10 Mo'hg Ghar 1842 – villaggio Eshm'ar; Haksh
Durante il funerale di Thairil, Ishmo'l e sua moglie parlarono del vecchio cobra con immensa commozione; lo ricordarono come un grande capo villaggio. Ishmo'l giurò che avrebbe fatto il possibile per essere all'altezza di suo padre.
L'anziano resh be'th aveva espresso il desiderio di essere seppellito su una piccola collina poco distante dal villaggio; finché la terra non avesse compiuto il suo giudizio, avrebbe guardato il mulino nel quale lavorò da giovane. Era convinto si sarebbe reincarnato in una lucertola: la punizione che immaginò gli avrebbe concesso il dono delle gambe. Da quando aveva conosciuto la verità su di me, smise di credere a tutto, ma le zampe della lucertola rimasero un grande sogno sporcato da un non precisato rimpianto.
Mentre alcuni popolani, coadiuvati da un giovane leone, devoto accolito del sacerdote Lath, stavano sistemando il cobra nella sua fossa tramite una barella e delle funi, Ishmo'l osservò vendicativo il punto in cui Zahirile strappò il cuore del padre. Sua moglie aveva pensato bene di riempire il vuoto con della paglia e di abbottonare la bianca camicia di seta fino all'attaccatura del cappuccio da rettile, anche se il suocero la detestava; diceva che lo faceva soffocare.
"Se c'è una cosa che ho imparato da lui," disse l'orfano con gli occhi gonfi "è stata la magnanimità. Si è sempre sacrificato per tutti noi fino all'ultimo giorno. Ricordo che mi incoraggiò a non arrendermi con mio figlio, nonostante il suo essere testa calda poteva fare qualcosa di buono. Purtroppo, non siamo riusciti a capire la malvagità che albergava nel suo cuore."
Il pugno che premeva sul petto commosse coloro che erano venuti a salutare per un'ultima volta Thairil, ma, quella del cobra, era solo rabbia repressa mascherata da dolore.
"Questa notte mi sono apparsi in sogno i Sei in tutto il loro splendore. Hanno ripetuto ciò che diceva mio padre: non arrenderti con tuo figlio. Il significato è chiaro: devo perdonarlo per ciò che ha fatto. È anche lui un figlio del Monte, ha solo perso la strada."
Quelle parole gli costarono una grande fatica; trovò la forza nella consapevolezza che a Zahirile sarebbe spettata una punizione molto più soverchiante di quella che avrebbe potuto infliggergli lui.
"Mio padre gli voleva un gran bene e cercherò di impegnarmi per essere come lui. Sarà un percorso difficile, ma so che voi mi sosterrete. Perdonare mio figlio porterà la benedizione dei Sei e il nostro villaggio non potrà che trarne giovamento. Lo giuro come vostro nuovo capo villaggio."
Detto questo, guardò ancora una volta la salma del resh be'th che lo aveva amato e poggiò una mano sulla lapide esagonale, testimone di pietra del nome di suo padre. Si ritirò, non riusciva più a guardare nessuno in faccia. Sentiva di esplodere dentro per l'intruglio tossico di dolore, rabbia, vendetta e sottomissione che era stato costretto a bere.
Fu la sua compagna a continuare il resto della cerimonia assieme a Lath che, con la bocca serrata e la braccia conserte, recitava un affettuoso quanto formale cordoglio. Vedere resh be'th scossi dal discorso di Ishmo'l lo gratificò. Tutto stava andando come previsto: manifestare sentimenti positivi verso colui che credevano essere un criminale non fece che inasprire la rabbia e il rancore verso Zahirile. Con la sua oratoria continuò su quel versante.
Perfetto! Adesso manca solo la mossa di Shoudhe.
"Per concludere, proclamiamo insieme la preghiera dei Sei, che accompagni il nostro fratello Thairil nel Mo'beh."
"Proteggetelo nel lungo giudizio, consolatelo nel lungo sonno, non abbandonatelo alla paura.
Affidiamo a voi la sua anima così che possa rinascere e seguire con spirito rinnovato i vostri insegnamenti.
Intercedete per lui, mostrate all'occhio la sua bontà.
Pregate per lui, mostrate all'occhio la sua purezza.
Pregate per noi, mostrate all'occhio il nostro dolore.
Fate che la nostra supplica non resti incompiuta." Fu un'assemblea molto sentita.
Inumato il corpo e dispersi i resh be'th, Lath accompagnò in silenzio e fingendo confidenza la moglie di Ishmo'l a casa, era suo dovere di sacerdote. Quando si trovarono ad alcune lance di distanza dall'abitazione, videro la porta già aperta. Ciò parve strano a entrambi al punto da scambiarsi uno sguardo preoccupato.
"Finalmente siete tornati!"
Quella voce non era di Ishmo'l, era diversa ma simile allo stesso tempo. Aveva un retrogusto passato, come un vecchio cimelio dimenticato e impolverato. Il tono era invadente e acido e l'impazienza, con cui la frase venne pronunciata, amplificò quelle sensazioni.
Theha'l si palesò gioioso non appena entrarono; Ishmo'l era paralizzato su una sedia: il capo villaggio era tenuto in ostaggio dal compagno serpente del cobra. Lo scrutava acciambellato sul suo collo.
"Come hai fatto a tornare?" Lath era visibilmente spaventato e parlò d'impulso, senza notare il suo burattino imprigionato.
"Qualcuno mi ha aiutato, ma basta parlare di me. È una così bella giornata. Il vecchio è schiattato, quindi sono di buon umore. Prego, non state sulla porta, accomodatevi. Dopo tutto, questa è ancora casa mia, giusto Ishm'ol?" Era galvanizzato per ogni singolo aspetto di quella situazione.
Il sacerdote e la resh be'th chiusero la porta alle loro spalle e si sedettero insicuri attorno al tavolo. La scarsa igiene e l'odore di fumo, che caratterizzavano Theha'l, contribuì a rendere l'atmosfera ancora più ansiosa e imprevedibile. Ishm'ol era estremamente preoccupato, conosceva la pazzia incarnata dal fratello: strinse le mani di sua moglie. Erano diventati tutt'un tratto dei prigionieri, non sapevano cosa dire o fare. Sudarono freddo immaginando una morte ormai vicina.
"L'ho sempre saputo che vi sareste sposati... " Agitò il palmo aperto in direzione della resh be'th come per chiedere aiuto. "Aspetta, lo so. Kesh'ara! Venivi sempre a casa quando eravamo ragazzi e non gli toglievi mai gli occhi di dosso. Vorrei mi presentassi una tua amica, non sai quanto ho bisogno di qualcuno." Si morse il labbro scuotendo il bacino.
"Che cosa vuoi da noi?" chiese Ishm'ol terrorizzato e frenetico cercando di allontanare da sé la lingua biforcuta dell'animale.
"Niente. Sono anni che non ci vediamo, mi sembrava giusto fare una rimpatriata. Ma quell'insignificante di nostro padre è morto prima che potessi spaventarlo ancora." Con uno schiocco della bocca richiamò il cobra e subito abbandonò la preda.
Si guardò intorno cercando un bicchiere sulla credenza, la casa era diversa da come la ricordava e si meravigliò nel vedere una piccola pompa idraulica con rubinetto, anziché un grande otre pieno d'acqua.
"Allora, com'è morto?" chiese mentre gustava quell'acqua, "Infarto? Vecchiaia? Malattie veneree?" Scoppiò a ridere sputando un po' del liquido anche dal naso.
Ishm'ol non riuscì a parlare, si rabbuiò in sé stesso abbassando la testa.
"È stato ucciso" intervenne Lath, cercando di poter mediare quella situazione delicata. Aveva mollato, era convinto che ormai il suo piano fosse andato in fumo. Le sue priorità erano cambiate: doveva arginare una valanga.
"E da chi?" chiese Theha'l con noncuranza.
"Tuo nipote."
"Mio cosa? Cioè... quindi lui?" Indicò il fratello continuando a guardare il gibbone, sempre più rassegnato.
Rise fino alle lacrime. Prese sotto braccio Ishmo'l con la confidenza di un vecchio amico e si congratulò con delle pacche maliziose.
"Quindi mi state dicendo che lui, il figlioletto adorato, ha fatto nascere l'assassino di suo padre? È esilarante!"
"Adesso basta!" tuonò Ishm'ol con il poco coraggio che aveva e cercando di scrollarlo di dosso.
"Ah, ma allora sei cresciuto. Non sei più il piccolo smidollato. Dov'era questo coraggio quando tuo padre mi insultava per questo, eh?" disse schiaffeggiandosi con violenza l'otzi sulla spalla.
La sua espressione era cambiata, adesso poteva succedere di tutto.
"Theha'l, perché sei qui?" chiese Lath, nel tentativo di distrarlo.
I due fratelli continuarono a fissarsi con occhi di sfida; fu Ishmo'l a cedere, convinto dalla moglie e dalla presenza dell'animale che iniziò a sibilare spalancando la bocca.
"Theha'l?"
"Ho bisogno di far perdere le mie tracce per un po'. Là fuori ho combinato un mezzo casino e volevo rifugiarmi qui."
Si mise a sedere sull'ultima sedia disponibile e diede dei buffetti al cobra per calmare l'agitazione di entrambi. Era un esemplare bellissimo e pericoloso; la sua colorazione marroncina del cappuccio veniva assorbita da squame progressivamente più nere, sporche di fuliggine e carbone. Era lungo quasi due lance e solo quando intimorì Ishmo'l ci si rese conto delle sue dimensioni.
"Tranquillo. Va' a prendere qualche topo." Sgattaiolò fuori con uno scatto.
"Che hai combinato là fuori?" Il gibbone iniziava a essere sempre più turbato, le dita delle sue zampe tamburellavano sul pavimento.
"Diciamo solo che ho fatto fuori chi non dovevo. Per caso avete da mangiare? Sto morendo di fame."
Chi ha ucciso questo pazzo? Non dirmi che si è imbattuto negli Zale'dh e che adesso ce li ritroviamo alle porte del ge'th.
"Chi hai... "
"E dov'è mio nipote, adesso? Sono curioso, vorrei conoscerlo!"
"Non è qui. È fuggito" disse Ishm'ol, passandosi le mani sui capelli ormai imbianchiti.
Capì non si sarebbero liberati di lui molto presto. Theha'l notò un anello con impresso lo stemma del ge'th, lo stesso che indossava suo padre molti anni fa e che si imprimeva ogni volta sulle sue guance. Una rabbia perversa avvampò per poi essere nuovamente risucchiata all'interno.
"Ma quante novità! Sei diventato capo villaggio? Congratulazioni."
Ishm'ol e Lath si scambiarono un'occhiata furtiva.
"Non ci credo. Qui c'è qualcosa che non quadra. Cosa state architettando voi due?" Fu curioso e maligno.
Entrambi sprofondarono ancora di più nello stallo in cui erano incappati. Non sapevano cosa fare: rischiare mentendo o bruciare il piano dicendo la verità. Un piccolo germoglio di giustizia li convinse ad abbandonare la partita e a raccontare del perché Thairil fosse stato ucciso e perché Ishm'ol fu fatto capo villaggio.
"Bene, voglio guadagnarci anch'io" si rilassò Theha'l. "Allora, questo cibo?"
La moglie di Ishm'ol fu invitata a preparare qualcosa da mangiare.
"In che senso vuoi guadagnarci anche tu?" chiese Lath. Devo giocare bene le mie carte altrimenti non solo la mia carriera, ma tutto il ge'th rischia grosso. Devo riuscire a tenerlo buono.
La donna portò qualche tozzo di pane e del formaggio che aveva nella dispensa. Non appena poggiò il vassoio sul tavolo, sentì qualcosa salirle lungo la schiena e avvolgerla; il cobra si era cinto sui suoi fianchi e urlò spaventata.
"Lei è il topo." Prese del formaggio e lo gustò. "Per Haksh! Ma è buonissimo, posso finirlo?"
Era in estasi e iniziò a parlare con la bocca piena:
"Allora, Ishm'ol ha ottenuto il titolo vendendo il suo silenzio. Tu cosa guadagni?"
Il gibbone era con le spalle al muro, cercò di poter salvare il salvabile, ma dovette confessare tutto; Ishm'ol si sentì tradito.
"Maledetto. Ecco qual era il tuo piano! Non pensavo fossi così meschino. Giocare sulla..."
Theha'l bloccò il fratello indicandogli la donna con il serpente in vita.
"A lui piace mangiare ratti e credo che a te interessi la vita di questo topo, quindi sta' zitto. Mi irriti. Allora: tutti e due state facendo carriera sulle spalle del vecchio e di mio nipote... Mi piace!"
Diede un pezzo di pane ai due.
"Hai qualcosa di forte da bere? Vorrei brindare!" disse con sfiducia, rivolgendosi al topo.
"Non c'è niente da festeggiare" sibilò Ishm'ol a denti stretti.
"Oh sì, invece. Tu continuerai a essere capo villaggio. Congratulazioni! E lui avrà buone probabilità di diventare il prossimo governatore se non dirà della mia presenza qui. Io voglio solo conoscere mio nipote e portarlo con me. Ha di sicuro più palle di voi per aver agito in modo diretto e senza giochetti."
"Non te lo permetterò, siete un grave pericolo per Haksh" tuonò il sacerdote, cercando di riavere un ruolo in quell'assurda trattativa.
"Dai non iniziare questa pantomima, lo sai che non avete scelta. Il topo tiene a freno questo smidollato, mentre per tenere a freno te basta la mia sola presenza."
"Tu non hai nessun diritto qui! Io sono il sacerdote del culto dei Sei. Una mia parola e tu verrai ucciso in men che non si dica." Lath si alzò in piedi, mostrandosi furioso.
Theha'l continuò a mangiare guardandolo con accondiscendenza.
"Sì, sì. Io, mio, io. Tutte chiacchiere inutili. Voi tre siete ancora in vita solo perché sono di buon umore. Non roviniamo una così bella giornata. Sai di non avere nessuna possibilità di fermarmi. Se volessi potrei anche arrivare in cima al monte e dire a Lebhras come ti piacerebbe avere il suo posto. Quella vecchietta ne morirebbe dal dispiacere: è ancora viva, giusto?"
"È morta quindici anni fa" lo informò il gibbone sconfitto. Si lasciò cadere sulla sedia e si prese qualche momento per pensare, ma non vedeva vie d'uscita. "Cosa vuoi che faccia?"
"È morta? E chi è il governatore ora? Comunque, voglio solo sapere dove si trova mio nipote."
"Molto probabilmente si starà dirigendo a Haksh per fare il maturamento" si intromise Ishm'ol.
"E il governatore Shoudhe lo accoglierà di sicuro" concluse il sacerdote.
"Shoudhe è il governatore? Ops."
"Che vuoi dire?" Cercò di capire Lath.
"No, nulla. Quindi mio nipote vuole fare il maturamento. Ma è magnifico." Theha'l prese la bottiglia di vino che Kesh'ara aveva portato. "Avevo ragione a dire che c'era bisogno di festeggiare. Possiede addirittura un otzi!"
"Ma perché non ci lasci in pace?" sbottò il fratello.
"Ma io vi lascio in pace. Se voi vi comportate bene io non farò nulla. Resterò qui a casa nostra finché mio nipote sarà al maturamento. Dopo tutto, si tratta di resistere neanche una luna, se non sbaglio. Appena toccherà il Samath verrà cacciato e finalmente le nostre strade si separeranno. Comportatevi come se io non ci fossi e nessuno si farà male."
Il serpente allentò la presa sulla donna per fiondarsi dietro la porta d'ingresso. Qualcuno bussò ed entrò.
"Capo Ishm'ol, volevamo dirle che. Oh, scusate. Non sapevamo avesse ospiti."
"Prego, entrate, non state sulla porta. Sono un vecchio amico di Ishm'ol e sono arrivato appena ho saputo della sua perdita" disse Theha'l mestamente, per poi sorridere al fratello e a Lath.
Gli era sempre piaciuto giocare con le persone, in quel periodo si divertì moltissimo.
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