Capitolo 58
7 Mo'gh Ahkoth 1842 – Palazzo Eternità
Il sentiero nel cielo, svelato dal governatore, fu per Shoum'e uno spettacolo incredibile: il mondo sotto i suoi zoccoli si muoveva a una velocità strabiliante. All'interno di quella magia, un passo equivaleva a una foresta e il rinoceronte, dopo l'entusiasmo iniziale, gli fece notare i vari segni della malattia del mondo: lassù poterono osservare la terra da una prospettiva molto diversa.
I boschi erano dei cimiteri di alberi marci e decomposti, delle chiazze malate ancora in grado di ospitare le tane per piccoli roditori e lucertole; i fiumi erano troppo asciutti per essere chiamati tali o talmente enormi da mangiare avidamente ciò che si trovava vicino ai loro letti. Timide, riuscivano comunque a spuntare delle oasi, piccoli puntini dai vivaci colori dove si poteva sussurrare con cautela in nome Natura.
"Perché si sono ridotte così?" chiese Shoum'e osservando l'ennesima distesa di vegetazione deceduta.
"In realtà non lo so" ammise il rinoceronte. "Però credo una cosa: se non inizieremo a porvi rimedio, neanche le Bozanj saranno sufficienti a salvarci."
"Posso farle una domanda?" Sembrò quasi volesse cambiare discorso. "Ma cos'è esattamente la Bozanj? Voglio dire, lo so cos'è, ma perché al suo interno è tutto così diverso?"
Shoudhe sorrise per quella sana curiosità.
"A questa domanda saprebbe risponderti sicuramente meglio Lath – è un meteorologo –, ma non l'hai conosciuto. La Bozanj..." Arricciò il labbro nel tentativo di afferrare ulteriori ricordi. "È un alteratore atmosferico: in pratica modifica le condizioni dell'area che occupa."
Spese del tempo per spiegargli ciò che gli veniva in mente: il suo utilizzo, l'istallazione e la pianificazione delle precipitazioni, e Shoum'e intuì come ogni cosa fosse all'insaputa dei resh be'th comuni.
"A conti fatti viviamo un'ottima vita, molto meglio dei nostri antenati, ma siamo chiusi in una bolla e ci siamo dimenticati di ciò che c'è fuori. Forse la tua generazione sarà in grado di curare il mondo, siete tanti e talentuosi: non succede mai nulla per caso."
Le lande ai loro piedi rallentarono la loro corsa fino ad arrestarsi, i due resh be'th erano giunti alla fine del sentiero e il palazzo dell'Eternità si mostrò nella sua sublime magnificenza. Al centro di un enorme fossato, si ergeva un ampio castello su uno sperone di roccia come un re sul suo popolo. Le torri svettavano tra alcune chiome bianche e blu, boschi artificiali di jacaranda e amelanchier. Ogni albero era appositamente stato scelto per creare un'equilibrata bicromia che richiamasse i colori eterni.
Delle bolle, più o meno estese, gonfiavano ancora di più la base di quel maestoso complesso: osservandole meglio, la zebra ipotizzò che si trattasse di piccole Bozanj, ma non ne riusciva a capire il senso.
Posando nuovamente gli occhi sul fossato, Shoum'e fu rimase irretito nel perdersi all'interno di quel gigante oscuro, tanto da provare un senso di vertigine. Credette di esagerare, ma era convinto fosse grande quanto l'intera città di Haksh. Shoudhe, al suo fianco, lasciò il ragazzo tramortito da quello spettacolo.
Ciò che riuscì a scuotere la giovane zebra fu la presenza di dodici ponti che tagliavano equamente l'abisso. Erano attraversati, per tutto il loro tratto, da stupendi mosaici luminosi. Se il fossato dava l'impressione di essersi recati in un luogo dove non si era i benvenuti, questi armonici camminamenti riuscivano invece a infondere una serena accoglienza a chi li avesse percorsi.
Visti dall'alto, rappresentavano l'orgoglio del ge'th a cui facevano riferimento e il giovane resh be'th indugiò nel comprenderne i disegni squadrati.
"Ogni ponte è dedicato a un ge'th. Quello davanti a noi lo riconosci: è il nostro" introdusse Shoudhe.
Una montagna verde, con tanti fori blu, era poggiata su un fondo giallo mentre un occhio rosso dai raggi bianchi e rosa accompagnava un lungo fiume azzurro dalle onde più scure. Shoum'e riconobbe delle stupende creature correre nella seconda parte del mosaico: i sei fondatori, esemplificati nei loro animali, sembravano accompagnare i propri discendenti verso il palazzo dove chiedere consiglio.
"Ora è meglio affrettarsi, avrai modo di osservare anche gli altri" incoraggiò Shoudhe.
Il ragazzo non capì, era ancora affascinato dagli altri ponti che riuscì a scorgere; fu attirato da un enorme vulcano in eruzione che sembrava sputare delle corone luminose.
Atterrarono nel bordo esterno del precipizio e presero a percorrere le pendici del monte di ceramica colorata. I parapetti della costruzione erano alti più di due lance, in modo da impedire che la forza del vento rendesse improba o mortale la via. Solo il suo sibilo, costante e gonfio, dava l'idea del pericolo che avrebbe costituito resistergli.
La pietra bianca con cui erano stati realizzati ospitava, di tanto in tanto, delle sporgenze dove alloggiavano delle larghe candele dalla fiamma indaco. Dello stesso colore e con la stessa fluttuazione, migliaia di nomi seguivano il loro passaggio, apparendo e scomparendo come un'onda.
"Quelli che vedi sono i nomi dei resh be'th che hanno contribuito a rendere migliore il nostro ge'th" informò il ragazzo; dentro di sé pregò per loro:
Per te che hai vissuto con coraggio, sappi questo:
l'occhio osserva e ti protegge nella valle del Mo'beh.
Per te che hai protetto i deboli, non dimenticare:
l'occhio osserva e ti protegge nella valle del Mo'beh.
Per te che hai sofferto con i fratelli, sorridi:
l'occhio osserva e ti protegge nella valle del Mo'beh.
Per te che hai abbracciato gli stranieri, gioisci:
l'occhio osserva e ti protegge nella valle del Mo'beh.
Per te che sei stato la nostra guida, ricorda:
l'occhio osserva e ti protegge nella valle del Mo'beh.
Sii anche tu l'occhio che veglia su di noi.
Gharai...
Proseguirono in silenzio il resto del tragitto. Quando intravidero la fine, Shoudhe si avvicinò a Shoum'e e lo invitò circospetto:
"Adesso è necessario che ti metta il cappuccio e che cammini accanto a me senza dire niente".
La zebra obbedì, era da tempo che non copriva più il suo volto e immaginava cosa volesse dire.
Per continuare a vedere bene i nomi fatui che lo circondavano, dovette ruotare il viso; non era più abituato e ripensò all'ultima volta che l'aveva indossato. Gharai glielo aveva consegnato dopo averlo visto in disparte prima dell'esame; la sua affinità animale e il suo otzi lo avevano sbalordito:
"Copriti con questo il giorno dell'inizio, faremo uno scherzo al governatore di Haksh. A Shoudhe, cioè." Strizzò l'occhio e se ne andò in groppa al suo cavallo.
Una flebile linea, grigia e vaporosa, segnalava il luogo di un braciere dove due resh be'th in armatura erano intenti a cucinare. Le due guardie, un gorilla e un cavallo, erano rilassate e serafiche, convinte che nessuno si sarebbe mai presentato in quella giornata ormai quasi conclusa. Con la coda dell'occhio, il cavallo individuò il governatore e il suo accompagnatore, per cui avvisò con uno strattone il compagno. Si misero sull'attenti nell'attesa di poter dialogare con gli stranieri di Haksh.
La protezione indossata dai due soldati era molto appariscente, ma non per questo meno efficace. Era invasa dal bianco intervallato da fasce azzurre che decoravano le placche sul busto. Il loro mantello color paglia svolazzava ribelle al vento mostrando fiero il ricamo bianco dell'Eternità: un esagono scavato da dodici cerchi. Shoum'e ricordò che, dopo il giuramento fatto sul picco, Loubra'l spiegò il suo significato, ossia la comunione dei dodici ge'th verso la pace del mondo. Alla luce di quanto visto sotto i suoi zoccoli, nutrì qualche dubbio.
Le due guardie vennero loro incontro e Shoudhe, sorridendo sempre più, allargò le braccia con un ampio richiamo.
"Ah... Quanto tempo, Am'igh, Bhole! Vi trovo in forma: l'Eternità vi giova." Li abbracciò calorosamente accompagnandosi con una risata.
La zebra non aveva notato quanto fossero giovani, li credeva più vecchi, invece si dimostrarono essere all'incirca suoi coetanei. Due spirali verdi, deformate e opposte, spuntarono dalle loro braccia intente a stringere il rinoceronte.
"Governatore Shoudhe, è bello rivederla" salutò il gorilla.
Si capiva a colpo d'occhio la sua grande bontà e onestà, il grande naso schiacciato riuscì anche ad amplificarne l'evidenza.
"Come stanno le nostre famiglie? E mio figlio, guida ancora il carro degli otzici?" chiese il secondo, esuberante come i suoi lunghi capelli lasciati al vento.
"Stanno tutti bene ed è un piacere rivedervi." Ma il rinoceronte non volle perdere tempo e, voltandosi verso la zebra:
"Lui è Shoum'e, ha appena terminato il maturamento e ho voluto che mi accompagnasse. Purtroppo, è molto timido e non ama farsi vedere" disse cercando complicità.
Il giovane resh be'th rimase immobile mentre le guardie lo squadrarono per qualche secondo. Bhole, il cavallo, gli mise amichevolmente una mano sulla spalla.
"Ti diamo il benvenuto nel Palazzo dell'Eternità. Chiunque venga con il governatore Shoudhe, è ben accetto. Ma cosa vi porta da noi?" chiese infine al rinoceronte, che rispose con un'alzata di spalle.
"Il futuro di Haksh ci porta qui prima del Ouakabh" chiuse in maniera criptica la questione.
I due sul ponte avrebbero preferito una risposta più esaustiva, ma sapevano che Shoudhe portava con sé le sue ragioni e quello era un modo gentile per far capire loro che non avrebbero dovuto domandare oltre.
"Scusateci! Non restiamo qui con questo vento, venite a mangiare con noi. Potrete vedere gli Eterni dopo cena" li invitò Am'igh.
Shoudhe provò a rifiutare, ma entrambi avevano fame e le due guardie, promesse di Haksh ancor prima di Shoudhe, insistettero perché rimanessero: avrebbero potuto aggiornarli su come andava la vita nel ge'th. Mangiarono chiacchierando del tempo, di Haksh e dell'Eternità rimanendo sempre su temi e toni leggeri, adatti a un pasto fatto di pane e maiale arrostito.
Finito il pasto, si salutarono nuovamente e le due guardie consegnarono a Shoudhe due bisacce e un grappolo d'uva:
"Vi stanno aspettando".
Superati quei resh be'th gentili e accomodanti, Shoudhe e Shoum'e si apprestarono a raggiungere la rocca per incontrare gli Eterni. Poco distante dal braciere in cui si erano rifocillati, era presente una piccola piattaforma circolare con una ringhiera in oro e argento. Poggiava su dei binari scavati nel terreno che attraversavano le varie Bozanj e i boschi per approdare all'ingresso del palazzo. Non appena salirono sulla pedana, questa si sollevò leggermente e iniziò a fluttuare spedita seguendo il corso già tracciato per lei.
Nonostante il crepuscolo avesse inghiottito gran parte della luce, immergersi nelle Bozanj ridotte meravigliò ancora di più Shoum'e. Ognuna di esse aveva un suo orario e un diverso ecosistema all'interno. La zebra si tenne con entrambe le mani alla ringhiera e ammirò il sole di mezzogiorno dominare il deserto sabbioso che si palesò davanti a loro.
La velocità del viaggio era simile alla corsa di un cavallo e la brezza che avvertirono non li fece soffocare per la calura. Shoum'e sorrise al governatore e cercò di coinvolgerlo nel suo entusiasmo, ma il rinoceronte era ormai assuefatto e rimpiangeva lo slancio vitale del giovane.
Una distesa di dune carezzate dal vento fece impolverare i due resh be'th e sparuti cactus e tracce di piccoli rettili e artropodi fascinarono la zebra. Improvvisamente, la notte tornò a coprirli appena entrarono in una foresta di conifere: lì videro all'opera numerose specie animali che si cacciavano a vicenda, cercando di guadagnare un giorno di vita in più. L'alba su una prateria, il tramonto su un piccolo lago. Shoum'e e Shoudhe fluttuarono su qualsiasi tipo di clima esistente in quel mondo, dal più caldo al più freddo, dal più popoloso al meno vissuto. Ogni specie animale conosciuta, escluse le zebre, era lì, nel proprio habitat e nelle condizioni ottimali: un vero e proprio paradiso perduto di cui però le bestie non ne erano consapevoli.
Durante il tragitto, Shoum'e fu incuriosito anche dai doni consegnati dalle guardie e Shoudhe glieli cedette.
"Come mai ci hanno consegnato queste cose?"
"È un'offerta. In base a ciò che presentiamo, verremo ascoltati."
Shoum'e aprì il tappo della prima bisaccia e continuò a domandare, la sua curiosità aveva una punta di sospetto.
"Perché non ti sei fidato di loro?" L'odore fruttato e dolce del vino all'interno lo accarezzò.
"Non è che non mi sia fidato di loro" improvvisò una risposta Shoudhe. "È che, a volte, troppe spiegazioni complicano cose semplici."
"Ho capito." E con una smorfia tirò via il naso dalla seconda bisaccia: aceto.
La pedana si fermò dolcemente e aprì la sua ringhiera per permettere l'uscita. I due si trovarono davanti a un lungo viale segnalato da un sentiero di ciottoli bianchi e levigati incagliati nel terreno, ai lati il bellissimo giardino di jacaranda al chiaro di luna. Camminarono a passo svelto tra alcuni archi disegnati dall'intreccio involontario e naturale dei rami e proseguirono verso un grande portone in legno.
I suoi cardini e le decorazioni erano in ferro battuto e testimoniavano le epoche passate dalle quali provenivano. Un robusto battiporta fu spinto dal rinoceronte e una giovane resh be'th ermellino, timida e silenziosa, aprì la porta.
Con un'espressione neutra, si spostò di lato per permettere l'ingresso ai due visitatori e con un gesto della mano indicò loro la direzione da prendere. Finalmente erano all'interno del Palazzo dell'Eternità.
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