5- Metamorfosi


Viljami notò che mentre leggeva il suo giuramento la voce non gli aveva tremato per un solo attimo. Forse stava cominciando ad accettare il suo fato e ormai era troppo tardi per tornare indietro. La confusione che sentiva nella sua testa, le urla strozzate del ragazzo mischiate al fischio acuto e interminabile che sentiva nelle orecchie dopo i pugni di Mikael erano scomparsi. Adesso al loro posto si trovava solamente un vuoto assordante, dove i pensieri di Viljami filavano veloci e senza lasciare traccia, un torrente scrosciante e torbido che portava rapidamente le sue idee a dissolversi una dopo l'altra. Lui stesso non riusciva a decifrare ciò che pensava e si lasciò abbandonare in balìa dei suoi stessi pensieri turbinosi.

Anche dopo che l'uomo, per il quale Mikael e Aleksi sembravano provare grande rispetto, posò il corpo del ragazzo senza nome, Viljami non poteva smettere di guardarne i lineamenti dissonanti. La miriade di parole e sentimenti nella sua testa non trasparivano dall'espressione vacua che aveva assunto da quando aveva osservato per la prima volta il volto del primo uomo che aveva ucciso. Eppure continuava a provare dei sensi di colpa nei confronti di quel ragazzo, si rendeva conto di ciò che aveva fatto e tutto questo entrava più in profondità nel suo animo di quanto avrebbe voluto ammettere.

"Voglio seppellirlo." Disse, sorprendendo Mikael e Aleksi.

"Perché dovresti? Un morto è un morto. Lascialo così e se lo mangeranno i corvi, seppelliscilo e se lo mangeranno i vermi" fu la risposta fredda di Mikael.

"Non lo lascerò qui. Voglio onorarlo come merita chiunque."

"Fai come vuoi allora. Ma non credo che riusciresti a scavare una tomba a mani nude nella neve."

Viljami non vi prestò attenzione e uscì dal rudere portandosi il corpo del ragazzo sulle spalle. Cercò di non allontanarsi troppo, non voleva rischiare di perdersi. Lui che aveva vissuto tutta la vita in quei posti, che li conosceva a menadito, adesso non riusciva ad orientarsi tra decine e decine di alberi tutti uguali. Tutti avevano le stesse foglie rischiarate dal debole sole invernale, inconfondibilmente l'uno dall'altro, con le loro ombre proiettate nel medesimo modo sul terreno. Quanti morti, uomini o no, avevano già visto, quanti inverni avevano passato, eppure erano ancora lì, ancorati al terreno saldamente, senza il minimo cambiamento. Sarebbe veramente stato così male perdersi lì e non tornare da nessuna parte, abbandonare tutto e scomparire?

Questo pensiero, come tanti altri nella sua testa, rimase lì per qualche secondo, ma si dissolse nella fitta nebbia che avvolgeva la sua mente. Si trovava già abbastanza lontano dal rudere, ma riusciva ancora a vederlo. Aveva smesso di nevicare. Viljami si chinò sulla neve e cominciò a scavare, dapprima piano, poi a ritmo sempre più sostenuto. Sentiva la neve che gli entrava fra le unghie e le dita per poi sciogliersi, mentre la terra rimaneva fra le sue dita e più scavava, più le mani gli dolevano e più persisteva nel suo sforzo, con lo sguardo che oscillava tra la terra e il corpo del ragazzo adagiato contro un albero. Viljami ripensò alle parole di Mikael. Perché sentiva così urgentemente il bisogno di seppellirlo? Aveva visto spesso uomini morti che venivano seppelliti, ma adesso lui lo stava facendo per tributare una qualche forma di rispetto al ragazzo oppure per cercare una sorta di perdono per sé stesso? Era totalmente assorto nei suoi pensieri e non si accorse dell'arrivo di Aleksi alle sue spalle. Egli rimase per qualche secondo a osservare quell'insensata dedizione a un compito del quale Viljami stesso non capiva lo scopo. Ma ormai il ragazzo aveva smesso di dare ascolto alla ragione.

"Sei davvero convinto di quello che fai?" chiese Aleksi.

"Ha importanza? Adesso non sono neanche degno di definirmi un uomo. Sono finito in questa situazione contro la mia volontà e la cosa peggiore è che non ci posso fare nulla. Ho commesso un atto di orrendo e sto solo cercando di fare qualcosa, per quanto possa essere inutile. Forse ha ragione Mikael e questo non cambierà nulla, ma per me ha un significato."

"Sei più sveglio di quello che sembri, ma questo non ti rende intelligente. Hai smesso di ragionare, stai pensando come un animale. Stai seguendo solo il tuo istinto, quello che fai lo stai facendo solo perché ti senti obbligato da te stesso. È così?"

Aleksi avrebbe continuato a parlare, ma Viljami lo interruppe, alzandosi di scatto.

"Non è forse quello che volete che io faccia? Obbedire, uccidere e non fare domande. E io sono costretto ad accettare tutto questo. Non ho una scelta, ed è questa la parte peggiore."

"Ti sbagli, Viljami. Nessuno vuole che tu ci obbedisca ciecamente, anzi sono convinto che fra poco capirai. O forse stai già capendo. Quando hai ucciso quel ragazzo avevi uno sguardo assente, ma a tratti eri orgoglioso. Sì, eri orgoglioso di avercela fatta di nuovo, di essere sopravvissuto. La differenza tra uccidere un uomo e un animale non è poi così tanta. Mi aspettavo che almeno tu potessi capirlo meglio."

Viljami non si rese subito conto del senso delle sue parole. Inizialmente distolse lo sguardo; si rifiutava di riconoscere quei pensieri, ma poco alla volta essi cominciarono a penetrare dentro di lui. Le parole dell'uomo che aveva davanti gli risuonavano nella testa, in una cacofonia devastante. Viljami si prese il volto tra le mani e si accasciò a terra, scuotendo la testa come per rigettare ciò che Aleksi gli aveva detto.

"Io non sono così, io non sono così, io non sono così..." Continuava a ripetere sottovoce.

"Sì Viljami, lo sei. Ciò che fai ti rende chi sei, e tu adesso hai passato una linea. Devi accettare te stesso per quello che sei, anche se non dovesse piacerti. Quando stavi pronunciando il tuo giuramento, la voce non ti tremava. Stai cominciando ad abituarti a questa idea, e tutto sommato forse non ti dispiace."

Viljami si acquietò, rimanendo seduto per terra sulla neve, e disse: "Qual è lo scopo di tutto questo? Perché uccidete delle persone innocenti?"

"Loro non sono persone innocenti, Viljami. Le persone che noi uccidiamo si macchiano del più grande crimine che un essere umano possa commettere: queste persone non vivono." La voce di Aleksi era improvvisamente diventata più profonda e solenne. "Stanno continuamente rinchiusi dentro il loro guscio, sperando che nulla gli capiti e che le loro vite continuino a procedere nella banalità più assoluta, ogni giorno uguale all'altro, a ingrigirsi e rinsecchire come larve al sole, fino a non sentire più niente. È questa la pena peggiore che tu possa sopportare, ancora peggio della morte: è una tortura di cui chi la subisce non si accorge, eppure ti divora da dentro, e non ti abbandona fino alla morte, la morte che chi non vive cerca di evitare. Ed è per questo che queste persone non meritano la vita. Un dono tanto meraviglioso come la vita non può essere sprecato in un modo così ripugnante. Per questo noi li uccidiamo: diamo un senso alla nostra vita togliendola a chi non la usa. Alcuni continuano a condurre le proprie vite parallelamente al loro impegno nei Figli dei laghi, ed è per questo che tra di noi ci sono milionari, capi religiosi e politici. Ma altri invece vivono nel completo isolamento e donano loro stessi alla nostra causa. Si contrappongono a chi non vive, a chi sta immobile nella cosiddetta "società civile", ed è questo il massimo grado di purezza e di vita che l'essere umano possa raggiungere. Anche il ragazzo che hai ucciso era così. Non è il tuo caso, ma per te abbiamo dovuto fare un'eccezione."

Viljami, ancora una volta, non sapeva cosa pensare. Avrebbe voluto con tutte le sue forze rigettare ciò che gli era stato detto dall'uomo che lo teneva prigioniero, ma adesso la nebbia della sua mente si era diradata e le parole di Aleksi vi erano entrate dentro nella loro devastante interezza. Adesso sentiva una strana calma dentro di sé, come un mare che dopo il tifone ritorna come prima, placido e silenzioso. Adesso ciò che Aleksi gli aveva detto acquisiva un ordine e finalmente capiva che cosa intendeva. Non era in grado di comprendere cosa volesse dire "non vivere"; non aveva mai visto nessuno passare un giorno uguale all'altro per tutta la vita, ma riusciva a immaginare delle persone che passavano le proprie vite fatte di giorni identici, con la sola compagnia di sé stessi nella propria mente. Il pensiero gli procurò una sorta di tristezza compassionevole, ma Viljami sapeva che in poco tempo si sarebbe tramutata in disprezzo. Forse Aleksi aveva ragione, forse stava cominciando a capirli.

"Torniamo indietro, Viljami."

Lasciarono il corpo del ragazzo sul terreno spoglio. L'espressione sul suo volto ritornò calma.

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