvero bello" disse il primo, sorridendo orgoglioso. Suo nonno aveva partecipato alla costruzione, ogni tanto lo ricordava su un'impalcatura ormai dismessa.
"Se avete bisogno di riempire la vostra borraccia, non temete. Potete scendere tranquillamente lungo il canale. L'acqua è la più buona di Haksh, e non lo dico per vantarci: viene direttamente da una diramazione del Malk'eari. Servitevi pure."
Con un cenno del capo, Zahirile ringraziò Ro'dh e suo fratello che, proseguendo nel ritorno a casa, lo salutarono calorosamente.
L'acqua era limpidissima e se ne portò un palmo alla bocca per rinfrescarsi. Quel paese aveva un'atmosfera diversa da quella a cui era stato abituato. La gentilezza di tutti iniziava a metterlo in difficoltà e le sue barriere erano sul punto di cedere: era veramente stanco. Proprio per questo, non erano ammesse distrazioni e doveva stringere i denti: mancava così poco. Riempì in maniera frettolosa la borraccia e si rimise subito in cammino verso la Piazza dell'Albero in cerca di un posto sicuro; si pentì di non aver usato quei due lupi per nascondersi.
La fame gli ricordò di essere solo e si condannò a restare in quel modo per il viaggio restante. Rubò qualche frutto da alcuni alberi e rovistò in qualche magazzino lasciato aperto. Come un ladro, mangiò in un vicolo mentre l'odio verso di sé e la sua condizione riprese a rosicchiarlo dall'interno.
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