Capitolo 42

? ? 1825 – luogo indefinito

Ktobre corse più veloce che poté verso il suo accampamento con le mani ancora insanguinate. Il suo corpo sfilava rapido in quella steppa e cercava di negare ciò che era appena successo. Le lacrime però conservavano intatta la memoria e sembravano non volerlo lasciare più. Quel coltello di pietra affilata, carico d'amore e di speranza, fu evitato facilmente al momento del lancio dal piccolo e alato male incarnato: trafisse la cormorano reietta così gentile con lui.

La zebra continuò a ripetersi fosse stato un incidente, voleva solo parlarle e conoscerla finché non sarebbe dovuto rientrare nel suo villaggio. Negava l'accaduto e si disperava, ma non era più possibile tornare indietro. I suoi zoccoli cedettero e cadde a terra: restò lì a scontrarsi con il panico.

Le braccia si strinsero rievocando l'abbraccio che aveva accompagnato la giovane resh be'th nei suoi ultimi istanti. Avrebbe rimpianto a vita non sapere quale fosse stato il suo nome, così gliene diede uno. Gridò più volte "Leitil" – fiore sbocciato – e, tra le sue lacrime d'impotenza, la cormorano sorrise e morì nel dolore. Quando la mano della ragazza toccò terra, la avvicinò ancora di più a sé.

Gli ultimi movimenti involontari di un corpo senza vita diedero a Ktobre l'illusione che Leitil fosse ancora con lui. Non appena questa speranza si infranse, iniziò a distaccarsi mentalmente. Si dimenticò perché stesse piangendo per una resh be'th conosciuta solo qualche minuto prima. Per la sua gente lei non esisteva.

Io non ho fatto niente.

Il suo ruolo era salvo, ma non il suo essere resh be'th. Doveva fuggire. Riprese il coltello e, per salvare le apparenze, raccolse l'unguento preparato. Dopo essere caduto, si fermò solo quando i primi tetti di canna e paglia dell'accampamento furono in vista.

Non c'era nessuno in quei paraggi, perciò abbassò lo sguardo e si diede altri pochi istanti di disperazione; in mezzo a quella vegetazione secca e spoglia, versò le sue ultime lacrime. Quel pianto fu agognato dalla terra arida e avida di acqua: forse un germoglio di natura sarebbe risorto in quel punto e Leitil avrebbe continuato a vivere. Respirò profondamente, si asciugò il viso e riprese a camminare con calma verso le casupole di terra. Si concesse un'ultima e rapida occhiata dietro di sé per verificare se il passato fosse rimasto alle spalle, lasciandolo libero.

Era ancora lì e lo guardava allontanarsi nel silenzio più totale.

Ktobre fu in salvo tra la sua gente e tutti lo acclamarono, finalmente l'eletto era tornato con l'unguento sacro. Quel giorno doveva svolgere il compito per cui era stato scelto da bambino: imprimere la vera nascita ai nuovi membri. Aveva qualcosa d'importante a cui pensare: si sforzò per rendere ciò che era successo al ruscello un vecchio ricordo sbiadito.

Entrò nella sua dimora, una grande tenda in pelle sostenuta da alcuni giovani alberi morenti, e si preparò meccanicamente. Mentre si toglieva quel sangue estraneo dalle mani nella sua personale riserva d'acqua, si domandò come mai nessuno gli avesse chiesto nulla. Cercò la sua tunica celeste con il medaglione dorato; tra poco sarebbe stato tutto finito e sarebbe diventato maestro dell'eletto.

I suoi impegni erano troppo per potersi concedere altri pensieri; oltre all'iniziazione dei bambini, avrebbe dovuto creare la famiglia sacra. Il suo maestro, quando venne scelto da bambino, gli aveva assegnato due genitori morali con i quali avrebbe vissuto fino a quel giorno: il momento dell'assunzione. Ora era arrivato il suo turno.

Ktobre aveva già scelto i genitori morali del futuro eletto durante una cerimonia quella primavera: fu un rito molto bello al quale avrebbe voluto partecipare.

Leitil

Rigettò quell'immagine.

Tutte le ragazze nubili in età da marito si disponevano in riga e avevano il compito di tessere una fascia di vimini con una piccola tasca. Questa doveva avvolgersi sulla spalla e sul fianco di un ragazzo, tagliando il busto in diagonale, e doveva essere riempita d'acqua. Nel frattempo, i ragazzi celibi dovevano correre e saltare attorno a esse incitandole; non appena queste avessero finito di tessere, il resh be'th che si sarebbe trovato davanti a loro, avrebbe dovuto indossare la fascia e inserire dell'acqua nella tasca. La coppia si era formata. A quel punto, lei sarebbe salita sulle sue spalle e lui avrebbe camminato fino alla statua del toro posta all'inizio dell'accampamento.

Sebbene potesse sembrare una gara di velocità, con il tempo si trasformò in una sfida per misurare l'affinità della coppia. Compito dell'eletto era scoprire quella che meglio aveva eseguito la prova: la fascia non doveva essere né troppo lunga né troppo corta e l'acqua non sarebbe dovuta cadere durante il percorso. Quell'anno, furono due zebre poco più giovani di lui a essere state scelte, avevano entrambi mostrato cura, maestria e forza: gli sembrarono più che adatti.

Questa digressione aiutò Ktobre a prepararsi e uscì dalla sua tenda, in una mano aveva l'unguento, nell'altra un bastone di ferro battuto. La coppia prescelta era già pronta, lo stava aspettando fuori ed era vestita come lui. Dopo aver scansato qualche gallina che baccava libera, si diressero insieme nel luogo designato per la vera nascita.

Poco più a nord dell'accampamento era stata trovata una conca ideale per l'occasione, era ampia qualche centinaia di lance e al centro presentava una roccia. In lontananza avvertirono già i tamburi battere a ritmo mentre un canto labiale si insinuava tra i suoi vuoti. Numerose zebre si erano già radunate sulla sommità della depressione e vegliavano, danzando, su un braciere che si muoveva come loro. Quando Ktobre e i due giunsero al centro dell'assemblea, la musica si fermò.

– Leitil

Strizzò gli occhi per eliminare quel disturbo e parlò alla sua gente a pieni polmoni:

"Finalmente il momento è arrivato. In quest'estate mortifera ci ritroviamo a rinnovare la nostra fede nel mondo. Con il piccolo sacrificio dell'alleanza, salveremo queste lande abbandonate. Ma oggi siamo qui per celebrare anche un evento di pari importanza: la costituzione della famiglia eletta che ci condurrà nelle valli future. Tutti voi affiderete i vostri figli a questi genitori al mio fianco; li abbiamo visti ergersi come coppia voluta dal divino e in loro scorre impetuosa la sua forza e la sua saggezza. Soltanto uno sarà però concesso quale figlio prediletto, perché l'eletto. Gioiamo insieme di questo congiungimento: è il nostro Dio che, attraverso di me, sceglierà a chi affidare la guida della sua mandria. Preghiamo quindi con maggior vigore perché, battezzando con il fuoco, non solo salveremo le terre e nasceremo veramente, ma ringrazieremo il toro celeste per questa benedizione."

Alzando le braccia al cielo e abbassando il capo, Ktobre diede il segnale: il canto dei tamburi riprese e scandì una piccola processione. Una trentina di resh be'th zebra di circa tre anni, con delle lunghe vesti bianche a strascico, furono fatti sfilare dai propri genitori in groppa a dei tori, piuttosto magri, dipinti di celeste e decorati con simboli appartenenti alla lingua antica.

L'eletto e i sacri, così venivano chiamati Ktobre e la coppia, osservarono a lungo i nuovi membri muoversi in una serpentina circolare. Alcuni piansero, altri singhiozzarono, altri non mostrarono alcuna emozione. Ktobre iniziò a concentrarsi sulle percussioni e si lasciò invadere da quei battiti. Senza un'apparente coscienza, il suo corpo prese a scuotersi a tempo: facilitava l'ingresso allo spirito del toro. Il suono divenne un frastuono ovattato che lo ricoprì, si sentì leggerissimo e in grado di volare. Aveva trovato il nuovo eletto.

I due sacri, che presero Ktobre sottobraccio non appena si abbandonò alla trance, seguirono con lo sguardo il suo indice tremante e, dopo averlo fatto riprendere, si diressero verso il prescelto. Con il bacio dell'amore e la carezza dell'accoglienza, lo accompagnarono davanti a quello che sarebbe stato il suo maestro. I canti e le danze si fermarono.

"Dì il tuo nome, zebra." Ansimò Ktobre a occhi chiusi.

Il piccolo era terrorizzato e sul punto di piangere, ma non voleva deludere quelli che, fino a quel momento, erano stati suo padre e sua madre: gli avevano parlato molto del compito dell'eletto e lui, nonostante tutto, cercò di essere felice.

"Rendrier" stirò, poco convinto.

"Fai un passo avanti, Rendrier. Questi al tuo fianco saranno, d'ora in poi, tuo padre e tua madre. Ti guideranno in ogni scelta, perché tu sei l'eletto. Se qualcuno è contrario, si innalzi davanti a lui adesso."

Dal cerchio della comunità si levò un eco di festa e tutti si inginocchiarono al cospetto di Rendrier, l'eletto. La famiglia sacra era stata costituita, ora era arrivato il momento di salvare la comunità. Un rullo di tamburi accompagnò la frase che Ktobre pronunciò in tono solenne:

"Spogliati dei tuoi abiti e mostrati veramente a noi."

I tamburi crebbero fino a interrompersi, la tunica di Rendrier cadde a terra.

"Il segno della maledizione non c'è. L'eletto è puro!"

Una grande acclamazione ridiede slancio alla musica che ripartì con fervore, la buona sorte li avrebbe accompagnati ancora. Il bastone tenuto da Ktobre, maestro dell'eletto, fu deposto nel fuoco che iniziò ad avvolgere il marchio della vera nascita presente sulla sua punta. La zebra indugiò a lungo in quella posa osservando come le fiamme carezzassero il ferro sempre più caldo. Lo tirò su dal braciere e lo avvicinò alla pelle del bambino.

L'urlo di dolore di Rendrier non interruppe i canti che continuarono più forti e concitati. Il piccolo resh be'th, bloccato dai suoi nuovi genitori, si contorse quando gli fu impresso sul polso quel battesimo atroce; l'unguento preparato non sembrò alleviare la sua sofferenza. Il bruciore fu sempre più penetrante e Rendrier si accasciò a terra, svenuto.

Forse era necessaria altra alfalfa. – Leitil – Vai via.

In quel clima di festa, uno a uno, i piccoli resh be'th furono iniziati alla vera nascita. Nulla poterono i pianti e le lacrime. Che fosse stato troppo presto far provare loro il sacrificio della salvezza? Nessun dubbio comparve nella mente di Ktobre, anzi benedisse ancora di più quel dolore; la grazia del toro celeste era con i piccoli e con l'intera comunità. Ciò lo fece commuovere, voleva sfogarsi e liberarsi.

Leitil.

Mancava un ultimo resh be'th alla chiamata della vera nascita. La giovane coppia si avvicinò e accompagnò anche lui verso il maestro che aveva già scaldato il ferro. Quando il piccolo si spogliò, i sacri si ritirarono spaventati e l'atmosfera celebrativa crollò: sulla spalla destra possedeva uno di quei maledetti marchi verdi. Un leggero vociare si diffuse all'interno del cerchio. Qualcuno si ricredette sbalordito, non pensava potessero esistere realmente; qualcuno guardò torvo i genitori del piccolo per aver nascosto un simile abominio. Quei due abbassarono la testa, colpevoli.

"È per questa ragione che eseguiamo la vera nascita, fratelli." Ktobre fu molto bravo a risollevare subito gli animi. "È proprio per questo piccolo che noi soffriamo nella gioia della salvezza. Riprendete a cantare e riprendete a danzare, perché lui ora sarà salvo. Il marchio del male sarà presto estirpato e anche questa creatura, come tutti noi, verrà nella vera vita."

Ktobre parlava da grande oratore e ripensò a quanto il suo maestro gli avesse insegnato, si chiese se anche lui sarebbe stato così in gamba. Non appena il cerchio del popolo riprese la sua funzione, si accovacciò e si rivolse al bambino in tono gentile:

"Come ti chiami?"

"Shomae." Era ancora terrorizzato.

"Bene, Shomae. Tra poco sentirai un po' di dolore, ma non ti preoccupare e stringi i denti. È per salvarti e si vede che sei forte. Poi andremo insieme da mamma e papà, d'accordo?"

Ebbe pietà per quel povero disgraziato e, sorridendogli, afferrò il ferro rovente.

Un fulmine invase quel luogo sacro e un resh be'th avvoltoio, con un gonnellino di cuoio, si frappose tra lui e il bambino in una nuvola di polvere caotica. Il viso del rapace, rigato da lacrime rabbiose, si accartocciò fino allo stremo. Le ali castane erano tese per l'ira. In quell'attimo di stupore, le zebre riconobbero la linea rossa sul suo occhio e gridarono:

"Tembairi!"

Il panico si impadronì della comunità. Altri resh be'th dalle affinità più diverse caricarono quel cerchio di zebre dopo aver dato alle fiamme e saccheggiato il loro accampamento: attaccarono indistintamente sia uomini sia donne. Dietro il massacro e la depredazione, si avvicinò, calmo e attento, un rinoceronte con in braccio la cormorano uccisa, Moerat. Questo era il suo nome.

"Chi è stato?"

Urlò strozzato l'avvoltoio. Un tuono partì dalla sua mano verso il cielo: il rumore fu assordante e il cielo sembrò rompersi.

"Chi?"

Ne partì un altro, era fuori di sé dalla rabbia. Tutti rimasero in silenzio e a terra a guardare quel tembiari furente senza sapere cosa stesse dicendo. Poterono solo tapparsi le orecchie e rannicchiarsi dalla paura quando le scariche abbandonavano la sua mano. Pregarono il toro che quell'orrore finisse al più presto. Ktobre vide sé stesso e quella scena da lontano, riconobbe il corpo tra le mani del rinoceronte appena giunto.

Leitil.

Provò a supplicare il toro celeste per il perdono, ma abbandonò subito la redenzione. I suoi pensieri si riempirono di contraddizioni: voleva fuggire e voleva restare, voleva vivere e voleva morire, voleva amare.

Leitil, mi dispiace.

Idee confuse su vita, morte, punizione, avi e oblio lo dominarono.

Arrivo.

Nascose il piccolo dietro di sé e, con le lacrime agli occhi, si inginocchiò davanti all'avvoltoio.

Arrivo.

"Tu..."

Il tembiari non riuscì a dire nient'altro, gli sembrò di vedere il sangue della sua Moerat su quella zebra. Urlò quanto più forte poteva contro quel mostro assassino, nessuno osò intervenire. Ktobre allargò le braccia e, nel momento in cui vide la disperazione negli occhi di quell'avvoltoio, vestito come Leitil, toccò la verità.

Scusa Leitil, io non sapevo.

Un fulmine gli trafisse il petto, bruciandogli il cuore.

Etark, l'avvoltoio, si lasciò cadere a terra. Strinse con entrambe le mani una logora statuetta di legno raffigurante un resh be'th cormorano.

"Avresti dovuto proteggerla" sussurrò tra sé.

I due sacri, ripresi dallo spavento improvviso, cercarono di afferrarlo in quell'istante; accorse anche il padre di Shomae per prendere suo figlio e fuggire con la moglie il più lontano possibile. Etark tornò rabbioso e le tre zebre caddero sotto la forza del suo otzi. Zampilli elettrici si diffusero nelle venature del terreno.

La folla aveva preso a scappare in maniera scomposta nel tentativo di salvarsi, mentre i pochi coraggiosi imbracciarono bastoni e pietre. Fu tutto inutile. In pochi secondi, il silenzio avvolse quella conca insanguinata. Solo le vacche dipinte si salvarono e furono radunate da alcuni tatuaggi rossi.

Il volto del padre esanime impressionò a tal punto Shomae che divenne una statua di sale, sua madre era appena arrivata in soccorso del marito e cercò disperatamente di fare qualcosa.

L'avvoltoio, tornando brevemente in sé, inorridì davanti a ciò che era diventato. Si ritirò fuggendo da sé stesso e da Moerat, arrivata in braccio al rinoceronte. La piccola statuetta fu gettata e abbandonata a terra, aveva delle piccole bruciature.

Il rinoceronte depose rammaricato la sua amica sulla roccia e diede ai suoi gregari l'ordine di seppellire in punti ben precisi chiunque avesse perso la vita. Guardò la sua compagna gazzella, ansimante per il combattimento, e le fece cenno di consegnare dei semi da piantare sopra i tumuli: avrebbero preso in custodia anche quel luogo. Si avvicinò alla madre di Shomae, l'unica a essere rimasta in quella conca di morte assieme a suo figlio. Lei lo guardava disperatamente furibonda.

Davanti a una vedova e a un orfano, due lingue così diverse coincisero senza comprendersi mai.

"Mi dispiace, non doveva succedere."

"Perché ci avete attaccato? Cosa vi abbiamo fatto di male?"

Abbassò lo sguardo dispiaciuto e notò qualcosa.

"Cosa vuoi fare al mio bambino? Allontanati subito. Lascialo stare. No, no. Ridammelo. Mettilo giù. Shomae. È mio figlio."

Le urla dei due erano strazianti. Il rinoceronte si meravigliò per l'otzi del piccolo e, nonostante si odiasse per ciò che stava facendo, voleva farlo sbocciare.

"Avrà il suo posto nel mondo. Sarà con chi ha un dono come il suo."

Pose una mano sulla testa della donna che cercò in tutti i modi di divincolarsi per riprendere suo figlio. Era così vicino.

"Raggiungi i fuggitivi, sono diretti a Est e comunica loro queste parole nella tua lingua: possiamo vivere con gli altri, non dobbiamo continuare a isolarci."

La zebra rimase immobile per qualche secondo con l'espressione persa, le braccia penzoloni. Si rivolse a Est e cominciò a camminare salutando con il braccio. Possedeva una calma innaturale.

"Ciao, piccolo mio. Puoi vivere con gli altri, non hai bisogno di isolarti. Ti voglio bene."

Sorrise e una lacrima le rigò il viso. Si allontanò accompagnata dalle grida del suo bambino.

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