La Camera d'Aria


Luna,

4 luglio 2513, ore 13:45

Base Cernan

Cella di detenzione


Guardai l'uomo legato nella camera d'aria che stavamo usando come prigione improvvisata. Non ci sono vere prigioni sulla Luna, purtroppo, quindi ci eravamo dovuti ingegnare.

Le camere d'aria sono un rifugio di emergenza per la popolazione delle basi lunari: stanze a tenuta stagna con una grossa riserva d'aria, pensate per essere usate in caso di malfunzionamento dei sistemi d'aerazione della base.

Ne avevamo modificato una perché non fosse possibile aprirla da dentro, e ci avevamo rinchiuso il nostro ospite: Konstantin Botkoveli, georgiano, specialista di comunicazioni della base lunare russa Laika. L'unica base lunare russa operativa, in realtà: un piccolo centro di ricerca scientifica, irrilevante rispetto alle nostre o a quelle cinesi.

Era stato Botkoveli a riferire al Fronte la posizione della base Korolev. I russi avevano interrogato l'intero personale della Laika, e Botkoveli aveva ceduto, ammettendo la sua complicità con il Fronte, ma senza rivelare nient'altro.

Ero sicuro che i russi non avessero nemmeno tentato di estorcergli ulteriori informazioni: finché il Fronte prendeva di mira noi, quanto poteva importagliene? Un atteggiamento miope, ma tristemente diffuso nei governi di ogni tempo e luogo. Se solo collaborassimo di più fra noi, il mondo sarebbe un luogo più sicuro.


Toccava a me interrogare Konstantin; non c'erano vere e proprie forze dell'ordine nelle basi lunari. Non servivano, semplicemente: chi sarebbe stato così pazzo da compiere un crimine in un luogo in cui ogni angolo era controllato incessantemente dalle telecamere? Il personale di sicurezza serviva solo a garantire il corretto funzionamento dei sistemi, e ad intervenire in situazioni di pericolo come incendi o perdite di gas dalle cisterne.

Non era certo la prima volta che interrogavo un prigioniero: sapevo esattamente cosa fare. Avrei lasciato cuocere il nostro ospite ancora per un po', da solo nella stanza buia, e solo quando avrebbe iniziato a dare segni di cedimento psicologico avrei iniziato davvero a spremerlo.


Mi diressi verso la mensa della base: avevo posticipato anche troppo l'ora del pranzo. Nei corridoi, venni raggiunto da Maya. In questi ultimi giorni l'avevo presa in simpatia: una volta che ci si abituava alla sua perenne mancanza di serietà risultava essere una compagnia gradevole, perennemente e contagiosamente di buonumore. Era benvoluta da quasi tutti nella base; il fatto che fosse l'unica giovane donna presente sicuramente giocava a suo favore, e dopotutto era molto carina: se non fossi stato sposato e avessi avuto qualche anno in meno, forse ci avrei fatto un pensierino.

«Ancora niente dal nostro amico georgiano?» mi chiese.

«Sono informazioni riservate, Maya.» la ammonii, pur sapendo che non l'avrei convinta a desistere.

«Fai pure il misterioso, tanto verrò a sapere tutto ugualmente.» replicò lei. «Le telecamere hanno l'audio, sai?»

Maya non lo sapeva, ma le telecamere non erano un problema; a tempo debito, qualcuno a Montréal avrebbe provveduto a eliminare ogni immagine dell'interrogatorio di Botkoveli.

«Comunque, volevo farti gli auguri.» disse Maya.

La guardai un po' confuso. Auguri? Mi stavo dimenticando qualcosa?

«Per cosa?» le chiesi.

«Il quattro luglio. Non è una festa importante per voi americani?»

«Sono australiano, Maya.» ribattei.

«Davvero? Non hai nemmeno un po' di accento.»

«Non vivo in Australia da quando ero ragazzino: mia moglie e mia figlia Elise non ci hanno neppure mai messo piede.» le spiegai. «Vivo in Europa da molti anni, ormai.»

Prendemmo da mangiare e ci sedemmo a un tavolo libero.

«Dimmi della tua famiglia.» chiese Maya. «Hai solo una figlia?»

«Sì, Elise: lavora qui sulla Luna, all'ascensore spaziale.»

«Forte. E tua moglie?»

«Morgane. Ci siamo conosciuti in Francia, molto tempo fa, durante la mia prima missione per il SAS. Lei era la segretaria del presidente francese di allora, Dupasquier.»

«Hai sedotto la segretaria del presidente?» scherzò Maya. «Come in un film di spionaggio?»

«Non esattamente: il SAS stava proteggendo Dupasquier da un gruppo terroristico, e io ero parte della sua scorta, quindi avevo molte occasioni di incontrare Morgane. Comunque, abbiamo iniziato a frequentarci soltanto dopo che il mio incarico era terminato.»

Continuammo a parlare durante il pranzo; raccontai a Maya alcuni aneddoti delle mie prime missioni in Francia, senza scendere troppo nei dettagli, finché la conversazione non arrivò a una pausa.

Maya mi guardò con curiosità. «Allora,» disse. «sei qui da parecchi giorni ormai. Cosa ne pensi della Cernan?»

«Onestamente? Fa schifo.» esclamai. «I corridoi sono angusti e gli alloggi microscopici. Alla Artemis lavora molta più gente, ma c'è comunque molto più spazio.»

«La Artemis è una base scientifica: l'Agenzia Spaziale vuole che i suoi impiegati vivano bene, e può permettersi di non badare a spese. Le basi minerarie sono costruite dalle compagnie private, e loro ovviamente cercano di minimizzare i costi.»

«E le basi più grosse? Sono costruite così anche quelle?»

«Non so molto di quelle cinesi, ma ad esempio la Armstrong e la Aldrin sono praticamente una versione in scala più grande della Cernan. E se questo non bastasse, il personale è decisamente sottopagato.»

Maya indicò un uomo seduto a un tavolo poco distante da noi. «Prendi Johann: ha una famiglia sulla Terra, ma non li vede da non so quanti anni. Un biglietto di andata e ritorno per la Terra costa una fortuna, servono anni di stipendio per permetterselo.»

«Elise mi ha raccontato di parecchi suoi colleghi che sono tornati sulla Terra.»

«È diverso se sei nell'ASA come me o lei.» ribatté Maya. «Siamo pagati molto di più, e in ogni caso non ci fanno restare sulla Luna più di qualche anno, per la nostra salute. Le compagnie minerarie non si fanno questi scrupoli.»

«Per la vostra salute? Cosa intendi dire?»

«La gravità lunare è troppo bassa per gli esseri umani.» mi spiegò Maya pazientemente. «Se si rimane qui troppo a lungo, muscoli e ossa si indeboliscono notevolmente. Inoltre, lo sviluppo embrionale è impossibile: ogni gravidanza finisce in un aborto spontaneo nel giro di qualche settimana. Le donne incinta devono essere rimandate sulla Terra gratuitamente per legge, ed è per questo che ci sono così poche donne qui, escluse quelle che lavorano per l'ASA: le compagnie private non le assumono. Ed è anche il motivo per cui non è fattibile trasferire qui le famiglie degli impiegati.»

«Quindi è per questo che il Fronte aveva così tanto seguito prima di Rosenberg.»

«Precisamente. Come puoi immaginare, il governo non è esattamente popolare qui.»


Alla fine, decisi che avevo aspettato abbastanza: era giunta l'ora di interrogare Botkoveli. Chiesi a Maya di venire con me e aspettare fuori dalla camera d'aria: mi sarebbe servito che qualcuno la aprisse da fuori per uscire.


Entrai lasciando le luci della stanza spente: grazie alla visione termica, potevo vedere perfettamente Botkoveli, mentre per lui io ero una minacciosa voce nel buio.

«Salve, Konstantin!» esclamai a voce alta, girando intorno a lui. «È ora di farci una bella chiacchierata.»

Il georgiano si guardò attorno, cercando di capire dove fossi.

«Chi sei?» chiese, parlando inglese con un forte accento. «Dove mi trovo?»

«Dove siamo non ha importanza. E quanto a chi sono, ti basti sapere che io sono l'uomo che deciderà cosa fare di te: se collaborerai, passerai una ventina d'anni in una comoda prigione di minima sicurezza. Altrimenti non saremo così generosi. Intesi?»

«Sei dell'Alleanza? Vuoi sapere della Korolev?»

«Sappiamo già della base. I tuoi amici russi ci hanno raccontato tutto su come hai aiutato il Fronte.»

Botkoveli sputò a terra. «I russi non sono miei amici più di voi. Occupano la mia terra da quattro secoli. »

«Silenzio, Konstantin!» esclamai facendolo ammutolire all'istante. «Non mi interessano le tue motivazioni, voglio solo che tu mi dica cosa intende fare il Fronte! Dove si nascondono? Dove hanno portato le armi prese alla Korolev?»

«Non ti dirò niente!» esclamò Botkoveli, prima di insultarmi in georgiano.

«Sì che lo farai, Konstantin. In un modo o nell'altro, alla fine parlerai. L'unica domanda è: quanto ti farai male?»

«Fai del tuo peggio, non ho paura. Pensi che i russi non mi abbiano fatto niente?»

«Oh, ma io non ho intenzione di farti nulla, se non mi costringi. Non sono un barbaro come i tuoi amici del Fronte. Come puoi aiutare gente del genere? Chi userebbe mai un'arma atomica dopo tutti i disastri che hanno causato sulla Terra? Non hai pensato cosa sarebbe successo se avessero sbagliato la mira, e avessero colpito la Artemis?»

«Il Fronte è l'unico a cui importa della gente comune che vive e lavora sulla Luna. Voi dell'Alleanza non siete diversi dai russi o dai cinesi: vi interessano solo i soldi. Se anche qualche vostra base venisse distrutta, non mi importa nulla.»

Continuai a girare intorno a Botkoveli, ragionando in silenzio; potevo continuare a interrogarlo, oppure passare alle maniere forti. Non avevo dubbio di quale soluzione fosse più rapida, e non avevo né la pazienza né il tempo per un interrogatorio lungo ore. Era il tempo di qualche minaccia più concreta.

«Sai, Konstantin, questa stanza è molto vicina alla camera d'equilibrio.» dissi «Non sarebbe spiacevole se ti ci trovassi dentro proprio durante uno "sfortunato malfunzionamento"?»

Botkoveli non cedette.

«Le tue minacce mi fanno ridere: non tradirò i miei compagni!»

Se le minacce non bastavano, forse la pratica avrebbe sortito un effetto diverso: afferrai con forza Botkoveli per il collo, usando il braccio meccanico, e lo sollevai di peso. Lui provò ad opporsi, ma non aveva alcuna possibilità di scampo: la presa d'acciaio del mio braccio e il suo peso ridotto dalla gravità lunare giocavano contro di lui. Inoltre, i lunghi anni trascorsi sulla Luna lo avevano indebolito notevolmente.

Lo sbattei contro il muro e lo lasciai cadere a terra, poi lo afferrai e lo trascinai con me. Maya aprì la porta al mio segnale, e mi fissò con stupore.

«Cosa stai facendo?» esclamò, attonita.

La sua presenza mi tornava utile, perché solo gli addetti potevano aprire le camere di equilibrio. Le ordinai di seguirmi, e procedetti per i corridoi, noncurante delle telecamere e degli sguardi sgomenti e confusi del personale della base, che si faceva da parte al mio passaggio.

Maya mi seguì tenendosi a distanza, mentre Botkoveli continuava a dimenarsi e imprecare in georgiano.

Arrivammo davanti alla camera di equilibrio. La scritta rossa "Airlock" campeggiava a caratteri cubitali al centro del portello interno.

«Maya, perché non ricordi gentilmente al nostro ospite come funziona la camera d'equilibrio?» dissi, in tono pacato.

Maya spostò lo sguardo da me a Botkoveli con preoccupazione.

«L'aria all'interno viene rilasciata nel vuoto finché la pressione non arriva a zero. Impiega venti secondi, dopodiché si può aprire il portello esterno.»

«Sentito, Konstantin? Allora, che ne dici di cooperare subito e farmi risparmiare venti secondi?»

«Vai all'inferno!»

«Come vuoi. Maya, apri il portello.»

Lei esitò, ma obbedì, e io lanciai senza troppe cerimonie Botkoveli all'interno; il georgiano si andò a schiantare contro il portello esterno, senz'altro molto dolorosamente.

«Maya, chiudi tutto e avvia la decompressione.»

«Ma così lo ucciderai!» esclamò lei, fissandomi con orrore.

«Appunto.»

Maya scosse freneticamente la testa.

«No! Non puoi farlo!»

«Maya, fai come ti dico, o ti ritroverai radiata dall'Agenzia Spaziale in meno di una settimana!» la minacciai a denti stretti.

Lei rimase immobile per un istante, poi con mano tremante avviò la decompressione.

Il portello si chiuse, e l'aria iniziò ad essere risucchiata all'esterno. Com'era prevedibile, Botkoveli cambiò rapidamente opinione: iniziò a colpire freneticamente il portello, implorando di essere liberato. Ovviamente non potevo vederlo attraverso il portello, ma le sue urla si potevano sentire molto bene. «Vi prego, fatemi uscire! Vi dirò tutto, lo giuro.»

Io incrociai le braccia dietro la schiena, e non risposi.

«Ancora dieci secondi.» mi informò Maya, stringendomi il braccio.

Non mi voltai a guardarla, tenendo lo sguardo fisso sul portello. Ormai l'aria nella camera di decompressione era poca, e Botkoveli probabilmente stava per perdere i sensi.

«Cinque secondi, Logan.» disse Maya, con voce supplicante.

Fui sorpreso dalla sua inutile preoccupazione per un semplice terrorista. Botkoveli non sarebbe neanche morto subito: il corpo umano può resistere circa un minuto nel vuoto. E dopotutto io non avevo certo interesse ad ucciderlo.

«Inverti la sequenza.» le dissi infine, quando mancavano solo due secondi allo zero.

Maya eseguì, abbandonandosi conto il muro e imprecando sottovoce.

Botkoveli era a terra, e ansimava cercando di respirare.

«Dunque, Konstantin? Parli, o facciamo un altro giro? Magari un po' più lungo, che dici?»

«Parlo.» sussurrò Botkoveli con la poca voce che riuscì a tirar fuori. «Ti dirò tutto.»

Lo afferrai senza troppe cerimonie, e mi incamminai verso la camera l'aria. Mentre camminavamo, Maya mi guardava con evidente disapprovazione.

«Perché, Logan?» mi disse.

«Ogni minuto che perdo con lui è un minuto guadagnato dal Fronte, Maya: non possiamo permettercelo.»

«C'era sicuramente un modo migliore. Non siamo migliori di loro, altrimenti.»

«Non esistono buoni o cattivi nel mio lavoro. Esistono solo i risultati, e io devo fermare il Fronte, a ogni costo.»

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