Capitolo 43

20 Mo'gh M'eskar 1842 – Monte Haksh, Haksh

A cena, Shoudhe guardò il suo piatto pieno di verdure grigliate e le mangiò distrattamente, stava ancora cercando di dare un senso a tutte le implicazioni possibili su Shoum'e, i corvi e l'Eternità. Ogni tanto alzava la testa in direzione del ragazzo che, ignaro della situazione, mangiava e parlava con gli altri del suo gruppo. K'eirh cercò di iniziare una conversazione che non durò a lungo, il rinoceronte non ne aveva voglia. Chiese solo a Baharas se la mattina seguente avesse potuto convocare Me'r e Katthe per poter discutere con i gemelli insieme a lui. Dhooema cercò d'intonare qualcosa per il governatore, ma lui scosse la testa in un no sbrigativo e colpevole. Il falco mangiò la foglia.

Quella notte Shoudhe non riuscì a dormire, rimase intrappolato nella sua mente.

Al sorgere del sole, il maturatore del combattimento attese, come al solito, i suoi guerrieri nell'arena e comunicò che, quella mattina, avrebbero dovuto addestrarsi da soli. Alle domande degli studenti rispose freddamente e, nonostante facessero vaghi riferimenti alle urla del preside, per lui sapevano già troppe cose.

"Credo che il vostro compito sia un altro, allenarvi al meglio per proteggere Haksh. Il nostro ge'th ha bisogno di resh be'th valorosi, non di bambini petulanti, immaturi e incompetenti. Quando torno voglio una relazione su ciò che avete svolto." Si allontanò attivando il vento.

Ognuno di loro fu toccato in maniera diversa da quelle parole, Ak'uira le avvertì come dei sassi scagliati direttamente verso di lui. Rivide il maturamento in funzione dei suoi progressi e delle sue promesse: era diventato abilissimo nell'uso dello stocco, ma per quanto riguardava il volo non aveva fatto nessun passo avanti. Si era imposto di fare delle sessioni extra che non eseguì mai, ogni giorno usciva distrutto per essere alla pari degli altri; gli aghi nascosti dal falco erano ancora da qualche parte ad aspettarlo. Decise che quel giorno avrebbe volato: non importava come, ma ce l'avrebbe fatta. Aveva perso fin troppo tempo. Abbandonò il riscaldamento per cercare un punto adatto nell'arena, alle domande degli altri disse di dover fare una cosa importante.

Ne va del mio essere qui.

Riuscì a mettere da parte i loro commenti, era più importante ritrovare la giusta considerazione di sé. Arrivò su un'enorme roccia conficcata nel terreno, a prima vista aveva a disposizione un salto di almeno tre lance per volare. Le condizioni erano uguali a quelle di quando era bambino: pensò che le folate fossero un segno.

Ecco il momento.

Lo sentiva, non pensava potesse essere così facile trovarlo. Fece un passo in avanti e chiuse gli occhi, si concentrò, respirò profondamente e poi li riaprì. Vide i suoi compagni, intenti a correre, piccoli come ciliegie. Ebbe un sussulto. I guerrieri divennero immensi come palazzi e percepì ogni loro singolo movimento.

Ecco un ago!

Tornarono ciliegie.

Fu tutto così veloce e improvviso, non riuscì a controllare quella focalizzazione immediata e ne rimase stordito. Perse la stabilità per una frazione di secondo, era troppo vicino al bordo. Si sentì precipitare e tese le braccia per cercare un appiglio. La paura lo assalì, bloccandogli le ali.

Oerakth, la volpe rossa, lo vide piombare giù e urlò allarmando gli altri: l'aquila era caduta a terra e ora stava continuando a rotolare tra i massi verso di loro. Tutta la classe gli corse incontro e Jamgha'l, la tigre siberiana, si frappose arrestando la scivolata. Ak'uira stava bene, non si era fatto nulla di grave se non qualche piccolo graffio e qualche livido. Dentro era dilaniato.

"Cosa diavolo t'è preso?" Lo scosse la tigre, ma si fermò non appena notò la disperazione del compagno.

"Non so volare!" lo confessò ad alta voce.

Ci fu un lungo silenzio. Si rimise in piedi cercando di riprendere un po' del suo orgoglio. Nessuno seppe cosa dire, ogni cosa sembrò fuori luogo.

"Torniamo ad allenarci" decise Ak'uira, glaciale.

"Noi credevamo che... "

"Non importa."

I resh be'th cercarono di tornare agli esercizi, solo gli occhi commentarono quell'episodio. Il maturatore non fu mai informato sull'accaduto e il giorno successivo notò un leggero cambiamento. Sebbene in preda alla rabbia, fu felice di vedere che le intenzioni dei suoi ragazzi verso Ak'uira erano mutate in cooperazione.

L'incontro con Me'r e Katthe fu molto veloce e sbrigativo, nonostante la gravità di ciò che sapevano. L'ufficio del rinoceronte sembrava troppo piccolo per contenere l'ansia e la tensione che si respiravano. Shoudhe chiese subito di cosa avessero parlato con i corvi lungo il cammino e se avessero fatto domande: era visibilmente allarmato. Baharas si sentì escluso e spaesato.

"Eravamo curiosi del loro ge'th", confessò Katthe.

Solo chiacchiere di cortesia. Hougin e Nu'hin furono molto cortesi e conviviali con i due suricati, si sentirono in qualche modo spiriti affini per la loro comune realtà di gemelli. Me'r consegnò al suo governatore un papiro bianco con lo stemma di Harfnag, due ali che uscivano dal mare. Stando a quanto dicevano i due resh be'th stranieri, serviva per comunicare con loro. Quel foglio era stato modificato magicamente ed era abbinato a un altro in possesso dei diarchi, ciò che veniva scritto su uno, sarebbe stato riportato sull'altro. Questa notizia risollevò il morale del rinoceronte, smise di sudare dalla sua fronte spaziosa e tornò a fidarsi dei due di Harfnag.

Baharas ebbe la sensazione che gli mancasse la terra sotto i piedi, durante quei minuti picchiettava le sue dita sulle braccia conserte, i piedi da falco cambiavano smaniosamente posizione.

Secondo me, non è l'unica informazione che non mi è stata detta.

"Perché non siete venuti immediatamente da me?" rimproverò i suoi uomini.

Me'r e Katthe si bloccarono con la bocca mezza aperta. Ci fu un gioco di sguardi con Shoudhe che Baharas fece finta di non notare.

"Ci scusi, signore."

"Abbiamo sbagliato, signore."

"Tornate ai vostri compiti." Li liquidò con un cenno del capo.

Veloci, i gemelli sparirono dalla sua vista. Il falco decise di temporeggiare, qualcosa non gli tornava e doveva approfondire. Per mantenere le apparenze, chiese al rinoceronte un congedo di un ciclo così da poter fare una ricognizione speciale nelle stazioni di guardia. Nonostante l'incontro con i corvi si fosse rivelato innocuo, si sentì in allerta come se avessero appena scampato un pericolo non previsto: non gli piaceva affidarsi alla fortuna. Shoudhe scosse la testa e cercò di calmarlo.

"Non è ancora il momento di preoccuparsi, è più importante riflettere insieme su una linea d'intervento d'adottare."

Il falco si innervosì di colpo, gli occhi divennero fessure ed esplose.

"Come 'non è ancora il momento'? Shoudhe! Queste non sono cose da prendere alla leggera e lo sai bene. Cosa c'è sotto?"

"Questa sera saprai tutto, non vorrei allarmarti inutilmente e... "

"Shoudhe! Ma cosa stai dicendo?" interruppe il suo governatore e amico. Nonostante l'impazienza e la rabbia, sapeva che ora non avrebbe ottenuto nessuna risposta. "Questa sera voglio che i maturatori sappiano tutto quanto e voglio che mi chiarisci questo 'non è ancora il momento'!" lo minacciò.

Uscì dall'ufficio sbattendo la porta dietro di sé e si allontanò frustrato, non riusciva a capire il cambio d'atteggiamento del rinoceronte. Quel giorno non mangiò e si sfogò in un luogo isolato dell'arena ignorando i suoi ragazzi. La rottura tra i due era nell'aria.

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