Capitolo 13
1 Mo'hg Ba'haral 1842 – Haksh
La guardia Katthe rientrò, poco dopo, nel salone accompagnata da un resh b'eth rinoceronte; messi a confronto il suricato sembrava un bambino, tale era la grandezza del governatore. Due corni scuri erano posti sulla sua testa calva e un importante pizzetto grigio allungava il suo viso arrotondato da pasti abbondanti. Era vestito in modo molto semplice per quello che doveva essere il suo ruolo: senza toga o un completo, indossava una semplice camicia imbottita e dei pantaloni arrotolati sulle ginocchia; sembrava un pastore, anziché il resh be'th più importante del ge'th. Si posizionò al centro della stanza nel silenzio più totale, sollevò la sua enorme mano in segno di saluto e, con un sorriso che coinvolgeva l'intero volto, parlò ai ragazzi.
"Salve a tutte e tutti. Il mio nome è Shoudhe, sono il governatore di Haksh, nonché preside del maturamento."
Ammirò per un secondo quei giovani resh be'th davanti a lui; sapeva che il loro numero fosse elevato, ma vederlo con i propri occhi fu toccante.
"Siete meravigliosi. È bello vedere dei ragazzi così promettenti qui, oggi. Immagino proveniate da diverse parti del ge'th. Lasciate quindi che sia io ad accogliervi ufficialmente in questa splendida città, donataci con il sudore dei nostri avi e dei nostri fondatori. Vi porto anche i saluti del sacerdote Lath che purtroppo non è potuto venire; ci teneva moltissimo a essere presente, ma degli impegni a nord lo hanno trattenuto. Ciò non toglie che abbiate la sua benedizione e quella dei Sei."
Eseguì un cerchio con la mano, era il loro gesto di rispetto, gli altri lo ripeterono.
"Come mai siete in questo luogo, per molti lontano da casa? Avete delle grandi capacità nascoste dentro di voi ed è vostro compito farle emergere e saperle usare tramite il nostro aiuto. Nelle vostre vene scorre il sangue dei Samath, nostri progenitori ancestrali."
Vide Zahirile.
"Dimostrerete a voi stessi e al mondo intero – siamo stati fortunati che Lath non sia qui – di essere capaci e degni di questo dono che il tempo e il fato vi hanno concesso." Divenne empatico e impostato, "Siete il nostro futuro e la nostra speranza: siete la nuova élite."
Indicò una porta decorata in ferro battuto alle sue spalle.
"Dietro di me, si apre il cammino che ci condurrà nella bocca del monte che veglia su tutti noi. Il nostro sangue ribolle nell'avvicinarsi a esso e risveglierà in voi un senso molto caro ai nostri antenati Samath. Non preoccupatevi se avvertirete una sensazione di disagio, è solo il vostro io interiore che si sta risvegliando."
Guardò la sua platea per vedere se era stato chiaro, notò Ak'uira rivolgere un sorriso entusiasta al cobra.
"Direi di non perdere tempo e di metterci subito in marcia".
Con la sua mano possente spalancò la porta e si avviò per un nuovo sentiero, identico a quello già percorso in precedenza dal gruppo. Scoprendo i ragazzi un po' spaesati, fece cenno loro di seguirlo.
Iniziarono a camminare vociferando; Hatsei fu insultato da Re'ema e Bhasra per il lungo cammino che erano costrette a fare nonostante la stanchezza: anche lui si pentì delle proprie scelte. Ak'uira era sempre più orgoglioso ed emozionato. Durante la passeggiata scoprirono che l'essere la nuova élite di Haksh voleva dire prendere, un giorno, il posto dei maturatori e del governatore.
"Siamo gli unici in grado di prendere decisioni per il bene di tutti. Gli altri, i non otzici, non potrebbero governare come faremmo noi" spiegò un tapiro tronfio, dimenticando di venire anche lui da una famiglia umile.
Sentire la parola non otzico infastidì Saho're e Ak'uira, per loro la saggezza non risiedeva nel come si fosse venuti al mondo; non si intromisero nella discussione. Hatsei pensò invece alle implicazioni di quella frase: avere un otzi si stava rivelando determinante per la direzione che il ge'th avrebbe preso. Immediatamente si spiegò il perché di tutte quelle feste nei villaggi attraversati e la benedizione della lunga primavera: gli otzici erano quelli che facevano prosperare Haksh. Dedusse quindi che anche il suo borgo fosse stato creato per mano di un otzi.
Il piccolo bosco in cui correva il sentiero forniva una piacevole ombra a quella carovana che riuscì a tenere un passo sostenuto per il primo tratto; massi e ghiaia resero però la strada più dura e difficile. Dopo un'ora di cammino la fine del bosco era a portata di mano, per cui il preside Shoudhe decise di fare una pausa. Nessuno si era avvicinato a parlare con lui, era consapevole di incutere un certo timore reverenziale, ma, in fondo, sperava di poter avere più confidenza con i ragazzi come quando fu un maturatore.
"Ci fermeremo in questo spiazzo per riprendere fiato e mangiare. Non vi preoccupate, al pranzo abbiamo pensato noi." Si guardò attorno, "Devo solo trovare... dove l'ha posizionato. Voi intanto sedetevi e riposatevi, la strada è ancora lunga".
Non appena i ragazzi si sedettero a terra, il rinoceronte continuò la sua ricerca. Afferrato un pugno di terra polverosa, prese a gettarla in tutte le direzioni in maniera casuale, finché non vide una di queste manciate rimanere sospesa. Soddisfatto, scoprì da un manto invisibile un cumulo di cesti di pane al miele e delle sacche di cuoio piene d'acqua. Ora i ragazzi potevano mangiare: in un'ora sarebbero ripartiti.
Tutti si accalcarono sul proprio cesto, ansiosi. A Shoudhe piaceva notare quelli che si mostravano calmi, sarebbero stati loro a fare la differenza e di solito aveva buon fiuto. Hatsei fu tra i primi a prendere il suo bottino, assieme a Re'ema che lo alzò in segno di vittoria. Saho're aspettò il suo turno nella calca con Zahirile, Bhasra era al loro fianco: la sua timidezza la faceva esitare. Un sorriso malinconico fu il commento dell'ex maturatore.
Ak'uira era ancora a sedere in attesa e, poco distante da lui, un altro. Il governatore non riuscì a capire se si trattasse di un ragazzo o di una ragazza, era completamente avvolto da un lungo mantello nero con delle piccole scuciture; il suo viso era all'interno di un cappuccio decorato da trame lineari dorate mai viste prima a Haksh.
Le mode dei giovani non le capirò mai.
Solo una piccola parte degli zoccoli era rimasta scoperta e, dalle striature bianche e nere, capì si trattasse di un okapi. Non disse nulla a quel giovane, dopo tutto, quella che stava affrontando era l'ultima prova, ma era curioso di sapere perché portasse ancora un cappuccio.
Non sentirà caldo? Boh
Ak'uira prese entrambi i due cesti rimasti e ne pose uno all'okapi. Shoudhe intuì che i due non si conoscessero e quel gesto fu per lui un grande segno di rispetto e di umiltà.
Quell'aquila mi piace, però conosce il cobra...
L'okapi ringraziò diffidente e cercò comunque di nascondersi alla vista coprendosi il volto. Restò isolato durante il pranzo, ma ormai anche gli altri lo avevano notato: fu lasciato in pace.
Finita l'ora di riposo, Shoudhe invitò i ragazzi a proseguire il cammino oltre il bosco ormai terminato. Il sole era ancora alto nel cielo e guardava la salita di quei resh be'th assieme ai tre picchi del monte Haksh. I giovani erano stanchi, ma sembravano non demordere al momento. Proseguendo lungo quel pendio roccioso, avrebbero potuto godere da vicino del magnifico spettacolo presente solo su quelle cime. Una volta giunto il tramonto, la sfera celeste entrava in contatto con le vette e, se la giornata fosse stata favorevole, avrebbe illuminato una piccola cortina di nebbia che le contornava. L'effetto rendeva il sole simile a un occhio protettore. Per loro era il segno tangibile della presenza divina nella montagna stessa.
Nonostante la loro ingenuità, la fede che gli hakshiani provavano era sincera; non credo che Aleph sia stato adirato con Haksh e con gli altri. A volte mi domando se non sia stato proprio Lui ad aver architettato queste meraviglie appositamente per essi. Oltre all'occhio del monte, ci sono la cascata rossa, i fulmini perenni e la foresta di pietra, per citarne alcuni: ogni ge'th ha una sua meraviglia che, in qualche modo, ha contribuito a forgiarli.
La fatica non smetteva di mordere le gambe e, dopo un tempo che sembrò loro interminabile, si trovarono davanti a un vecchio ponte cigolante fatto di legno e corda; danzava con le raffiche di vento. Sotto c'era un dirupo profondo moltissime lance e dall'altra parte s'intravvedeva l'inizio di un altro sentiero: il monte sembrava ancora lontano.
"Non vi preoccupate, è sicuro. È stato restaurato 500 anni fa e non è mai successo nulla" rassicurò ridendo Shoudhe, mentre iniziava a percorrere quella sottile linea tavolata.
Quella frase puzzò come l'inizio di una tragedia. In fila e molto cautamente, ognuno si apprestò ad attraversarlo. Alcuni resh be'th uccello decisero invece di aggirare il problema volando.
"Come mai non voli anche tu, Ak'uira?" chiese Re'ema dietro di lui.
"Lascialo stare" si intromise il cobra, la bisonte lo squadrò interrogativa. Confermò i suoi sentori: non le stava simpatico.
"Non ti preoccupare, Zahirile. Comunque, non c'è un perché. Preferisco camminare" risolse l'aquila, sperando che la domanda cadesse nel dimenticatoio. Fu però subito chiaro a tutti perché non volasse.
Un'improvvisa folata spinse via i resh be'th che tentarono di superare il ponte in volo. Le loro ali vennero sottoposte a uno sforzo enorme e rischiarono di perdere il controllo da un momento all'altro. La potenza del vento variava sia nella velocità sia nella direzione: essere scaraventati era solo questione di attimi. Con immensa fatica, tornarono tutti all'inizio del ponte per riprendere fiato e per calmarsi dallo spavento ricevuto.
In molti, e non solo tra gli uccelli, pensarono che Ak'uira avesse previsto quella situazione; ciò rinsaldò gli animi dei giovani, che iniziarono a incitarsi gli uni gli altri. Senza saperlo si era già guadagnato il rispetto di tutti, anche se ciò che lo premeva era non far notare a nessuno la verità. Il monte Haksh però lasciava poco spazio alle inquietudini personali, ogni cosa veniva ingoiata dallo sforzo fisico di ogni passo e, come se non bastasse, il vento portava con sé aria fredda.
"Resistete! Manca poco alla fine del ponte." gridò Shoudhe, che camminava in testa al gruppo e ogni tanto voltava il capo per vedere se fosse tutto a posto.
Una freccia attraversò il cielo. Baharas, il capo delle guardie, si era appena portato davanti al rinoceronte e continuava a librarsi in aria: il vento per lui non esisteva. Dopo una brevissima conversazione, ripartì velocissimo verso la cima. Il governatore tornò a guardare i ragazzi cercando il suo obiettivo.
Però! Si sta comportando bene per essere un imbucato.
Quel cammino si stava rivelando una dura altalena per tutti, oscillavano tra la stanchezza e l'angoscia. Si sentivano intrappolati in quel tragitto interminabile e tra di loro qualcuno prese seriamente in considerazione l'idea di abbandonare e tornare indietro, al sicuro, al caldo. Nessuno però disse nulla, ne sarebbe valso il proprio orgoglio e la propria determinazione a essere lì. In mezzo a quel sentiero di rocce, maschi e femmine condividevano lo stesso destino e gli stessi dubbi. Ogni passo era la conferma dei mille precedenti, ma l'istinto di fermarsi aveva il peso di ogni lancia già compiuta.
"Guardate!" Il preside attirò l'attenzione con un urlo che sovrastò il sibilo assordante delle folate: "Il monte ci sta osservando, rendetelo orgoglioso."
Tutto in quel momento fu estasiante: i raggi del sole, la luce, le nubi. Anche il vento sembrò essersi fermato per ammirare l'Occhio di Haksh che, in tutto il suo splendore, invitava i ragazzi a non desistere. Il suo calore si rivelò provvidenziale per terminare il percorso.
"Abbiamo soltanto poco tempo prima che finisca questo tepore" avvertì il rinoceronte, "poi dovremmo affrettare il passo poiché farà molto freddo."
Non disse quanto mancava per la fine: anche questo era parte della prova. Continuarono a salire, finché non videro del verde spuntare oltre una pendenza. Davanti a loro un albero insolito: stendeva i suoi rami secchi e nodosi lungo il terreno e le sue foglie a punta erano in completa balia delle correnti. Si sviluppava per un incredibile tratto e formava una sorta di recinto naturale per una piccola radura che, nel corso delle ere, contribuì a creare. Sotto il tronco principale, si apriva l'ingresso di una grotta dalla quale proveniva una debole luce oscillante.
Alla vista di quel chiarore o forse di quell'ingresso, Ak'uira iniziò ad avvertire uno strano odore diventare sempre più intenso a ogni passo. Voleva chiedere cosa fosse quel miasma di fango che gli invadeva le narici, ma a quell'altitudine era troppo faticoso, guardò con aria interrogativa Hatsei e Zahirile cercando di capire se anche loro avvertissero qualcosa o se era solo una sua impressione. Quella puzza doveva provenire dalla grotta. Il rinoceronte fece fermare il gruppo poco prima dell'ingresso e dispose i ragazzi in semicerchio mentre arrivavano. Si asciugò con un piccolo fazzoletto il sudore dalla fronte.
"La passeggiata di benvenuto è terminata, ragazzi. Come state?"
Nessuno riuscì a parlare, ansimavano con intensità e a stento riuscivano a mantenere una postura educata.
"Bene, vi accolgo ufficialmente al maturamento. Dovete essere fieri di voi! La salita al monte era l'ultima verifica da affrontare. È una scalata molto dura che mette alla prova la vostra volontà nell'essere qui. Spero che siate ancora convinti nel prendere parte al maturamento."
La battuta non fu capita.
"Adesso veniamo a noi. Immagino che tutti abbiate avvertito un singolo odore diventare sempre più penetrante e intenso vero?"
Un ragazzo alzò la mano. Non appena lo vide, Shoudhe poté dare libero spazio alla sua curiosità: era l'okapi incappucciato, l'imbucato che gli aveva segnalato Baharas.
"Vieni avanti, giovane e mostra il tuo volto. Non è educato nascondere il viso" ordinò con un sorriso il rinoceronte; nascose il fiatone per ufficialità.
"Chiedo scusa, governatore Shoudhe, non era mia intenzione mancare di rispetto a nessuno. Il mio nome è Shoum'e" disse mortificato, dopo essersi levato il cappuccio dal volto.
I suoi corti capelli a strisce bianche e nere tolsero ogni dubbio. Non era un okapi, era una zebra. Nella testa del rinoceronte rimbombò un'unica domanda: Cosa ci fa una zebra qui?
Tutto questo per lui era inconcepibile.
Si è veramente imbucato? Oppure è tra quelli di Gharai? Quel maledetto! Adesso si spiega perché sorrideva. Idiota! Per Haksh, ma come gli è venuto in mente?
Cercò di mantenere il massimo contegno dato che nessuno dei ragazzi, tranne Shoum'e stesso, aveva capito quale fosse il problema. Insabbiò la questione per il momento, quel resh be'th aveva una domanda e forse era il caso di ascoltarlo.
"Cosa c'è, ragazzo? Come mai hai alzato la mano?"
"Volevo dire che io ho avvertito più odori pungenti. Ho sbagliato qualcosa?" sembrava pronto a scusarsi da un momento all'altro.
Erano anni che esaminava i ragazzi e nemmeno il più promettente poteva avvertire più di un odore.
Chi è questo resh b'eth?
"Ne sei sicuro?"
"Ne ho avvertiti sei, governatore."
"Tutti e sei?!" Shoudhe si impietrì.
Gli altri iniziarono a fissare incuriositi la zebra, che cercò riparo nel mantello e abbassò lo sguardo. Ak'uira bloccava i numerosi commenti di Hatsei con ripetute gomitate, capì alla perfezione come quel ragazzo si dovesse sentire e, in qualche modo, invidiò il suo coraggio. Prima che la situazione degenerasse ulteriormente , il governatore decise di procedere come se nulla fosse, così balbettò qualche complimento verso quello strano ragazzo e invitò tutti all'interno della grotta; fuori si iniziava a gelare e doveva guadagnare del tempo.
"Shoum'e, tu vieni al mio fianco." disse il rinoceronte, mentre entrarono.
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top