Capitolo 33
2 Mo'hg Ba'haral 1842 – Monte Haksh; Haksh
La prima giornata di allenamenti era ormai finita e Ak'uira non vedeva l'ora di potersi riposare nel suo letto. Era esausto e i suoi muscoli tremavano a ogni passo che faceva verso il sentiero che conduceva all'interno del monte. Pensò di non lavarsi e nemmeno di mangiare, volle solo distendersi e lasciar penzolare le sue ali dal giaciglio.
"Parliamo un attimo."
Fu fermato da Baharas mentre gli altri cinque guerrieri scivolavano, ciondolanti, tra le rocce a gradoni in direzione della grotta. Il falco aveva appena raggiunto l'aquila e si sedette a terra incrociando le zampe, voleva iniziare una conversazione confidenziale, ma il ragazzo si sentì lo stesso sotto esame.
Il maturatore lo squadrò a lungo durante gli attimi in cui si accasciò il meno goffamente possibile accanto a lui. Le gocce di sudore continuarono a scendere copiose dalla fronte del giovane resh be'th e a percorrere i nuovi solchi dettati dal gonfiore dei suoi muscoli. Ak'uira tentò di asciugarle con l'avambraccio, madido anch'esso.
"Hai mai volato prima d'ora?" chiese il falco in cerca di un primo riferimento per comprendere l'anomalia del ragazzo.
Vide uno stupore infastidito, come se quella domanda fosse stata inopportuna e troppo personale, ma il ricordo della confessione mitigò quell'espressione.
"Ho avuto un brutto incidente alla mia prima esperienza di volo."
In qualche modo cercò di tagliare corto, dare l'informazione e andarsene, però la mano di Baharas, seppur appena appoggiata sulla sua spalla, gli stava palesemente comunicando che la conversazione non era finita.
"Capisco... Eppure, non sembrano avere deformazioni o essere deboli." Tirò indietro il suo corpo per osservare ancora una volta la schiena del ragazzo.
Le sue ali erano perfette: la piega mostrava un angolo giusto e proporzionato, le piume copritrici erano lucide e in ottimo stato riuscendo a creare anche un'intricata geometria estetica che ipnotizzava e affascinava. Per un secondo, invidiò quelle rachidi e intaccature, ma rise tra sé per l'ironia.
Il ragazzo spiegò come il padre lo avesse obbligato ad allenarle e a fortificarle sbattendole durante le corse giornaliere tra i campi di Harsha. A quella risposta il maturatore abbandonò la presa comprendendo che il blocco di Ak'uira fosse facilmente risolvibile e, per certi versi, sciocco; lo stava lasciando andare, ma si rese conto di non aver visto le sue ali agitarsi, né di aver sentito il loro battito: non c'era nessuna penna scompigliata. Pose l'unica domanda in grado di metterlo a nudo e in grado di costringerlo a confrontarsi seriamente con sé stesso.
"E perché oggi non le hai allenate?"
La giovane aquila scrutò negli occhi del falco lo stesso disappunto e la stessa serietà di Aethrei, si sentì un bambino.
"Volevo evitare che gli altri facessero domande" rispose atono e in completo disagio.
Distolse lo sguardo e fissò il panorama in penombra del ge'th per cercare di coprirsi e di nascondersi dagli occhi rapaci del maturatore. Odiava vergognarsi, ma soprattutto odiava non essere all'altezza delle aspettative che si era creato e che la famiglia gli aveva cucito addosso. Stava cambiando: si era sentito così tante volte un dio e una nullità in quelle due giornate che perse l'orientamento. I suoi ideali furono distrutti dalla sua inadeguatezza e la sua inadeguatezza aveva piegato la sua strada. Iniziò a lottare per mantenere attaccati i pezzi della sua maschera d'orgoglio, sbagliando miseramente il sentiero da seguire.
"Invece dovrai aspettartele e dovrai rispondere." Le parole di Baharas bruciarono come uno schiaffo. "È inutile nascondersi. Se questa cosa ti fa stare male, usa il dolore come motivazione. Sei un'aquila! Non puoi permetterti di non volare," attese che il ragazzo metabolizzasse. "Questo è il maturamento e sta a te affrontarlo con serietà e responsabilità. Io non ti conosco ancora, ma quello che posso dirti è che l'avere sfide maggiori non ti giustifica dal non affrontarle o dall'impegnarti come gli altri, dovrai lavorare di più. Sai focalizzare?"
Ak'uira scosse la testa.
Un'altra mancanza.
"Da domani spargerò in questa piana cento spilli. Il tuo compito è individuarli con i tuoi altri occhi durante gli allenamenti. Quando li avrai trovati tutti, faremo dei tentativi di volo. Ora va' a riposarti: questa notte sarà molto dura per voi."
Il ragazzo rimase lì, con un manto di vergogna a coprirlo dal vento. Il maturatore decise di lasciarlo a sé stesso: tentò una pacca sulla spalla, ma cambiò idea. Mentre si allontanava, capì che l'aquila aveva ancora molta strada da fare. Eppure, le vette di cui era capace erano davanti ai suoi occhi.
Terminata una cena insolitamente silenziosa, caratterizzata da intolleranze tenute a stento a freno, i giovani otzici si diressero nelle proprie stanze, ignari di quello che sarebbe accaduto loro quella notte.
I maturatori, ben consapevoli del mio ritorno, si incontrarono in segreto nella sala comune per prepararsi mentalmente. La luce tenue delle fiaccole e l'odore della reliquia contribuirono ad amplificare l'aura spettrale della cavità. Gli sguardi cercarono di rincuorarsi erano invasi da un immotivato senso di colpa; si presero per mano e si salutarono esorcizzando quella notte:
"Non dimenticare e prosegui il tuo cammino".
Pregarono affinché l'incubo non fosse cruento come il risveglio e, non appena capirono fosse iniziato, camminarono fino alle loro camere in una lenta e inesauribile processione.
Sapevano che i ragazzi, dopo aver sperimentato per un giorno intero le potenzialità del proprio otzi, sarebbero stati avvolti ancora una volta dal mio spirito. Questo incontro si verificò nei loro sogni, ma furono catapultati nuovamente nelle loro ansie e paure.
Per migliaia di anni ho cercato le ragioni del perché vivessero quei momenti senza mai riuscirci: non volevo farli soffrire di nuovo.
Gli abitanti della capitale ancora svegli potevano udire un sottilissimo e impercettibile eco delle urla che caratterizzarono la nottata. Per tutta Haksh girava la voce che chi fosse stato in grado di sentire chiaramente un grido, avrebbe potuto esprimere un desiderio. Per loro quelle erano 'urla nobili' e, a ogni maturamento, si radunava una piccola folla all'imbocco del sentiero principale del monte per cercare di carpirle. Resh be'th di ogni età vi accorrevano per i motivi più disparati: fortuna in amore, nel lavoro, ottenere questo o quello. Un gufo, circa trent'anni prima, chiese un figlio per lui e sua moglie: sebbene con anni di ritardo, questo figlio arrivò.
All'interno delle nicchie cavernose nessuno si era mai svegliato: i giovani otzici erano come intrappolati all'interno di sé stessi e il loro sonno era inqueto e tormentato. Ammetto che fui molto duro e cruento, ma il destino che li aspettava era grande e, fortunatamente, si rivelò essere la scelta giusta. Non avrei potuto fare nulla per il male che si stava agitando nel mondo e – ripeto – non era mio compito intervenire. Paradossalmente, fu solo la mia violenza a salvarli; purtroppo non tutti.
In quel momento, neanche i cunicoli dei tre picchi si rivelarono essere un luogo sicuro. Un resh be'th si diresse verso l'uscita del monte dopo essere sgattaiolato tra i vari cunicoli. Era insensibile alle grida di agonia e di terrore, e percorreva i corridoi passando la sua mano sulle pareti illuminate per leggere la storia di Haksh con interesse annoiato.
Appena fuori, respirò a pieni polmoni quell'aria notturna e guardò il sottilissimo arco della luna coperto da una timida nuvola di passaggio, era simile alla chioma di un albero. Rivide, in quell'immagine, la gloria del suo ge'th.
Estrasse dalla tasca un piccolo piccione di legno, lo avvicinò al volto e iniziò a parlare in una lingua straniera:
"L'iniziazione è cominciata senza intoppi e nessuno sospetta nulla, sono riuscito a entrare facilmente nel ghet anche grazie a un aiuto inaspettato. Da domani cercherò di reperire informazioni sul mandato. Ho individuato due ziyandi e farò di tutto per non farli notare se non quando sarà troppo tardi, sono sicuro fiaccherà il regnante di Haksh. Ah, dimenticavo: ho introdotto anche una zebra tra gli iniziati, ho pensato che, magari, potesse essere utile destabilizzarli fin da subito. Resto a disposizione per qualsiasi cosa".
Strinse il modellino tra le mani e diede un comando. Quando le aprì, questo si mosse, imitando la vita, fino a prendere il volo. Quel messaggio fu l'inizio della fine dell'Eternità.
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