•Capitolo 17•
L'ambulanza accostò velocemente e in pochi secondi le porte si spalancarono, scesi dal veicolo stando vicino alla barella, quando entrammo in ospedale i paramedici spiegarono le condizioni di Camila ai medici dell'ospedale e poi andarono via mentre alcuni infermieri la portavano in una stanza del pronto soccorso, improvvisamente qualcuno mi tirò indietro per un braccio.
"Lei è una parente?"- chiese un'infermiera con i capelli biondi e molto più bassa di me, mentre mi guardava in attesa di risposta.
Ma che cazzo hanno tutti oggi? Cosa importa se sono una parente? Io ho bisogno di entrare con lei, non posso stare qui senza sapere cosa sta succedendo là dentro.
"No, sono la sua ragazza."- affermai in tono duro senza pensarci due volte.
L'infermiera mi guardò per un paio di secondi, probabilmente non si aspettava quella risposta, si ricompose subito dopo e annuì.
"Mi scusi signorina ma deve attendere qualche istante nella sala d'attesa, la chiameremo noi quando sarà possibile entrare"
Rimasi visibilmente sconvolta all'affermazione della ragazza di fronte a me e iniziai a spostarmi nervosamente i capelli.
"Mi dispiace signorina ma non posso fare niente al riguardo...".
Si allontanò pochi secondi per poi tornare di nuovo da me con una cartella in mano.
"Dovrebbe compilare questi moduli con nome, cognome e i dati personali della paziente per favore"- disse passandomi i fogli -"quando ha finito può portarli all'infermiera che si trova alla reception".
"Va bene"- dissi sbuffando, non avevo nessuna voglia di compilare dei cazzo di fogli quando la mia Camz era nell'altra stanza in un fottuto lettino d'ospedale mentre io non sapevo cosa stesse succedendo...
"Lei è la signorina...?"
"Jauregui"- dissi semplicemente.
"Va bene signorina Jauregui, quando potrò verrò a chiamarla"- disse con un sorriso gentile prima di allontanarsi.
Guardai la punta delle mie scarpe non sapendo cosa fare nell'attesa, respirai pesantemente e andai a sedermi in sala d'attesa, compilai metà modulo e dopo poco mi resi conto di non sapere niente di lei, eppure mi sembrava di conoscerla da sempre.
Presi il cellulare e chiamai Mani per avvisarla della situazione, di sicuro era con Dinah, lei avrebbe avvertito i suoi genitori e avrebbe anche potuto compilare quella cartella al posto mio, avrebbe certamente fatto un lavoro migliore del mio.
Dopo quattro squilli la mia amica rispose.
"Hey Lo, che succede? Sono l'una di notte, stavo per andare a dormire, sai che doman-" - "sei con Dinah?"- la interruppi subito.
"No, è andata via poco fa perché?".
"Venite immediatamente in ospedale, Camila non sta bene..."- dissi cercando di non farla preoccupare troppo.
"Che cosa è successo?"- disse velocemente.
"Vi spiego quando arrivate... solo... venite vi prego..."- dissi iniziando a piangere silenziosamente, ma la mia migliore amica mi conosceva meglio delle sue stesse tasche, la voce spezzata dal nodo in gola le diede la conferma che non era niente di buono.
"Vado a prenderla e arriviamo subito, tu cerca di stare tranquilla...".
"Va bene"- dissi riattaccando.
Dopo dieci interminabili minuti a girarmi i pollici vidi l'infermiera con i capelli biondi venire verso di me, mi alzai con un balzo dalla sedia e le andai all'incontro.
"Allora?"- dissi ansiosa.
"Può entrare, è nella stanza 163, la accompagno?"- disse educatamente.
"No, la ringrazio. Stanno arrivando i parenti e alcuni amici, finiranno loro di compilare la cartella"- dissi e l'infermiera annuì prendendo quest'ultima dalla mia mano.
"Va bene, la stanza si trova infondo a destra a quel corridoio"- disse indicandolo con l'indice.
Annuì velocemente con un sorriso cortese e andai a passo veloce verso la sua stanza.
Superai il corridoio quasi di corsa, arrivai di fronte alla porta e un filo di esitazione travolse il mio corpo e la mia mente, lasciai per qualche secondo la mano sospesa nel vuoto.
Il cervello gridava di fermarmi, che avevo fatto il mio dovere di prestarle soccorso, che adesso non mi riguardava più e che di sicuro non ero io la prima persona, oltre ai medici, che lei avrebbe voluto vedere entrare da quella porta.
E se non mi volesse davvero vedere? In fondo lei alla festa mi aveva respinta, non voleva nemmeno parlarmi, era scappata via da me. Probabilmente ero l'ultima persona al mondo che avrebbe voluto vedere.
Però il mio cuore urlava tutto l'opposto, volevo vederla, ne avevo bisogno: avevo bisogno di vederla e sapere che stava effettivamente bene, avevo bisogno di constatarlo con miei stessi occhi. Al cuore non importava se a lei non andava bene la mia presenza, perché a lui serviva la sua di presenza.
Respirai profondamente, chiusi gli occhi per qualche secondo e poi bussai.
"Avanti"- rispose lei con una voce così impercettibile che quasi dubitai fosse la sua.
Aprì lentamente la porta e dietro di essa c'era una piccola stanza, le luci basse e solo un letto singolo, Camila era sdraiata con quella solita camicia di ospedale, il viso pallido e stanco, flebo sul braccio e capelli scompigliati. Vederla in quel modo mi fece troppo male, quel nodo allo stomaco ricominciò a stringere più forte di prima.
"Hey"- dissi abbassando lo sguardo, avevo troppa paura che da un momento all'altro mi avrebbe urlato contro.
"Finalmente sei venuta, pensavo te ne fossi andata da un po' in realtà"- alzai subito lo sguardo per la sorpresa alle sue parole.
"Non potevo andarmene senza essermi assicurata che tu stessi bene"- sussurrai avvicinandomi al letto.
"Grazie"- disse.
"Di cosa?"- risposi guardandola negli occhi.
"Di tutto..."- una lacrima scivolò dai suoi occhi.
"Non ringraziarmi ti prego... mi hai fatta preoccupare tantissimo, stai bene?"- esitai a dire.
"Potrebbe andare meglio, ma non mi lamento"- disse con un piccolo sorriso che mi scaldò istantaneamente il cuore.
"Continua a sorridere così e andrà sempre tutto bene"- dissi sorridendo a mia volta.
"Ci proverò... comunque devo chiederti una cosa"- mi guardò.
"Chiedimi tutto quello che vuoi".
"Come sei riuscita ad entrare? I dottori hanno detto che potevano solo i parenti, hai mentito dicendo di essere mia sorella per caso?"- disse ridendo.
Alla sua domanda sentì le mie guance prendere fuoco, caddì nell'imbarazzo più totale ricordandomi cosa avevo riferito all'infermiera.
"Beh... diciamo che... no... cioè si...-" - non riuscivo nemmeno a formare una frase di senso compiuto senza balbettare.
"Hey calma non c'è niente di male"- disse ridendo della mia reazione.
"Diciamo che... ho detto di essere una specie di parente"- dissi cercando di essere vaga.
"Che tipo di parente?".
Non sapevo che rispondere, non volevo dirle che per entrare ho finto di essere la sua ragazza, è patetica come cosa. Dovevo trovare il modo di sviare il discorso.
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top