3-Resurrezione
"Ti sembra vivo?"
"Non saprei, è talmente pallido che sembra uscito da un obitorio. Dovresti saperlo meglio di me, hai una certa familiarità coi cadaveri, non è vero Mikael?"
Viljami aprì lentamente gli occhi. Non riusciva a muoversi a causa del freddo e non si sentiva più gli arti. Vide due uomini, uno che pareva essere lo stesso che lo aveva accolto il giorno prima e l'altro era un uomo robusto coi capelli rasati e un'espressione truce in volto.
"Te l'avevo detto che sarebbe sopravvissuto. Slegagli le mani e prendilo, lo riportiamo dentro." Disse l'uomo del giorno prima. Viljami dedusse che fosse lui Mikael. L'uomo robusto prese un coltello e cominciò a tagliare la corda che legava i polsi di Viljami, poi se lo issò sulle spalle senza mostrare alcuna fatica. Durante il tragitto nessuno parlò, come se quel momento fosse importante a tal punto da non poter essere in alcun modo disturbato dalla minima voce, e dopo pochi minuti entrarono in quello che sembrava un vecchio rudere, solo in mezzo a centinaia di alberi indistinguibili l'uno dall'altro. L'interno era completamente vuoto, costituito da una sola stanza nella quale era presente solo un focolare acceso, con il legno scuro della casa che rendeva ancora più singolare il contrasto fra il fuoco e i muri che facevano risultare irriconoscibili i volti dei due uomini, solcati solo temporaneamente da bagliori improvvisi. Viljami venne messo davanti al focolare, e quasi istantaneamente, appena si avvicinò alla fiamma, si sentì il sangue scorrere nuovamente nelle vene, il cuore che gli batteva via via a un ritmo più sostenuto. In pochi istanti si sentiva già meglio, e riuscì a pronunciare poche parole stentate ai suoi carcerieri: "Date... Datemi...dell'acqua...". Mikael gli diede una bottiglia di vetro semivuota.
Dopo che Viljami terminò ogni goccia di acqua sporca nella bottiglia, fissò negli occhi i due uomini e chiese loro: "Perché mi fate questo? Perché mi avete lasciato lì per tutto quel tempo? Cosa volete da me?" Nel parlare, notò che la voce iniziava a incrinarsi e che gli occhi gli diventarono umidi.
Mikael gli si avvicinò. Adesso riusciva a vedere perfettamente il suo volto illuminato dal fuoco, notando i suoi occhi azzurri che parevano essere privi di qualunque luce, come delle lampade spente, e gli rispose: "Mettiti nei miei panni, Viljami. Non potevamo farti andare via, ormai avevi visto tutto. Normalmente ti avremmo tagliato la gola senza pensarci due volte, eppure c'era qualcosa che non tornava. Mi chiedevo perché mai un diciassettenne si sarebbe dovuto trovare in mezzo alla foresta da solo con delle armi rudimentali senza un apparente motivo; non avrebbe avuto senso, ma poi ho notato che non lontano da te c'era un cinghiale, con la gola trafitta da una freccia. E lì ho capito che ucciderti in quel momento sarebbe stato un errore: una persona così pronta a sopravvivere, che mette la vita davanti a ogni cosa e lotta con tutto sé stesso per continuare a vivere, è perfetta per essere parte della nostra Società. E ieri ne ho avuto la conferma. Sai, il tuo corpo capisce quando sei in pericolo e agisce di conseguenza: il cuore batte a un diverso ritmo e il cervello va in pausa e così vai in una specie di coma finché il corpo non ristabilisce una temperatura corporea adatta. Ma per questo è necessario avere un'enorme forza di volontà. Ieri tu non sei morto perché non volevi morire, perché hai passato tutta la vita in bilico tra la vita e la morte, e ne sei sempre uscito vincitore."
"Come fai a sapere il mio nome?"
"Credi davvero che un'organizzazione del genere non sia in grado di riconoscere qualcuno che devono tenere come ostaggio? Sappiamo praticamente tutto su chiunque, dai dati più generali fino alle cose più riservate. Potrei dirti tutto l'albero genealogico della tua famiglia, o quando avete costruito quella catapecchia che chiami casa."
Viljami restò in silenzio. Non sapeva che cosa pensare di quell'uomo: aveva avuto un tono quasi rassicurante mentre gli parlava, come quello di un padre che parla a un figlio, eppure non poteva dimenticarsi tutto ciò che gli era successo, dal coltello che ancora sentiva premuto contro la sua gola fino al ghiaccio che quella notte lo stava divorando bloccandogli le membra e il respiro. E ora, che cosa avrebbe fatto? Sapeva che non sarebbe mai rimasto con quegli assassini, quello era fuori discussione. Ma allora dove sarebbe andato? Probabilmente la sua famiglia lo credeva morto e non ci avrebbero messo molto a farsene una ragione, semplicemente perché sapevano che era la natura della vita. Era successo lo stesso con alcuni suoi parenti. Non aveva nessuna alternativa, se non unirsi a loro e sperare che non lo uccidessero subito.
Si toccò il collo vicino alla carotide, sentendo ancora la lama fredda su di esso e disse a Mikael: "Quindi cosa farò? Resterò qui per forza a seppellire teste nella neve e far morire assiderati dei ragazzi soltanto per il gusto di farlo?"
"Bada a come parli, ti ho già risparmiato la vita due volte. Non mi ci vorrebbe niente a farla terminare ora."
"Pensi che me ne fotta qualcosa? Uccidimi pure, tanto non hai fatto nient'altro per tutta la vita, anche se preferirei essere ucciso da un maiale che da un verme come te."
Viljami non si rese subito conto di cosa aveva detto. Non immaginava che le cose sarebbero potute andare peggio in qualunque modo, e sentiva questo sfogo come qualcosa di inoffensivo e di poco conto. Finché Mikael non gli strinse una mano intorno al collo e cominciò a colpirlo, sempre più forte. Alzare le braccia non servì a molto, era più un gesto istintivo di qualcuno che sa che non può fare nulla, mentre le urla di Mikael diventavano sempre più ovattate alle sue orecchie e sentiva il sapore del sangue scorrergli sulle labbra spaccate. Eppure non si sentiva preoccupato: era stato così tante volte vicino alla morte in così poco tempo che oramai stava iniziando ad abituarsi.
"Mikael, basta così." Disse l'altro uomo, che era rimasto in silenzio fino a quel momento.
"Stai scherzando? Hai sentito cos'ha detto, non-"
"Hai ragione, ma uccidere una persona a caso non ci servirà a nulla, e abbiamo un incarico da portare a termine."
"Sei troppo buono, Aleksi."
"No, sono solo giudizioso, a differenza tua. Non puoi lasciare che la tua indole ti si rivolti contro in questo modo di nuovo. Ricordati che siamo qui perché abbiamo un compito e non possiamo perdere tempo torturando un adolescente solo perché ti ha mandato a fare in culo."
Mikael non rispose, si alzò e si sedette a terra affianco ad Aleksi. Viljami era rimasto appoggiato al muro dietro il camino, e rimase immobile a sentire il sangue che poco alla volta gli si rapprendeva sul volto per una quantità di tempo che non avrebbe saputo definire, temendo che anche il minimo movimento potesse frantumare la sua pelle.
Anche Aleksi e Mikael stettero immobili, seduti sul freddo pavimento in pietra della casa in rovina, noncuranti del freddo gelido e della neve che fuori imperversavano. A un tratto, con un movimento completamente sincronizzato, entrambi si alzarono sull'attenti. Viljami notò che Aleksi stringeva nervosamente il palmo delle mani, mentre Mikael era completamente immobile. La porta si aprì lentamente, e un uomo esile entrò. Gli zigomi affilati facevano risaltare gli occhi sporgenti e scuri, circondati da profonde occhiaie, che si muovevano freneticamente, soffermandosi prima su Aleksi, poi su Mikael. Infine scrutò Viljami, senza mostrare alcun cambio di espressione sul volto scavato. Chiudeva ritmicamente le dita della mano destra attorno al palmo, ma quando richiuse la porta dietro di sé si acquietò ed emise un sospiro profondo.
"Cosa ci fa lui qui?" chiese, indicando Viljami. La sua voce usciva in fretta dalle sue labbra, come un sibilo, eppure non dava l'aria di un uomo insicuro o spaventato.
"Abbiamo deciso di tenerlo qui per ora, riteniamo possa esserci utile." Rispose Aleksi.
"Capisco" rispose lui, con un sospiro. "Che inizi il rito, allora."
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