7- Nuovo sangue


5 anni dopo il rito

Col tempo, Viljami si abituò alla sua nuova condizione. Mikael ed Aleksi avevano ragione in fondo, la sua vita non era cambiata poi così tanto da prima. Cacciare uomini non è così diverso dal cacciare animali: la carne è sempre uguale e anche il sangue ha sempre lo stesso colore. C'era tuttavia una differenza fondamentale: gli uomini che Viljami uccideva erano un'impurità nel mondo che andava pulita da lui. Ormai non poteva neanche lontanamente pensare di poter provare empatia per quelle persone. Non facevano nulla, certo, ma non era forse questo il loro crimine più grande? Non era forse per questo motivo che chi non viveva non meritava di restare al mondo? Loro erano come spazzatura, uno scarto che andava eliminato.

Viljami pensava ogni giorno a queste parole, venute fuori dalla mente più che dalla bocca di Aleksi quando si unì a loro. Viljami era rimasto in soggezione sentendo ciò. Quello che maggiormente lo aveva impressionato e gli aveva lasciato ricordare quelle parole per così tanto tempo era la passione che Aleksi in particolare metteva dentro di esse e il trasporto con cui le diceva. Provava un disprezzo viscerale per le loro vittime che Viljami inizialmente non si sapeva spiegare e che dopo cinque anni ancora non comprendeva del tutto. Decise comunque di non fare domande e accettò la sua situazione, non avendo altra scelta.

Dopo tutto quel tempo stava iniziando a capire come funzionasse la gerarchia dell'organizzazione, seppure molti punti gli fossero ancora oscuri: sapeva che era organizzata in piccoli gruppi da quattro o da cinque persone, che operavano da soli, senza venire a conoscere membri di altre squadre. Questi gruppi erano tutti sotto l'autorità di membri che a loro volta erano soggetti a un capo nazionale, una struttura piramidale in cui nessuno conosceva chi gli stava al di sopra. Ma ancora, c'era qualcosa che Viljami non capiva, ed aveva a che fare con quell'uomo così terribilmente affascinante e inquietante a cui non poteva fare a meno di pensare e da cui restava perennemente ammaliato, pur sapendo che lo avrebbe disprezzato fino a poco tempo prima. Ma cinque anni non sono pochi e il tempo è in grado di cambiare chiunque.

Quell'uomo fin dal giorno in cui portò con sé la prima vittima di Viljami aveva dimostrato una freddezza e un'impassibilità che Viljami mai avrebbe potuto pensare di poter vedere in chiunque. Raramente si udiva un suo parere o un suo consiglio, appariva come un principiante ma dimostrava un'esperienza che un novellino non avrebbe mai potuto avere. Gli era stato detto da Mikael che si accedeva alle cariche superiori dopo qualche anno, ma quell'uomo sembrava conoscere a menadito ogni possibile modo di uccidere (o meglio, di guadagnarsi la vita) anche meglio di Aleksi, che era al servizio dell'organizzazione da diversi anni. Sempre Mikael gli aveva detto che lui era entrato nei Figli di Bodom solo pochi mesi prima di Viljami. Non si riusciva a spiegarsi quella gelida indifferenza che c'era nei suoi occhi fin da subito, nell'usare ogni tipo di arma in qualunque modo. Viljami ancora non riusciva, pur credendo profondamente in ciò che faceva, a essere incurante del sangue che usciva dal corpo delle persone, della loro espressione che poteva dire tutto e nulla allo stesso tempo. Troppe emozioni non vissute e troppe parole non dette si riversavano nelle pupille dilatate di chi stava per morire, come se si pentissero di non aver goduto realmente della propria esistenza e avessero realizzato solo in quel momento che ormai era troppo tardi.

La vita di Viljami non era cambiata molto da quella che faceva con la sua famiglia: adesso viveva assieme a Mikael, Aleksi e l'uomo senza nome nel rudere, al di sotto del quale si apriva un corridoio sotterraneo del quale Viljami non riusciva a capire la geometria, un dedalo di vie, grotte e sentieri dispersi nell'oscurità. In una di esse vivevano loro quattro, senza particolari comfort ma comunque meglio che in una capanna in mezzo alla foresta. Nemmeno il cibo era più un problema: ricevevano scorte abbondanti ogni settimana da sconosciuti; Mikael diceva che erano altri membri della setta, pur non avendone mai visto uno.

Viljami guardando il pavimento del rudere riconosceva ancora perfettamente il punto preciso in cui il suo sangue si era mescolato a quello del ragazzo e le impronte che aveva lasciato sul legno rovinato dove ancora continuava a guardare, e che ormai aveva perduto ogni significato per lui, rimaneva solo un simbolo da guardare per non dimenticarsi chi fosse e come era arrivato fino a lì.

Lui e Aleksi ritornavano dalla caccia. Avevano trovato due cerbiatti, abbastanza per sfamarsi per diversi giorni, e li stavano portando al rudere. Da quando aveva cominciato questa nuova vita, Viljami aveva notato che la quantità di animali che riusciva a cacciare era diventata maggiore. Il cibo che gli veniva consegnato spesso non era di grande qualità, e sia Viljami che Aleksi preferivano tornare a cacciare quando il tempo era clemente.Nonostante il buio, i due procedevano spediti e riuscivano a districarsi fra le sagome ossute degli alberi, sapendo perfettamente dove dirigersi e come arrivare a destinazione. A Viljami però qualcosa sembrava inusuale, gli sembrava di sentire dei passi e dei respiri intorno a sé. Inizialmente avrebbe detto che si trattava di altri animali, ma quei passi erano troppo pesanti per appartenere ad animali di piccola taglia. Anche Aleksi li aveva sentiti, e si era fermato, trattenendo il respiro per ascoltare meglio.

Viljami cominciava a cercare delle vie di fuga nel caso si trattasse di degli orsi, ma quei passi non erano così pesanti né potevano appartenere a un solo animale. Sentiva il cuore battere più forte e il sangue che scorreva nelle sue vene come fosse acqua. Si sentiva circondato. Cercò di riportare il suo battito a un livello normale, ma continuava ad essere inquieto. Non aveva idea di chi o cosa ci potesse essere lì: non vedeva mai nessuna persona a parte i suoi compagni, e adesso anche Aleksi sembrava preoccupato.

Viljami dopo un momento di quiete sentì improvvisamente le felci attorno a lui muoversi fragorosamente, e quando girò la testa per guardare Aleksi vide un fiotto di sangue zampillare dalla sua gola, mentre un uomo con una maschera stringeva il collo e altri si avvicinavano a lui circondandolo. L'uomo con la maschera lasciò andare il coltello con cui aveva tagliato la gola di Aleksi, facendolo cadere in avanti mentre Aleksi volgeva il suo ultimo sguardo a Viljami.

Era da quando era stato catturato che non sentiva un terrore tanto puro, e adesso non sapeva realmente cosa fare. Era completamente paralizzato e scioccato da quello che aveva visto, sentiva che se quegli uomini gli si fossero avvicinati avrebbero potuto ucciderlo come Aleksi prima che se ne potesse rendere conto. Non voleva guardare i suoi occhi che si andavano spegnendo e perdevano la loro espressione, o le sue labbra pallide più che mai  a cui restavano appese parole che Viljami non avrebbe potuto udire, ma che riusciva a immaginare dentro di sé. Non voleva guardare, ma allo stesso tempo non riusciva a distogliere lo sguardo. Avrebbe preferito vedere quegli uomini che lo sgozzavano come una bestia al macello piuttosto che essere testimone di un tale orrore.

Ma non successe. L'uomo con la maschera si avvicinò a Viljami e gli disse, con un tono calmo di cui aveva ormai smesso di meravigliarsi da tempo: "Avverti Petri che sappiamo chi è e che adesso è troppo tardi."

Viljami non riusciva a credere che lo stessero lasciando vivere: non voleva morire ma avrebbe preferito venire ammazzato lì piuttosto che essere risparmiato in quel modo così patetico. Ma lo avevano lasciato vivere, di nuovo, non potevano ucciderlo perché sarebbe andato contro la morale dell'organizzazione. Ma allora perché avevano ucciso Aleksi? Non riusciva a capire, e questi pensieri riecheggiavano nella sua testa mentre le sue gambe si misero a correre prima che il suo cervello se ne rendesse conto. Non capiva perché avrebbero dovuto lasciare lui vivo, e soprattutto non capiva chi fosse "Petri", ma decise di seguire il suo istinto e di andare al rudere, sperando di trovare Mikael e l'altro uomo.

Fortunatamente riuscì senza problemi a trovare la strada e dopo pochi minuti vide il rudere davanti a lui. Adesso gli sembrava ancora più decadente di prima. Entrò dentro e vide l'uomo di cui non conosceva il nome seduto per terra, con le mani cosparse di sangue. Si accorse immediatamente dell'arrivo di Viljami e lo accolse in un modo inusuale per lui.

"Viljami! Grazie a Dio sei vivo! Mi hanno attaccato, mi hanno detto di tornare qui e aspettare, e che avrebbero ucciso Aleksi! Per fortuna almeno tu sei qui." Viljami ebbe l'impressione che l'uomo sarebbe potuto scoppiare in lacrime da un momento all'altro, forse di gioia, forse di disperazione.

"Sì, per fortuna. Mi hanno detto di venire qui e di dire a Petri che sanno tutto. Non capisco di cosa parlassero. Dov'è Mikael?" La voce di Viljami era molto più calma di quello che si aspettava.

" Eravamo insieme, per fortuna è riuscito a scappare, ma non so se li abbia seminati. Credo di doverti delle spiegazioni, Viljami. Mi dispiace di averti tenuto all'oscuro di tutto per cinque anni, ma purtroppo ho dovuto farlo. Innanzitutto, quel Petri di cui ti parlavano sono io."

Viljami ci pensò, ed in effetti era tutto così logico: avevano ucciso Aleksi e Mikael per avvertire l'uomo che da allora in poi avrebbe dovuto chiamare Petri. Ma chi era, cosa aveva fatto di così importante e terribile perché i suoi stessi compagni volessero ucciderlo?

Petri interruppe i suoi pensieri: "Io non sono chi pensi che sia. Io ero il capo della divisione della Finlandia nei Figli dei laghi. Penso che tu sappia cosa significhi ricoprire una posizione del genere. Significa smettere di rischiare la vita sul campo, ma rischiare che lo stesso coltello che poco prima usavi per uno scopo che reputavi giusto vada a finire nella tua schiena da chiunque creda di essere migliore di te e usi dei precetti nobili per giustificare azioni aberranti. Ho deciso di scappare, di ricominciare da capo. Avrei potuto lasciar perdere, ma già quando sto pochi giorni senza uccidere sento un prurito sulle mani. Ogni tanto rivedo i volti delle persone che ho ucciso. Saranno state centinaia, forse migliaia. Credevo di non lasciare nulla dietro di me, un nulla che mi potesse dare la possibilità di rendermi conto di chi sono, ma ormai è troppo tardi anche per quello. Ero intrappolato dalla mia stessa voglia di uccidere. Ironico, vero?"

Viljami rimase ad ascoltare ogni parola, ogni suono che usciva dalle corde vocali di Petri ed entrava dentro la sua coscienza. Adesso capiva perché sembrava così esperto, perché non sapevano il suo nome e perché aveva sempre un'aria di tristezza e malinconia che lo ricopriva come un velo sul suo volto. Se anche avesse potuto dire qualcosa a quell'uomo che gli sembrava così divertito della propria disperazione, sarebbe stato sempre troppo poco.

"Viljami, tutto quello che ti posso dire è che ormai è troppo tardi per me. Non posso più salvarmi. E se anche lo facessi, vivere ancora così, con il respiro di mille aguzzini dietro il collo come cani rabbiosi, non sarebbe diverso da come vivono quelli che uccidiamo. L'ho imparato a mie spese, e non voglio commettere di nuovo lo stesso errore. Ormai è tardi per me, gli uomini come noi muoiono giovani." Gli occhi scuri dell'uomo penetravano quelli di Viljami come lunghi spilli e la sua voce era ricolma di una pacatezza che era da tempo abituato a vedere in lui, ma che adesso lo raggiungeva in modo diverso, come se quelle parole le pensasse lui stesso.

"Non voglio nemmeno che tu lo faccia, Viljami. Devi scappare il più lontano possibile, stare lontano da chi mi ucciderà. Promettimi che resterai vivo."

Viljami uscì dal rudere senza voltarsi indietro, correndo senza far rumore sotto la luna morente.

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top