I.
▶️ Believer, Imagine Dragons.
Aileen
Non posso credere di averlo fatto.
Ho lasciato la mia piastra rossa accesa sul davanzale del bagno e mia sorella di tre anni l'ha presa per giocarci, adesso per colpa mia si è bruciata.
Mia madre mi darà in pasto ai coccodrilli, anzi, ai dinosauri visto che ogni volta che mi sgrida le sue urla arrivano fino al centro della Terra, non mi stupirei se un giorno i dinosauri dovessero resuscitare e iniziassero a camminare per Stamford.
Da Crudelia:
Sei veramente irresponsabile, faremo i conti a casa.
Poso il mio telefono dalla cover rosa sul banco e inizio a sbraitare maledicendo me stessa. So che non è colpa mia se mia sorella è una ficcanaso, ma in generale dovrei stare più attenta a lasciare le cose in giro per casa, sarebbe potuto scoppiare un incendio o peggio, si sarebbe potuta rompere la piastra.
Io e mia madre non abbiamo mai avuto un bel rapporto, sono la più disordinata delle figlie - le altre due mie sorelle neanche vanno alle elementari - la più irresponsabile e quella che non è mai contenta.
«Scusa mamma se non sono la figlia perfetta, ovviamente meglio il vomito di una bambina di tre anni, che un po' di disordine in camera mia.»
Borbotto questa frase un po' troppo forte beccandomi le occhiate da tutta la classe e sento il mio volto diventare rosso come i miei capelli.
«Signorina Lahey, ha mal di stomaco?» Il professore di informatica si avvicina a me con le sue gambe minute e sento la classe scoppiare a ridere.
«Mi scusi professore, non riesco proprio ad accendere questo computer» dico mentre sbatto ripetutamente il mouse sulla scrivania e clicco tasti a caso dello schermo.
«E' un computer, mica una pignatta!» suggerisce un ragazzo seduto vicino a me. «Simpatico» mi giro verso di lui e gli faccio una smorfia da vera ragazza diciottenne e matura quale sono.
«Il tasto per accendere il computer è quello, ma non ne hai mai usato uno?» dice mentre indica un grande pulsante rosso con scritto "power", sì, devo essere proprio stupida.
«Non amo i computer, preferisco un pomeriggio passato in campagna a dipingere paesaggi mozzafiato, che stare seduta sul letto a guardare film o postare sui social.»
«Quindi dipingi? Mi sa che ti ho vista al corso di pittura mentre il professore Ghill ti faceva i complimenti per il disegno di una montagna innevata.»
I suoi occhi azzurri incorniciati da occhiali neri mi scrutano, i capelli ricci e biondi gli coprono la fronte, mentre le sottili labbra parlano in continuazione, e io odio la gente che parla sempre.
«Okay, grazie per l'aiuto ora provo a cavarmela da sola.» riporto lo sguardo su quell'aggeggio infernale e impreco a bassa voce.
Oggi mi va tutto male, sono perseguitata dalla sfiga anzi no, sono io la sfiga. «E apriti dannazione!» urlo al mio armadietto mentre tiro ripetutamente calci con i miei stivaletti neri. Se questo armadietto potesse parlare, molto probabilmente mi manderebbe una maledizione o un incantesimo stile Harry Potter, secondo me utilizzerebbe la maledizione cruciatus, sì, me lo merito decisamente.
Finalmente riesco ad aprire l'armadietto blu, ma un tizio intelligentemente si appoggia su di esso e lo chiude nuovamente.
«Si può sapere cosa diavolo vuoi dalla mia vita?» osservo il ragazzo di prima fare un sorrisetto sghembo e scompigliarsi i capelli.
«Nulla, ho visto che stavi litigando con l'armadietto e quindi ho deciso di aiutarti, di nuovo.»
«Nessuno ha chiesto il tuo aiuto e inizi a essere inquietante, neanche ti conosco»
chiudo definitivamente l'armadietto provocando un forte rumore e mi incammino verso l'uscita della scuola.
«Sì che mi conosci, ogni tanto parliamo durante i corsi di informatica e inglese, sono Felix.»
«Ah sì giusto... No, non mi ricordo di te.»
«Non fa niente, quelle come te non parlano mai con quelli come me...» abbassa le testa e le sue guance bianco latte si tingono un po' di rosso, mentre gli occhi azzurri guardano le mie scarpe.
«Cosa vorresti dire con quelle come me?» prendo una ciocca dei miei lunghi capelli rossi e formo un boccolo con le dita.
«Sì insomma, tu sei la tipica ragazza popolare che ha tutti i ragazzi ai piedi e ha un gruppo di amici perfetto, che mette il rossetto rosso a scuola e si controlla sempre nello specchietto delle macchine per assicurarsi che tutto sia al posto giusto nel suo aspetto.»
«Ah, quindi è questo che la gente pensa di me? Bene, ti darò un informazione. Non sono popolare, ho il mio gruppo di amici come tutti e non ho i ragazzi ai miei piedi perché sono già fidanzata con Rain Underwood, una ragazza tutt'altro che popolare. Il rossetto rosso lo metto solo perchè sono insicura del mio viso e mi sento sempre imperfetta e non guardo mai lo specchietto delle macchine.»
Mi giro dall'altra parte e inizio a camminare verso la porta d'uscita, non mi va di mettermi a discutere con queste persone.
La gente al liceo è tutta così, credono sempre di sapere tutto quando in realtà non sanno proprio niente.
Tutti credono che io sia la ragazza perfetta, con una famiglia e vita da sballo, ma non sanno che ogni sera piango mio padre perchè non lo vedo mai a causa del suo lavoro, non vedo le feste neanche con il binocolo e il mio gruppo di amici - compresa la mia ragazza - in questo momento mi odia.
Sono una persona molto debole dentro, mi lascio sempre toccare dalle parole che la gente mi dice perché ancora non ho imparato a fregarmene.
Non so quando imparerò che le parole dette da chi neanche ti conosce non hanno peso.
Mentre cammino mi soffermo sulle pareti ingiallite e spoglie del corridoio della mia scuola. Non ci sono cartelloni appesi, non ci sono colori vivaci, solo un giallo smorto che fa' venire voglia di scappare da questo posto.
La Stamford High non è la tipica scuola perfetta, non ha i gruppetti di studenti popolari e non, ha più che altro una giungla.
Mandrie di gente che si muovono insieme per andare nelle rispettive classi. Fogli volanti e rumori assordanti, passi svelti e persone distratte.
Da un lato è bello avere una scuola diversa dalle altre, ma dall'altro è insopportabile tutta le gente che fa casino, che tira fogli nei cestini provando a fare canestro - fallendo miseramente - e gruppi di ragazze o ragazzi che ti guardano come se avessi un procione in testa.
Tutti sono strani e anche io ammetto di essere strana, ma d'altronde, cos'è la normalità?
Chi ha detto che quelle scuole piene di persone clonate sono normali? Non ci sono regole che determinano quale scuola è strana e quale non lo è.
Quindi anche se può sembrare strana, la Stamford High non è male dopotutto.
Perché la gente si focalizza solo sull'apparenza? Perché ci diamo delle etichette tra di noi che stabiliscono chi siamo e condizionano il futuro al nostro posto?
Prima non davo molto importanza a quello che la gente pensa di me, ma da quando il mio gruppo di amici ha deciso di non rivolgermi la parola senza darmi alcuna spiegazione, faccio caso a ogni minima cosa che mi circonda.
E' questo il problema della solitudine, quando si è soli ci concentriamo troppo su noi stessi e su quello che proviamo, ma allo stesso tempo ci mancano i nostri amici e i rapporti sociali. Quando stiamo in gruppo invece pensiamo soltanto agli altri e a giudicare i loro comportamenti dimenticandoci di noi stessi, quasi cambiando personalità.
Con il mio gruppo invece è diverso, noi non giudichiamo la gente che ci circonda, ma ci prendiamo in giro tra di noi ricordando qualche brutta figura passata. La notte capita di stare fuori fino a tardi e fare gli scemi per strada gridando e scherzando, senza dare importanza al mondo esterno.
E' così che si dovrebbe vivere, pensando sempre a se stessi.
Io e il mio gruppo siamo come il Quintetto di Stephan, un piccolissimo insieme di cinque galassie legate tra di loro dalla gravità. Ci sono due piccole galassie ai lati, che a me piace identificare come Aaron e Rain, i più riservati del gruppo. Poi ci sono due galassie vicine, quasi unite, destinate al collasso. Lì vedo Ophelia e Kaden, estroversi e divertenti, tra di loro c'è un feeling pazzesco ma non ammetteranno mai che c'è di più oltre l'amicizia, se lo facessero, probabilmente tutto collasserebbe.
E poi ci sono io, la galassia centrale, l'intrusa.
Sono quella galassia che non ha ancora trovato un posto, quasi m'illudo di far parte del gruppo. A me, sembra connessa Rain, la mia ragazza.
Ci siamo sempre identificati così nel nostro gruppo, come galassie con all'interno un mondo totalmente nuovo ancora da scoprire.
Non so perché io ne stia parlando al presente dato che è da due giorni che le galassie circostanti alla mia non mi rivolgono parola.
Non si sono neanche degnati di darmi una misera spiegazione, semplicemente hanno iniziato a non salutarmi la mattina a scuola e adesso hanno organizzato un'uscita nel nostro bar preferito di Stamford senza dirmi nulla.
E sono qui, davanti al vetro appannato dal freddo di inizio marzo a decidere come far proseguire la mia giornata. La strada è deserta nonostante siano le tre di pomeriggio, i miei stivaletti sprofondano tra una pozzanghera e l'altra perché non riesco a stare ferma. I miei occhi marroni sbirciano all'interno del bar e veder ridere e scherzare i miei amici senza di me fa male.
Finalmente mi faccio coraggio e con il mio guanto nero - sono molto freddolosa - apro la porta marrone scuro; all'istante una campanellina inizia a suonare facendo girare la maggior parte delle persone sedute verso di me.
Evito lo sguardo dei miei "amici" e cerco un tavolino dove sedermi.
Adocchio un tavolino marrone chiaro tra la finestra e il bancone dei dolci e all'esatto opposto del loro tavolo. Mi siedo sulla sedia blu scuro e prendo il menù per coprirmi la faccia, mossa non molto astuta dato che quasi sicuramente mi avranno vista entrare.
Devo smetterla di mettermi in ridicolo, loro hanno deciso di non parlarmi più da un giorno all'altro, devono essere loro a sentirsi in imbarazzo non io.
«Guarda un po' chi c'è, la mia rossa preferita! Che ti porto oggi?» si avvicina al tavolo Kaori, una ragazza asiatica che lavora qui per pagarsi la retta universitaria. Ormai siamo diventate amiche perché io vengo tutti i giorni qui e ogni volta che mi porta l'ordine mi racconta aneddoti divertenti su suo fratello e le ragazze.
Mi fa piacere che ancora qualcuno mi rivolga la parola, anche se mi tormenta il fatto di non sapere il motivo di questo distacco tra galassie.
«Un caffè al caramello con ghiaccio, grazie.»
Involontariamente, il mio sguardo si posa sul tavolo di fronte a me, e noto che tutti i volti sono puntati proprio nella mia direzione.
Distolgo lo sguardo e mi maledico, devono essere loro a cercarmi quindi farò finta che non ci siano.
Bevo il caffè mentre guardo una pagina Instagram sui dipinti, anche se le mie orecchie stanno ascoltando la voce di Aaron impegnato a raccontare di come ha battuto un tizio in un videogioco alla playstation.
Non riesco proprio a non pensare a loro e anche Kaori deve essersi accorta di questo litigio, perchè oggi si è limitata a servire il caffè senza aggiungere nulla, è evidente che ho l'umore a terra.
Quando escono dal bar rimango spiazzata, tutti si sono girati verso di me tranne Rain, che ha proseguito senza battere ciglio. Mi hanno vista qui e non mi hanno parlato, i nostri sguardi si sono incontrati e nessuno ha fatto qualcosa.
Pago il caffè e decido di uscire dal bar per andare a casa, la giornata si può anche concludere qui.
«Che stai dipingendo?» gli occhi innocenti e infantili di mia sorella osservano i pennelli e la tela con raffigurato un paesaggio.
«Nulla Daisy, tua sorella Aileen è triste e pensava che raffigurando un posto felice le cose brutte l'avrebbero abbandonata, nulla da fare.» poso i pennelli e mi corico a faccia in giù sul letto blu di camera mia.
«Sei triste ora? Aspetta di sentire il rimprovero di mamma per aver fatto bruciare Candice con la tua piastra.» ride in tono malizioso.
«Sei proprio pessima a far stare meglio le persone. Su, dai, vai a vedere cosa fa' nostra sorella.» la incito ed esce dalla stanza.
Giro la testa verso la piccola finestra sul soffitto e rimango ferma a guardare il cielo indossare le stelle e la luce piano piano svanire.
Sono sopraffatta dai miei mille pensieri, quando un vento gelido mi accarezza le braccia e capisco che la finestra sul muro destro di camera mia è aperta.
Mi alzo per chiuderla ma delle mani con dei guanti neri la bloccano facendomi sussultare.
Immediatamente mi ritrovo davanti una figura incappucciata, che con una mano mi fa segno di fare silenzio e con l'altra tiene in mano una pistola.
L'ultimo ricordo, il vento agghiacciante in viso e la paura in corpo.
Ciao amici!
Questo è il primo capitolo di una nuova storia che sto scrivendo, sarà un genere diverso dal mio solito, ma spero vi possa piacere ugualmente!
Il mio scopo con questa storia è mettere ansia, quindi spero di riuscirci!
Sono sempre aperta alle critiche costruttive quindi scrivete pure!
Fatemi sapere anche se vi piacerebbe vedere il cast.
Gli aggiornamenti saranno fatti ogni lunedì, rimanete attivi!
Ogni capitolo avrà un punto di vista diverso visto che i protagonisti saranno cinque totali, quindi vi invito a leggere il nome all'inizio.
Detto questo, spero di avervi incuriositi almeno un po'.
Baci ❤️
Aileen
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