Capitolo 12
28 Mo'hg Ghar 1842 - Haksh
La luna nuova non si fece attendere e all'alba il carro del maturamento fu alle porte di Harsha. Ak'uira e Zahirile erano già pronti nella stalla d'accoglienza posta all'ingresso nord; anche in quell'occasione non mancò una piccola folla di curiosi assonnati.
Joidhe era in prima fila, orgogliosa e nostalgica. Immaginò i giovani compiere grandi imprese e il pensiero la ringiovanì, al punto da tenere sollevato il bastone sul quale smorzava la sua fatica. Aveva abbandonato nelle retrovie sua figlia e il genero che mal celavano la commozione e l'eccitazione. In quei giorni, erano riusciti anche ad apprezzare il giovane cobra accolto in casa loro. Sebbene fossero stati un po' scettici nelle motivazioni e rassicurazioni di Ak'uira, Zahirile aveva saputo fare breccia nei due: aveva sopportato con grande resistenza persino le storie dell'anziana che, con un nuovo ascoltatore, erano diventate incalzanti e incessanti. Fu più che sufficiente per pagare il soggiorno presso le aquile.
Il cocchiere, un resh be'th cavallo di mezz'età, aveva una fulva barba liscia e ben curata. La sua criniera, imbiancata a tratti dall'età, possedeva invece una lucentezza particolare sotto quel sole nascente. Sembrava emanare una saggezza fuori dal comune. Fermatosi davanti ai ragazzi, si sporse per carezzare i tre destrieri che avevano trainato il veicolo fino a quel momento. Senza troppe cerimonie, invitò il cobra e l'aquila a salire mentre lui avrebbe cambiato le cavalcature. Una piccola magia automatica fece abbassare il rimorchio del carro: la folla applaudì per quel prodigio.
"Beata ignoranza!" fu il suo commento, detto fra sé e sé, non appena tornò con dei nuovi stalloni scambiati nella stalla locale.
Joidhe, raggiunta da Aethrei e M'ehi, si avvicinò lenta ad Ak'uira e Zahirile, voleva lasciarli con un consiglio che riteneva molto importante:
"Abbiate fiducia nei maturatori. Sempre."
Strinse poi le mani dei due e spalancò gli occhi per rafforzare il concetto. Ripensò alla sua giovinezza, alle sue paure, alla sua rabbia e frustrazione, all'immensa gioia di sapere chi fosse, alle amiche, all'amore, a me. Ma tutto iniziò a sbiadirsi e a perdere il suo solito colore.
"Ak'uira, quando tornerai a trovarmi?" chiese quasi sotto sforzo, cercando di ricordare un dettaglio che era sicura di sapere.
"Per il M'eha Haksh, nonna."
Era confuso, fu lei a dirgli quanto durasse il maturamento. Rivolse lo sguardo verso i suoi genitori che, con un sorriso mesto, lo rassicurarono sull'accaduto e lo salutarono per l'ultima volta.
Il carro partì con una scia di saluti rivolti ai due otzici.
Quella giornata di viaggio passò come una gazzella che salta un fosso: rapida, sicura, silenziosa. Entrambi videro per la prima volta scorci nuovi, la strada principale si rivelò essere un immenso corridoio in cui colline, fiumi e foreste si alternavano come dipinti in un ricco castello. Si accamparono subito dopo aver attraversato il secondo ponte ad arco che sovrastava il Mealk'eari: Haksh era vicina.
Con il nuovo giorno, i tre picchi del monte si mostrarono come dei giganti di cui si poteva ammirare l'altezza. Non mancò molto prima di raggiungere il villaggio di Mealk'esh, da cui uscì la strana compagnia formata da Hatsei, Saho're, Re'ema e Bhasra. I piccoli occhi grigio verdi della salamandra, ancora assonnati ma così pieni di vita, erano magnetici: in qualche strano modo mi hanno sempre ricordato lei. Scusate la divagazione.
La stanchezza del gruppo iniziava a farsi sentire, svegliarsi presto ogni mattina era sempre più duro e faticoso, ma quel giorno gli fu provvidenziale: se avessero tardato anche solo di qualche minuto, avrebbero perso l'inaugurazione del maturamento. Ak'uira fu felice di vederli e la preoccupazione che aveva svanì di colpo. Informò il signor Hesth, il cavallo cocchiere, che erano loro gli amici di cui aveva parlato; il resh be'th li fece salire.
I volti dei quattro si distesero dalla gioia nel vedere chi si trovava sul rimorchio, sembrava non si vedessero da una vita. Anche Zahirile, in imbarazzo, fu coinvolto in quei festeggiamenti di cui non capiva il motivo.
"Grazie a Haksh ci siamo incontrati al momento giusto!" disse Saho're, sollevato. Solo lui e Re'ema si stavano rendendo conto che avevano rischiato di non arrivare in tempo.
Il sole aveva iniziato ad accorciare l'ombra proiettata davanti al carro quando i sei ingressi della capitale iniziarono a essere visibili nella loro magnificenza: immensi portoni di legno, sempre aperti e protetti da sei colossi di pietra alti quaranta lance. Gli sguardi di questi giganti scolpiti erano però rivolti verso l'interno per proteggere e guidare gli abitanti con i loro vigili occhi di pietra. Il cocchio aveva imboccato la strada che conduceva verso la porta di Ahkoth la salamandra, una dei sei fondatori di Haksh. Sopra l'architrave, a caratteri cubitali, i resh be'th notarono un'incisione che riportava il nome della patriarca; ogni entrata era dedicata infatti a uno di loro.
Nonostante il caldo, la bozanj concedeva l'ombra di alcune nuvole di passaggio mentre carezzavano l'enorme montagna dietro la città. Haksh era piena di vita, resh b'eth di ogni specie ed età erano per la strada; i bambini giocavano, gli adulti conducevano i loro affari e gli anziani si godevano il bel tempo prolungato del nuovo Mo'hg Ba'haral. Un profumo nuovo li invase: era tabacco e pietra.
"Sapete dove dirigervi, ragazzi?" chiese subito il carovaniere mentre slegava i cavalli dal carro; in quel modo aveva distolto i ragazzi dalla loro fascinazione.
"In realtà no" disse Hatsei. "Potrebbe indicarci la strada?"
Dopo un cenno del capo, affidò i cavalli a uno dei stallieri e mostrò la via al licaone. Solo in quell'istante gli altri notarono che il signor Hesth, affiancando un loro compagno, non era molto alto; l'essere in cima al carro lo aveva fatto beneficiare di una bugia inconsapevole.
"Proseguite dritto lungo la via fino alla piazza principale, dopo di che, prendete il viale sulla sinistra: non potete sbagliare. Troverete un giardino recintato, imboccate il sentiero e arriverete all'edificio del maturamento."
Terminate le indicazioni, li salutò con affetto. Si era divertito molto nel conoscerli durante quel tragitto.
"Buona fortuna, futuro di Haksh. Per qualsiasi cosa, non esitate a cercarmi. Sarò al vostro servizio."
"Grazie mille per tutto" risposero, salutandolo.
Hatsei, convinto delle sue doti di guida, si mise in testa al gruppo e tentò di far osservare a tutti le bellezze e le differenze che la capitale aveva rispetto alla loro piccola città. Nessuno lo stette a sentire. Gli edifici erano molto più resistenti e ammassati, alcuni con più di tre piani. Si convinsero che questo prodigio fosse dovuto a qualche magia a loro ignota oppure, semplicemente, perché erano stati realizzati con dei blocchi di pietra molto più squadrati e piccoli rispetto a Harsha. L'atmosfera che respirarono era sempre più conturbante.
"Da noi solo i mulini sono fatti così." fu il commento del licaone.
Un'altra differenza che li stupì, era la presenza di numerose piazze. In esse si riunivano i mercanti e gli artigiani con i loro carretti e le loro botteghe; la pace e il silenzio a cui erano abituati, lì non esisteva. Appena si aprirono in quello che doveva essere il principale luogo di ritrovo della città, capirono che il punto in cui alcuni bambini, di varie specie, stavano fissando il cielo, aveva qualcosa di speciale. Infatti, era una posizione privilegiata per godersi la vista di tutti i fondatori.
Quando i bambini tornarono a rincorrersi per la piazza, i sei si posizionarono su un grande masso piatto in cui era inciso e dipinto lo stemma con le tre vette. Dall'esterno non avevano potuto notare che i colossi erano intenti a progettare la città: reggevano delle cartine e degli attrezzi da lavoro, guardando contemporaneamente Ak'uira e gli altri. Il loro occhi erano sorridenti e rasserenanti.
Solo io so cosa stavano decidendo Ghar e gli altri in quel momento, lo ricordo come se fosse ora. Stavano scegliendo dove collocarmi: nonostante fossero a conoscenza di ciò che avevo fatto, mi tennero in gran considerazione.
"Mia nonna una volta mi raccontò una storia su di loro" si lasciò sfuggire Ak'uira.
"Basta che la riassumi." la battuta di Saho're scatenò la reazione di Hatsei e Zahirile, che risero con l'elefante.
"La smettete?" rimproverò scherzosamente Ak'uira, "A ogni modo, mi raccontò che molti secoli fa, i sei fondatori partirono con un gruppo di circa cento resh be'th da una terra molto lontana, per giungere in questa valle. Fine."
"Pensavo peggio" insistette Saho're, con una pacca all'aquila.
Quel viaggio fu una vera e propria migrazione, fui con loro e con gli altri esuli. Non appena videro il monte e lo spettacolo che si apriva allo sguardo, Ghar ringraziò me, come se fosse stato mio il merito di ciò che Aleph aveva disposto durante la creazione. Ero però l'unico appiglio che aveva dopo anni di cammino. Lui e i suoi disperati festeggiarono per giorni la fine di quell'esodo: ballarono, cantarono e bevvero tutto ciò che possedevano, un liquore estratto dalle bacche del mirto. Di tutto ciò che furono, non rimase più niente. L'ultimo canto, inventato in memoria di quel tempo, scomparve settecento anni fa; io venni dimenticato molto prima.
I sei ragazzi si inorgoglirono nell'osservare quei resh be'th dare vita al loro paese. Le scelte di centinaia di anni nel passato avevano creato il futuro di quella città e permisero, nella grande concatenazione degli eventi, di portare alla luce loro: la nuova generazione di otzici. Sei erano loro e sei erano i ragazzi; a tutti balenò di poter essere in qualche modo destinati a compiere qualcosa di grande, come fu per i fondatori. Lo desiderarono davvero. Avrebbero voluto essere all'altezza di Ghar, il cane bianco; di Ba'haral, la falco pellegrino; di Kheras, l'orsa bruna; di M'eskar, il caimano buono; di Ahkoth, la salamandra silente; e di Akse'l, il muflone di diamante.
Non appena si furono riempiti a sufficienza l'animo, ripresero a camminare. Il sentiero imboccato nel giardino recintato condusse fuori il centro abitato. Credettero di aver sbagliato qualcosa, poiché si stava tramutando in un bosco. I discorsi sui sogni di gloria furono sostituiti dai dubbi sulla direzione presa. Sentirono un continuo vociare provenire da una casa abbastanza modesta che si apriva davanti a loro: erano arrivati. Le dimensioni dell'edificio li delusero, erano convinti che la sede del maturamento fosse un grande castello all'interno della città o una grande villa e non una casa in pietra in mezzo a un bosco. Sembrava quasi una stalla, per il numero di cavalli presenti sulla staccionata all'esterno. Salirono dei gradini scavati nel terreno e superarono un cancelletto in legno. Entrarono.
Un salone pieno di giovani resh be'th li rincuorò e avanzarono senza notare una strana pietra, tinta di rosso, posta sul pavimento. Due suricati in armatura di cuoio, visi dolci e sguardi svegli, confabulavano poggiati al muro quando si accorsero in ritardo dei sei.
"Fermi lì, per favore! Identificatevi" li bloccò il primo. "Dovrebbe esserci un masso rosso dietro di voi, ecco. Tornate indietro. Troppo vicini non vi vediamo."
"Non devi spiegargli tutto per forza."
I due si rivelarono essere molto strambi e i ragazzi si imbarazzarono per loro.
"Così è perfetto. Bene! Qual è la vostra città di origine?"
"Veniamo da Harsha" disse Ak'uira, per tutti.
"Harsha... quanti ne dovevano venire da Harsha?" fece il secondo, grattandosi la testa rasata.
"Non me lo ricordo. Dovrebbe essere scritto qui sull'elenco" indicò il gemello, reputandosi un genio.
"Non riesco a leggerlo se è vicino."
"Neanche io."
"Allora prendilo e allontanati."
"Io? Fallo tu, scusa!"
Un falco, in armatura decorativa, si avvicinò ai due suricati. La cappa rossa a coprire le ali fece intuire ai ragazzi il suo ruolo. Si passò, sconcertato, una mano tra i suoi castani capelli piumati prima di riprendere i suoi due uomini, che dimostravano di aver dimenticato i loro lunghi anni di disciplina militare. Occhi gialli, sguardo serio, un ordine perentorio.
"Me'r, Katthe. Possibile che a ogni arrivo dovete recitare questa farsa? Cambiate subito la vista e verificateli." disse, indicando Ak'uira e i suoi amici.
"Dovremmo appendere l'elenco a quella colonna, ma qualcuno potrebbe rubarlo" disse il primo, ripetendo un copione già avvenuto mentre il secondo lo strattonò per interromperlo.
"Date qua!" ordinò il falco ai suoi uomini, prendendo il loro posto. Sorrisero furbi e arretrarono di qualche passo.
"Scusate l'inconveniente, ragazzi. Mi chiamo Baharas e sono il capo delle guardie di Haksh. Da dove avete detto di venire?"
"Veniamo da Harsha, signore." intervenne subito Hatsei.
"Da Harsha" ripeté, controllando l'elenco. Aveva trovato il rapporto di Thoeri e confrontò le descrizioni con i resh be'th che aveva davanti. Non disse nulla, ma la sua espressione cambiò quando posò il suo sguardo su Zahirile. Era minatorio e penetrante, la sua sola presenza sovrastò il cobra che cercò di reggere il confronto invano.
"È tutto a posto. Potete accomodarvi, ragazzi." Sorrise e mostrò il salone con la mano.
"Katthe, vieni qui. Avvisa il governatore Shoudhe che possiamo iniziare il Cammino di Haksh."
"Agli ordini, signore." E sparì velocemente tra i presenti entrando nell'unica stanza di quella casa.
Un cappuccio nero, a trame dorate, sfilò veloce tra le finestre esterne e si nascose: Baharas lo notò e strinse la bocca scuotendo deluso il capo.
Possibile che ogni volta ci sia qualche idiota?!
Per principio, non volle dare peso alla cosa.
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