Capitolo 2 - New York

Aveva deciso di piovere. Un cielo nero gonfio di nubi cariche di acqua, che il cielo decise di versare sulla testa di tutti quelli che decidevano di tornare a casa.

Susan era tra i temerari che avevano deciso di tentare la sorte per tornare al suo appartamento situato a Greenwich Village.

Appena superata la porta di ingresso ad accoglierla fu il silenzio, una pesante cappa di silenzio.

Si chiuse la porta alle spalle, cercando di non sprofondare nella più completa solitudine, perché Connor non c'era e anche il grammofono taceva, poiché in casa non c'era stato nessuno fino a quel momento che lo potesse accendere.

Susan, appese il cappotto all'appendiabiti che si trovava all'ingresso, dove mise anche la borsa, fatto ciò si diresse in salotto, dove accese il grammofono e l'assolo di Swanilda del balletto Coppelia si spansero nella stanza.

Si sedette per terra, cercando di non pensare a niente, ma non era così facile, tutto quello che c'era in quell'appartamento le ricordava la sua vita con Connor, e la loro storia era finita da troppo poco tempo per poter essere una ferita cicatrizzata, pensò che non fosse male concedersi un attimo di debolezza.

Aveva giurato che, dopo la morte dei suoi genitori e delle sue sorelle, non avrebbe più pianto, perché non voleva essere considerata una persona debole.

Quel mondo era pieno di persone che non vedevano l'ora di metterti i piedi in testa, Susan ne aveva conosciuti alcuni, alcune fredde lacrime le scivolarono lungo il viso e miss Webster per un attimo abbandonò la maschera di algida fierezza, per lasciare emergere la sua parte sensibile e ferita.

Circondò le gambe con le braccia tenendo la schiena appoggiata al divano, mentre le note continuavano a danzare nell'aria, ma Susan non ascoltava più, si sentiva così male in quel momento.

Pianse tanto, come non si era mai concessa di fare in quel periodo, perché era sempre necessario che mantenesse una facciata forte.

Ma in quel momento, sola, con sé stessa, poteva permettersi di piangere senza temere di essere giudicata, perché era una donna ed era normale che piangesse, perché lei agli occhi degli altri non sarebbe mai riuscita a vincere il Pulitzer, mentre il suo amante sì.

Connor che era arrivato, dove era arrivato perché lei aveva avuto la malsana idea di scrivere quel pezzo, il quale, se non fosse caduto nelle mani del suo amante, forse non gli avrebbe aperto tutte le porte che invece si erano aperte, se lo avesse firmato lei, non lo avrebbero mai pubblicato.

Sapeva che non avrebbe trovato lavoro diverso da quello di giornalista per Harper's Baazar, perché era vero che tutti avevano sentito parlare di lei e pensavano che le sue abilità con la macchina fotografica e nello scrivere fossero notevoli, ma non pensavano certamente che potesse scrivere quel pezzo.

Se lo era sentito ripetere tante volte, ma Susan non era disposta ad accettare di essere giudicata solo in base al suo sesso.

E la cosa che le aveva fatto salire il nervoso era il vedere i manifesti che ancora tappezzavano la città, risalenti a qualche anno prima.

Rappresentavano donne dalle labbra rosse in grembiule che cucinavano arrosti, manifesti che esortavano le donne a mettere da parte gli arnesi, le penne, le menti, e a lasciare il loro posto impieghi ai soldati che erano tornati e se li meritavano più di loro.

Era una cosa orribile da pensare, le donne avevano fatto un grande lavoro durante la guerra, ma molto sarebbe andato perduto, se nessuno si fosse preso la briga di raccontarlo e forse avrebbe potuto farlo lei.

Si asciugò le guance con un fazzoletto e si alzò dal pavimento, sul raffinato tavolino nero lucido si trovavano le sue due macchine fotografiche, una era una Leica e l'altra una Rollei, regalo di sua sorella Victoria per il compleanno.

Si diresse in cucina e iniziò a cucinare una zuppa, non aveva molta fame, ma aveva voglia di mangiare qualcosa.

Prese da una delle ante della cucina una bottiglia di vino e apparecchiò la tavola, in tutto quel silenzio, il rumore dei piatti e dei bicchieri che venivano estratti dalle ante sembravano un frastuono assordante che nemmeno il suono del grammofono riusciva a coprire.

Finí di preparare la zuppa e si sedette a tavola, consumando il suo pasto in rigoroso silenzio, non si sentiva per niente bene, anzi, i ricordi minacciavano di assalirla da un momento all'altro.

Odiava quella sensazione, come odiava di aver vissuto lì dei bellissimi momenti con Connor, il quale l'aveva pugnalata alle spalle, quando meno se lo aspettava.

Non si era mai sentita così male come quando aveva scoperto cosa aveva fatto Connor, le sembrava assurdo che il suo amante potesse anche solo pensare di usare un pezzo di Susan per diventare famoso.

La donna cercò di allontanare quei pensieri, ormai non leggeva il New York Post perché temeva di imbattersi negli articoli scritti da Connor.

Terminò la cena e andò in camera per iniziare a fare i bagagli.

Il giorno successivo sarebbe partita, e avrebbe messo in valigia tutto quello a cui teneva, non avrebbe messo in vendita l'appartamento, perché pensava che, prima o poi, sarebbe tornata.

Perché, per quanto amasse Parigi, sapeva che presto New York l'avrebbe di nuovo chiamata a sé, non sapeva né quando né se sarebbe mai successo, ma non se la sentiva di escluderlo.

Aprí l'armadio e tirò fuori i suoi abiti normali, quelli che usava tutti i giorni, e iniziò a metterli ordinatamente nella valigia che aveva appoggiato aperta sul letto.

Ma quelli non erano gli unici abiti che Susan si sarebbe portata in Francia.

Dall'armadio estrasse altri abiti, ma questi erano diversi, di foggia molto più pregiata.

Il primo era un lungo vestito rosso, senza spalline, il corsetto modellato per entrare perfettamente all'interno della curva di un seno, dalla vita stretta cadeva una gonna che viveva di vita propria; una gonna che voleva ballare, girare in tondo in un selvaggio e romantico turbinio rosso.

Un regalo, questo, fattole da Christian Dior, per il ventiduesimo compleanno di Susan.

Un regalo molto apprezzato, che Susan aveva indossato più di una volta, ma c'è ne erano altri e la donna si era premurata di tirarli tutti fuori dall'armadio per riporli in un baule apposito, perché non voleva che si rovinassero.

Poteva sembrare un modo eccessivo di trattare dei vestiti, ma per Susan erano importanti, come importanti erano i regali che aveva ricevuto dai genitori e dalle sorelle prima di quel tragico incidente, tra cui i suoi diari, un pacco di lettere inviatale dalle sue sorelle e che Susan aveva legato con un nastro rosso, degli spartiti musicali e un violino che sua sorella Kat si era dimenticata da Susan una volta che era venuta a trovarla in America, ora quello strumento era una delle poche cose che le rimaneva di sua sorella.

Avrebbe tanto voluto che fossero ancora in vita, loro non approvavano il fatto che non si fosse ancora sposata, ma non avevano mai cercato di allontanarla, anzi la consideravano ancora un membro importante della loro famiglia e Susan ancora si domandava cosa sarebbe successo se non fossero mai saliti su quel treno.

Era tuttavia inutile pensare ad una eventualità diversa, poiché Susan era convinta che, se era destino che i suoi familiari dovessero morire, sarebbero morti lo stessi, magari in un modo peggiore.

Finí di preparare i bagagli che fuori ancora pioveva, non avrebbe smesso per tutta la sera e di questo Susan ne era certa.

Era un po' come quando viveva a Londra, quando attaccava a piovere non la smetteva più e lei, da brava inglese, non era mai stata infastidita dalla pioggia, a differenza di Connor che non poteva soffrirla, la pioggia.

Susan sospirò, scegliendo gli abiti che avrebbe indossato il giorno successivo per la partenza, preparò sul tavolo il passaporto, il visto e tutti i documenti necessari.

Avrebbe alloggiato nell'appartamento che era stato di sua zia, quando ancora viveva nella capitale francese.

Prese una sigaretta la accese e uscì sul balcone.

Inspirò il fumo azzurro per poi espellerlo dalle labbra, mentre si godeva quella pioggia invernale, e l'odore dell'asfalto bagnato che saliva fino alla sua finestra.

-Domani a quest'ora non sarò più qui - si limitò a dire Susan con un sorriso.

La sua nuova vita sarebbe iniziata da lì a breve.

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