Capitolo 6

21 Mo'hg Ghar 1842 – città di Harsha; Haksh

Il mattino seguente Ak'uira fu svegliato dolcemente da sua madre che gli augurò il buongiorno.

Si alzò dal letto dopo alcuni sbadigli e si preparò per quell'importante giornata. Arrivò in soggiorno già pronto per la corsa con il padre il quale, con un sorriso stampato su tutto il viso, lo accolse punzecchiandolo per la pigrizia.

"Il sole è sorto già da un pezzo, ragazzo. Sei un guerriero! Per quanto tempo ancora vuoi farti svegliare da tua madre?"

Ak'uira, con una smorfia di sfida, decise di rispondergli con un colpo d'ali che gli scompigliò le piume. Si sedettero l'uno accanto all'altro e consumarono una colazione silenziosa: la loro gara era già iniziata. Avevano questo strano rituale mattutino nel quale chi avesse parlato, sarebbe partito con uno svantaggio. Non consideravano nemmeno le due donne quando li chiamavano ed esse, negli anni, avevano imparato a non disturbarli.

Quel giorno però l'atmosfera era differente, erano consapevoli che, probabilmente, sarebbe stata la loro ultima colazione e la loro ultima corsa: molte cose stavano per cambiare. Fu Aethrei a cedere per primo.

"Sai che dovrai star via di casa per un bel po', ragazzo?" disse intingendo un tozzo di pane secco nel latte.

"A quanto pare."

Fu l'unico scambio di parole che ebbero. Uscirono e presero a correre per il paese; M'ehi e Joidhe erano alla finestra e notarono l'ansia di Ak'uira.

M'ehi si ritirò dal davanzale e immaginò già la casa vuota. I ricordi del figlio da bambino iniziarono a spuntare in ogni angolo del locale: quando si scottò con una pentola nel camino, quando imparò a stare in piedi sulle zampe, i primi tentativi di volo in casa. Tra tutti, le ritornavano in mente i momenti in cui lo cullava tra le sue braccia e, per farlo ridere, scompariva e riappariva usando le ali. Si disse che era stato veramente in grado di allargarle il cuore.

"Mamma, non mi hai mai accennato nulla sul tuo maturamento; hai sempre evitato il discorso. Posso saperne qualcosa? Cosa andrà a fare Ak'uira?" Sapeva non fosse pericoloso, ma era sempre del suo bambino che si stava parlando.

"Figlia mia, è una storia molto complessa e quindi straordinaria! Ma possiede anche un lato oscuro con il quale Ak'uira dovrà per forza entrare in contatto. Ha in sé la forza del mondo, si vede, però la sua sensibilità potrebbe rivelarsi un peso. Quindi se ascolterà le aquile di sicuro troverà la strada. Non posso dirti altro M'ehi, ma sappi che sarà in ottime mani."

I cittadini di Harsha, intenti nei loro lavori di piccoli artigiani, contadini e allevatori, non si stupivano più nel trovare due resh b'eth aquila testa bianca correre per la strada, anziché volare nel cielo. In ogni caso, nessuno riusciva a rimanere completamente serio nel vedere come, sia padre sia figlio, sbattessero in continuazione le ali. Ciò li faceva andare molto veloci, pur rimanendo a terra; c'è chi diceva fossero in grado di raggiungere l'andatura degli animali.

"Mi dici cos'hai, Ak'uira? Tua madre è preoccupata e inizio a esserlo anch'io. È da qualche ciclo che ti sentiamo giù. Hai paura per il maturamento?" chiese Aethrei, mentre continuava a correre.

"In realtà sì, anche se non la definirei proprio paura. È più una sorta d'ansia che aumenta. Oggi ho la verifica e non so come affrontarla, non vorrei deludervi. A ogni modo mi dispiace se sto smorzando il vostro entusiasmo."

"Non ti devi preoccupare del nostro entusiasmo, Ak'uira, ma del tuo. E non devi aver paura del maturamento. Ho domandato a tua nonna se potesse essere pericoloso per te, visto l'otzi che hai, ma mi ha assicurato che non c'è nulla per cui si possa rischiare la vita. Cosa ti turba allora?" domandò allargando le braccia.

"Papà, ma come fai a non capirlo!?" Si arrestò di colpo e fissò le spalle del padre finché non si girò per ascoltarlo.

"No, non capisco e non ti fermare" ordinò. "Spiegami cos'è che ti preoccupa." La sua voce tornò a essere più calda.

"Mi preoccupano queste, papà." Indicò le sue ali, riprendendo a correre. "Mi preoccupa il fatto che sarò considerato uno storpio, o peggio, un vigliacco. Ho il terrore di fallire e di essere costretto a tornare nei campi. Non fraintendere, mi piace lavorare al mulino, ma so che posso fare molto di più che il semplice agricoltore. Voglio fare questo maturamento, è l'occasione per capire cosa riserva per me la mia vita. Però non riesco a superare questa paura, è più forte di me."

Aethrei biasimava suo figlio, che ora correva con gli occhi rivolti verso il basso: 

"Che stai facendo in questo momento?"

"Che vuoi dire?"

"Che cosa stai facendo?" insisté.

"Sto correndo."

"Tu ti stai allenando. E che cosa sei?"

"Un'aquila, ma che c'entra adesso tutto questo?"

"Cosa fa un'aquila?" Non lo ascoltava nemmeno.

"Per favore, puoi arrivare al punto?" 

Ak'uira odiava quel modo macchinoso di affrontare la questione.

"Ti ho chiesto cosa fa un'aquila."

"Vola!" era insopportabile e volle accontentarlo.

"Esatto. È nella loro natura ed è nella tua saper volare più in alto di qualunque altro essere vivente." Si fermò un secondo per riprendere fiato.

Erano ormai lontani dal paese e non c'era anima viva, solo i campi sullo sfondo.

"Hai paura per ciò che è successo tempo fa. E allora? Arriverà il momento in cui l'affronterai. Io e tua madre non ti abbiamo più forzato a provare di nuovo – abbiamo sbagliato? – perché avevamo fiducia in te e ce l'abbiamo tuttora. Le tue ali sono forti, Ak'uira." Lo prese per le spalle "Quando chiederai loro aiuto, esse risponderanno. Guardale! Sono belle e robuste, la scelta è solo tua."

Aethrei osservò il panorama e si grattò il mento: "Noi aquile abbiamo orgoglio da vendere, non dimenticarlo mai." Lo scosse con un braccio.

"Grazie, papà."

Sulla via del ritorno si fermarono nel villaggio a comprare delle verdure e della carne per pranzo; ad Ak'uira era tornato il buon umore. Tra i vicoli in ombra notò una coda strisciare via; non gli diede peso.

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