Capitolo 49
28 Mo'gh M'eskar 1842 – Monte Haksh; Haksh
Shoudhe era in attesa sulla rupe del monte, assisteva alla nascita del sole con occhi vigili e sperava che anche Baharas arrivasse con esso. Non riusciva ancora a credere di aver sbagliato la programmazione delle piogge, era convinto di aver inserito la data giusta. Eppure, questo dubbio non lo lasciava: come una cascata, lo riempì di ansia. Aveva paura che Baharas non tornasse in tempo e che l'ilham potesse coglierlo impreparato o peggio, che fosse successo qualcosa di grave. Restò lì per un'altra ora, pregò l'Occhio e i Sei di proteggerlo. Quando la luce iniziò a riflettersi sui suoi corni invecchiati, si apprestò all'interno: il tempo stringeva e doveva preparare i ragazzi per ciò che sarebbe successo in quello strano ciclo.
"L'ilham" parlò il rinoceronte una volta arrivato nella sala comune dove lo attendevano le trentasei promesse, "è un breve periodo che si presenta sempre in primavera, spero qualcuno ve ne abbia già parlato. Quest'anno, visto il maturamento, tutta Haksh gode dell'assenza dell'inverno, o meglio di un'estate e di una primavera allungata. Abbiamo imparato come la Bozanj influenzi il nostro clima... Sto divagando. L'ilham, dicevo, condiziona enormemente la nostra personalità e le nostre azioni: ci porta a dire e a fare cose che normalmente non faremmo mai. Avremo dei continui impulsi sfrenati... È una regressione momentanea che, purtroppo o per fortuna, solo noi dobbiamo affrontare. Non so se nelle vostre case siano presenti delle stanze sigillate. Ecco, durante questo periodo è necessario isolarsi all'interno di esse per proteggere sé stessi e chi resta fuori."
Ciò che i ragazzi stavano per vivere era una briciola di pazzia nata dal mio peccato; ogni resh be'th che aveva già attraversato un ilham, conosceva l'imprevedibilità con la quale sopraggiungeva e gli effetti caotici che provocava. Voci di protesta si levarono tra i ragazzi, ancora assonnati, che non sapevano nulla di questo avvenimento.
Ma perché le loro famiglie non trovano il coraggio di parlare anche di queste cose? Per Haksh, non può più essere un tabù!
"Non vi preoccupate per il cibo. I nostri domestici ci serviranno ogni giorno i pasti necessari. Ciò che vi chiediamo, ed è importate che lo facciate, è di sfruttare i brevi momenti di lucidità per iniziare a capire come controllarvi. L'ilham tornerà ogni anno e non sempre sarete al sicuro come qui dentro."
Shoudhe non voleva aggiungere altro, era abbastanza innervosito e infastidito e non riuscì a distinguere il perché. Per evitare incidenti di qualsiasi tipo, compreso lo zittire ferocemente i giovani resh be'th, decise che sarebbe stato saggio essere all'interno delle proprie stanze in breve tempo, così fece cenno ai maturatori di prepararsi.
"Adesso, i ragazzi che chiamerò rimarranno qui. Gli altri possono seguire i loro maturatori."
Vedendo Ak'uira e i ragazzi del combattimento guardarsi intorno alla ricerca di Baharas, al rinoceronte si strinse il cuore e serrò un pugno, mentì affermando che il falco aveva già terminato la sua missione e che sarebbe arrivato in poche ore, potevano quindi dirigersi da soli nelle stanze. Un inserviente le avrebbe chiuse al posto del loro maturatore.
A quel punto, Shoudhe tornò a rivolgersi a tutti e chiamò due ragazze e un ragazzo: M'elhek, l'ibis bianca che studiava con Zahirile, e Hatsei e Go'se. Quei tre si sarebbero diretti assieme al rinoceronte in un posto diverso.
Gharai, serafico e rilassato nell'accompagnare gli altri allievi, sorrise al licaone e alla mangusta visibilmente ansiosi e in cerca di aiuto da parte sua; telepaticamente gli comunicò che non dovevano preoccuparsi del loro segreto.
Mentre le classi si allontanavano con il proprio maturatore, Saho're guardò confuso il suo amico intimorito; K'eirh gli si avvicinò spiegandogli che alcuni resh be'th, con determinate caratteristiche e determinati otzi, pativano un ilham molto più violento e incontrollabile.
Ma lui questo lo aveva già scoperto da tempo e ne aveva anche parlato alla comitiva durante alcune pause pranzo dove si comunicavano i progressi fatti; per questo non riusciva a spiegarsi l'espressione dei due. Anche Shoudhe notò lo scambio di sguardi con Gharai, ma non gli dette importanza. Era parecchio distratto.
Non appena rimasero solo loro, il rinoceronte si rivolse in maniera stranamente impacciata ai tre resh be'th. Furono rare le volte in cui riuscì a guardarli in viso, preferì osservare il colonnato della sala d'ingresso e perdersi tra le sue ombre e luci.
"Non sappiamo perché, ma pare che alcuni subiscano un ilham molto più intenso e diverso rispetto a quello degli altri... Di sicuro è collegato all'otzi che abbiamo e, purtroppo, non sarà un bel ciclo per noi."
Alzò lo sguardo per provare a descrivere le sue memorie.
"È come se si scatenasse una parte rabbiosa e inaspettata di noi, non so se mi spiego... Come uno sfogo improvviso che esplode." Gli si spezzarono le parole in gola per cui tagliò corto. "Ma forse è meglio avviarci."
Salirono diverse rampe di scale interne che non avevano mai percorso e arrivarono in un ampio salone con una terrazza. Da lì, si poteva vedere fino al confine della Bozanj ovest con i suoi boschi e le sue montagne; la città era dietro di loro. Nella parete opposta, erano incastonate una decina di porte d'acciaio. Era un prodotto introvabile per gli Hakshiani, ma in un oukabh di otto secoli prima il ge'th di Janavut lo propose come materiale resistentissimo e il governatore di allora decise di adottarlo come protezione nell'ilham.
"Siamo arrivati. Le porte sono diverse da quelle delle vostre camere." Diede due forti pugni a quelle spesse lastre che rimbombarono nell'ambiente. "Questo materiale si chiama acciaio ed è indistruttibile. Questo qui, invece, è un portello basculante per il cibo."
Cercò di smorzare la tensione, che piano piano si stava insinuando tra di loro, con delle informazioni ovvie e forse fuori luogo. Ritrovata un po' di serietà, riprese:
"Una volta entrati, queste chiusure verranno sigillate con un'antica magia che ci isolerà completamente. Non sentiremo nulla e nessuno ci sentirà".
"Come mai è necessario barricarci in questo modo?" domandò Hatsei conoscendo già la risposta; il pericolo che lui e Go'se temevano era svanito.
"Be', come ve lo spiego... – Perché mi vergogno così tanto? – Io mi rendo conto che, nell'ilham, la cosa più delicata che faccio è urlare e gettarmi addosso alle pareti. Credo che isolarci sia una gentilezza nei confronti di chi si prende cura di noi."
Non se la sentì di descrivere ulteriormente la pazzia. Non riuscì ad ammetterlo, ma anche per lui quell'argomento era un tabù: aveva paura di incrinare quel rapporto onorevole ma informale che aveva cercato di costruire in quelle lune. Volle concedere qualche altro minuto ai ragazzi per abituarsi alla cosa, nonostante avesse detto poche cose raffazzonate. Il tempo stringeva.
"Come vedete, ci sono stanze in abbondanza: scegliete quella che volete, tranne l'ultima a destra. L'ho sempre usata io e non vorrei mai che un mio maturante ci entrasse."
I ragazzi iniziarono a esaminare le stanze: erano identiche e spoglie. Solo un piccolo stuoino arrotolato e un secchio in fondo davano una piccola parvenza di comodità. La roccia della parete era a spiovente, riducendo progressivamente la superficie calpestabile, ma alcuni graffi ormai datati erano collocati in punti che ai giovani resh be'th parvero irraggiungibili. In definitiva, il loro giudizio fu lo stesso: una cella valeva l'altra. Scelsero delle stanze contigue e vicine al governatore, non volevano sentirsi del tutto da soli. I tre si salutarono con uno sguardo e chiusero le porte. Shoudhe restò per un momento fuori a fissare il vuoto, avrebbe voluto rincuorare meglio i ragazzi, ma ormai era troppo tardi. Un'antica magia iniziò a serpeggiare lungo quelle porte e isolò ciò che si trovava all'interno.
Quando il rinoceronte chiuse la sua porta, nessun resh be'th girava per i corridoi del monte. Gli otzici erano nelle loro stanze, reclusi e in attesa. Un silenzio innaturale si propagò tutt'attorno e contribuì ad amplificare l'ansia che i ragazzi stavano vivendo in quel momento: cosa e quando sarebbe successo erano le domande che martellavano le loro teste come un picchio insistente. Alcuni, tra i giovani più fantasiosi, pensarono che l'ilham fosse il mio spirito che andava a reclamare le anime: chiudere le porte era la soluzione migliore per impedire che se ne andassero.
Una poiana, che volava alta sopra il monte in cerca di una preda, lanciò un grido; la suggestione dei ragazzi lo tramutò in un sibilo spettrale: l'ilham era arrivato.
Il cuore di Ak'uira iniziò a battere all'impazzata, gli sembrava esplodesse e si guardò freneticamente attorno scuotendo la testa incontrollata. Di scatto, prese a toccare tutti gli oggetti che aveva nella sua stanza: li prendeva, li scrutava, li ruotava e li rimetteva a posto nevroticamente.
"Non c'è, non c'è" ripeteva sempre più forte, quasi arrabbiandosi.
Cercava qualcosa, ma non capiva cosa, frugò nei cassetti e nell'armadio. Anche lì nulla e la sua frustrazione crebbe ancora.
"Deve esserci" si ripeteva.
Intensificò la ricerca iniziando a spostare i mobili in maniera sempre più caotica e violenta. Una cassettiera si ruppe, ma non se ne accorse, la stanza divenne in pochi secondi un campo di battaglia.
"Dov'è!?" urlò pieno di rancore e odio.
Una piuma del suo manto iniziò a vagare nella stanza e passò, cadendo, delicatamente davanti a lui; era molto scura e lunga, tra le più belle che avessi mai visto. L'afferrò fulmineo con la mano e la cullò con lo sguardo, la testa si mosse con vari scatti imitando quella di un vero uccello. Alzò il braccio e aprì la mano, la piuma scivolò e continuò a cadere leggera. Le diede un pugno.
"Non sei tu!"
Gliene diede un altro e un altro ancora, ma era tutto inutile. La intercettò nuovamente sul palmo e la spinse di colpo contro la parete in uno schiaffo che gli fece formicolare il braccio.
"Non sei tu! Non sei tu! Non sei tu!" gridò frustrato contro di lei e si accasciò continuando a ripeterlo fissando il vuoto.
Apparve il cuscino del suo letto.
Prima non c'era.
Era molto ostile nei suoi confronti. Ak'uira decise di aggredirlo con uno slancio prima che l'oggetto morbido potesse sorprenderlo. Lo squarciò in un attimo facendo uscire tutte le piume bianche all'interno.
Guardò estasiato la loro danza pura, era ipnotizzato, cercava proprio loro. Le raccolse da terra e le fece svolazzare nuovamente. Quella pioggia di piume era lo spettacolo più bello che potesse esistere e lo ripeté molte volte finché non andarono a coprire quella nera. Le risollevò in aria e la piuma oscura era lì con loro: sembrò spazzare via tutte le altre.
Urlò disperato come se avesse visto la morte in quell'abisso leggero. Si mise a piangere senza un apparente motivo per poi divenire nervoso e lanciare qualsiasi cosa trovasse a portata di mano.
La piccola finestra sulla porta si aprì e un vassoio con una minestra di fagioli fu presentato all'aquila. Lo guardò incuriosito: aveva dimenticato cosa fosse il cibo e lo fece cadere a terra divertito. Il liquido si sparse e iniziò a essere assorbito dal terreno della stanza, ma non se ne curò, era concentrato a osservare i fagioli oscillare sul posto. L'immagine dei piccoli di aquila visti al risveglio affiorò nei ricordi e, tra la melma impolverata, si sostituirono ai legumi.
Ne afferrò uno tra le dita e continuò a guardare quell'uccellino dimenarsi tra le sue mani. Lo alzò sopra la testa e aprì la bocca: schiacciò quel fagiolo bevendo il sangue dell'aquilotto.
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