Chapter Twentytwo - Part one: You wake up from every dream

"Caught like a fly
In a web of your lies

It's truth be told now

Or it's meet your demise

So how did it feel?

When you held the knife

That you stuck right in my back

A thousand times"

- Falling in Reverse, Caught like a fly

A trascinarmi fuori dal torpore del sonno non è l'amorevole cinguettio degli usignoli, come si potrebbe malamente pensare, bensì qualche clacson e imprecazione che dalla strada sale fino alla finestra del salotto. Ci metto qualche istante a focalizzare i contorni della stanza, eppure pian piano ogni cosa si fa nitida, insieme a una sensazione a cui non credo di essere più abituata.
Un braccio mi cinge, arriva da oltre le mie spalle e la mano che vi è attaccata s'infila sotto alla maglia accarezzando immobile la pelle del ventre. Il respiro bollente di Seth lo sento svicolare dalla nuca su una parte della spina dorsale e, involontariamente, un brivido inizia a percorrerla per tutta la sua lunghezza, arrivando sino ai lombi. Mentre passa da una vertebra a quella successiva, la mia memoria porta a galla i primi ricordi di ciò che è successo solo qualche ora prima: la sua bocca che morde e insegue la mia, le sue dita oltre l'orlo della t-shirt e sotto al reggiseno, il palpitare accelerato del suo cuore quando con le labbra gli ho sfiorato la giugulare e... un vuoto mi assale, lo stomaco sembra trasformarsi in un buco nero al pensiero di cosa è seguito - o avrebbe potuto, visto che comunque ha voluto fermarsi per rispetto nei confronti di qualcuno o qualcosa che ancora fatico a immaginare.

Una parte di me, ricordando le parole che ha pronunciato allontanandomi dai suoi boxer, non può negare di sentirsi ferita, un'altra, invece, quasi ne è sollevata. Come ho detto, non credo di essere del tutto pronta a questo - inoltre, anche se a lui ho preferito non confessarlo, mi è parso che la paura e i rimorsi se ne stessero nascosti tra le mensole e l'arredo, osservando ogni tocco e ascoltando ogni respiro un po' più affannato, spiando quell'intimità che per la prima volta ha osato superare qualche limite.

Tra una cosa e l'altra la sera precedente, al divano si è sostituito il tappeto e a cullarci nel sonno si è aggiunta una coperta in cui, ora, mi ritrovo completamente avvolta. La stoffa si adagia sulle gambe nude, le protegge dal freddo e mi fa capire che nulla, di ciò che è successo, appartiene a un sogno. Stavolta la mia fantasia non ha creato improbabili scenari, quello che c'è stato tra noi è così vero che mordendomi le labbra mi rendo conto di essere ancora in fibrillazione.

Forse un principe azzurro c'è anche per le principesse più improbabili.

Una vibrazione poco più in là della mia testa mi distrae dai pensieri, catturandomi completamente. Riconosco la sequenza, è il mio cellulare.

D'istinto allungo il braccio alla sua ricerca, preoccupata che il rumore possa svegliare Seth o che si tratti di una chiamata importante da parte di mia madre, Jace, Liz o magari di Charlie che, finalmente, ha deciso di perdonarmi. Con le dita tasto il tavolino che mi affianca e, vagando senza logica sulla superficie legnosa, finisco con il trovarlo pochi istanti dopo.
Lo afferro giust'in tempo, mettendo fine al baccano.

Morgenstern mugola, poi affonda il viso nel cuscino improvvisato che sono i pantaloni che avevamo addosso prima di fare ciò che abbiamo fatto. La sua mano si preme su quello che resta dei miei addominali, un ammasso di carne soffice che tradisce la mia passione per i dolciumi, e mi spinge a lui - e voltando appena lo sguardo, mi perdo a osservarlo.

Mentirei se dicessi che è la prima volta che lo spio, così come direi una bugia se negassi di non aver mai sperato di svegliarmi in questo modo: stretta a lui.

Quante sere, passate a casa dei Benton, sono state mie complici. Quante volte nella stanza del mio migliore amico, svegliandomi nel cuore della notte per cambiare posizione, andare in bagno o spostare le braccia di Jace, ho allungato il collo e osservato questo viso di nascosto. Troppe, eppure non l'ho mai fatto così beatamente. Ora nessuno può scoprirmi, nessuno può deridermi o scandalizzarsi per questi miei desideri.

Ma come in altre occasioni, finisco con il distogliere lo sguardo.
Catherine reclama la mia attenzione con messaggi audio dalla durata estenuante, esattamente come mio fratello o nonna Josephine.

L'unico a mancare dalla lista però, è colui di cui avrei più voluto leggere il nome.

***

Miss Olimpia Sorrento, lo stereotipo dell'insegnante di chimica che sembra aver inalato troppi fumi nocivi e perso qualche neurone a seguito di ciò, mi fissa dalla cattedra aspettandosi che possa rispondere alla sua domanda, ma io fatico a trovare la soluzione che cerca.

Ho passato il weekend a festeggiare il mio diciottesimo compleanno con chiunque avesse un ruolo importante nella mia attuale esistenza, crogiolandomi continuamente nei ricordi di ciò che ho fatto con Seth - per questo, ogni volta che ho cercato di leggere gli appunti riguardanti le leggi di Boyle, ho finito con il perdermi in estatici secondi di completa nullafacenza. Però non posso permettermi l'ennesima insufficienza, non quando a rischio ci sono la mia vita sentimentale e sociale.
Se al mio curriculum scolastico si dovesse aggiungere un altro votaccio darei a Catherine un deterrente perfetto per esiliarmi nelle quattro mura domestiche che compongono l'abitazione dei Raven - quindi, seppur io non abbia idea di ciò che sia corretto dire, mi ritrovo a scavare tra i ricordi delle lezioni precedenti.

«Si tratta di una legge... una legge riguardo ai gas.»
«Quali gas?»

Panico.
«I... nobili?»

Miss Sorrento sospira. Suppongo sia la risposta giusta, anche se è difficile capirlo da quell'espressione stralunata che ha.

«E cosa comporta?»

Il desiderio di voltarmi verso qualche compagna si fa forte, ma desisto dal farlo - sarebbe un inutile spreco di energie, visto che nessuna di loro è abbastanza magnanima, altruista o amichevole dal venirmi incontro in questo momento di bisogno.

«La relazione tra... temperatura e pressione» provo a dire avvalendomi del fatto che tutte le ultime lezioni hanno riguardato la tematica dell'abbassamento o innalzamento delle temperature nei confronti degli elementi.

Un tempo, o più precisamente il semestre scorso, ero stata brava a mantenere la media costante, ora invece a ogni nuova domanda mi ritrovo sempre meno sicura delle mie capacità-

«Solo?» La professoressa annota qualcosa sul proprio taccuino e l'ansia si fa più minacciosa.
«No! No. Certo che no» abbozzo un sorriso, ma temo che appaia più come un ghigno disperato.
«Quindi?»
«La relazione tra temperatura, pressione e... v-volume

Finalmente annuisce e un peso mi si leva dal petto.
Grazie al cielo arrancare è una tecnica che mi riesce bene, sennò a questo punto sarei morta per mano della donna che mi ha messo al mondo e che, oltre a me, ha altri due figli fin troppo diligenti.

«Perfetto, allora mi scriva la formula, Miss Raven.»

Di male in peggio, insomma.

Mi volto verso la lavagna con lo stomaco contorto su se stesso per l'agitazione, cercando un gesso con cui scrivere qualcosa che al momento mi è ignoto - già, perché conoscere i fattori non vuol dire saperli assemblare.
Cerco di perdere quanto più tempo possibile, ma alla fine mi è inevitabile scampare all'umiliazione pubblica a cui andrò incontro dimostrando la mia ignoranza.

Stringo le dita intorno al cilindretto bianco, ne appoggio la punta sulla lastra scura e deglutisco a fatica. Davvero pensavo che il karma mi avrebbe graziata dandomi Seth e lasciando invariato tutto il resto? La mia stupidità è davvero così sconfinata?

Scrivo la prima sigla, aggiungo un uguale e, quasi come un miracolo, la campanella suona giusto nell'istante in cui comprendo di non saper proseguire. Di eventi così mistici, fino ad oggi, avevo solo saputo l'esistenza nei telefilm.

Svelta mollo la presa sul gesso: «Santo cielo, che peccato!» dico strofinando le mani per togliermi la sensazione di sporco dalle dita: «L'ora è già finita? Avrei davvero voluto concludere, Miss Sorrento, però devo proprio scappare. Sa, ho impegni inderogabili che mi stanno aspettando.»
«Jane, l'avverto che non abbiamo finito qui. Per ora mi segno una sufficienza scarsa, ma la prossima volta continuiamo, ha capito?»

Faccio sì con la testa, anche se sto già ficcando libri e matite dentro lo zaino e delle sue intenzioni future non mi interessa nulla: Caroline mi sta aspettando e io non voglio correre il rischio di restare invischiata in una situazione tanto compromettente da rovinarmi il pomeriggio.

Nel marasma di studentesse che si alzano concedendosi commenti e battutine sulla giornata scolastica appena trascorsa - e probabilmente anche sulla mia performance durante questa inaspettata interrogazione - svicolo tra i loro corpi temprati da anni di palestra, danza classica o pallavolo, cercando quanto prima una via di fuga dalla prigione che è la Saint Jeremy.
Mancano solo pochi mesi, mi ripeto mentre avanzo, poi finalmente potrò dire addio a questo luogo e a tutte le figlie di papà che lo rendono tanto angosciante; già, perché se non fosse per loro e l'evidente noia dei docenti nello svolgere il loro lavoro, questa scuola potrebbe persino essere accettabile, ai miei occhi.
Varco la soglia dell'aula a grandi passi, mettendo piede nel corridoio quasi fossi entrata nel giardino dell'Eden - peccato che, a differenza di un posto così idilliaco, qui viga un vociferare tanto intenso da ricordare piuttosto un purgatorio stracolmo.

E la testa, che già durante la lezione aveva preso a dolore, sembra pulsare ancor di più.

In balìa del mal di testa, e troppo esausta per combatterlo, lascio che la fiumana di alunne mi conduca verso le scale, poi oltre il portone di ingresso e, una volta raggiunto il marciapiede, mi concedo il lusso di un sospiro.

E' finita, e anche oggi sono sopravvissuta.

Alzo gli occhi al cielo, piegando il collo all'indietro e concedendomi un nuovo, liberatorio sospiro. Quando spalanco le palpebre scopro le nuvole sopra di me muoversi lente, sono sospinte dalla stessa brezza leggera che mi solletica la pelle oltre le collant. Le guardo vagare nell'azzurro come pecorelle smarrite, portando con sé il profumo della primavera.
E' un peccato doversi negare a una giornata di tale bellezza, rinchiudersi per la maggior parte delle ore diurne dentro quattro mura opprimenti e ascoltare senza sosta gli sproloqui dei docenti dovrebbe essere un crimine verso tutto il corpo studentesco - eppure pare quasi che nessuno se ne renda conto.

«Jay!» la voce di Caroline mi distrae dal panorama, facendomi nuovamente abbassare lo sguardo verso terra. La vedo avvicinarsi sgomitando tra la gente, le labbra arricciate in una smorfia infastidita. Nonostante sia più alta di me, il suo essere tanto esile la fa passare quasi inosservata in mezzo alla folla e, alle volte, osservarla ha un chè di comico.

Mi volto completamente nella sua direzione, aspettandola senza muovere un passo e, quando finalmente sfugge al casino creato dalle nostre compagne, mi si getta al collo sorridendo.
«Mi sembra di non vederti da una vita! Mi hai ignorata per tutto il weekend!» bofonchia a ridosso del mio orecchio. Si stringe a me con entusiasmo, forse nascondendo dietro alla gioia anche una sottile vendetta - e come biasimarla? Ho trascorso questi giorni con tutti tranne che con lei.
E Charlie, ovvio. Però, a differenza di Benton, Caro ha risposto a tutti i miei messaggi, mi ha tartassata nonostante la distanza e gli impegni: lui invece è sparito.

Rido, pizzicandole il fianco: «Da quando sei diventata la mia fidanzata?»
«Ahi!» Mugola subito prima di schiaffeggiarmi le dita: «Io sono la tua anima gemella, non una fidanzata qualsiasi!»
Incrociando le braccia al petto volta il capo, strappandomi con fin troppa semplicità l'ennesimo sorriso. Comportandosi a metà tra una bambina e una commediante finisce sempre con il farmi ringraziare il karma di averla condotta a me - perchè con la sua spontaneità riesce a rallegrare anche le giornate più tese. Caroline è, in sintesi, quell'amica che ho desiderato per tanti anni durante la crescita, la figura che bramavo di avere accanto ogni volta che le cose, nel mistico mondo da femminuccia in cui mi ritrovavo, andavano male.
È una persona che ride alle mie terribili battute, alle volte controbattendo con commenti persino peggiori e, nonostante le poche stranezze mi contraddistinguono, non si allontana mai.

Ed è forse è giunto il momento di introdurla del tutto alla mia realtà, magari partendo proprio da colui che, per la maggior parte del tempo, mi sottrae alle uscite con lei.

«Ah, sì? Allora dovremmo informare Seth della cosa, non pensi?»

La ragazza davanti a me sgrana gli occhi, la sua sorpresa è tale che pare essere arrivata la notte di Natale: «Intendi...? Oddio, davvero? Sto per conoscere l'inumiditore delle tue mutandi-» le tappo la bocca prima che qualcuno possa sentirci. Preferirei evitare che una qualsiasi delle signorine della Saint Jeremy si ritrovi a udire simili commenti, dopotutto potrebbero usare queste informazioni contro di me in modi pressoché inimmaginabili e, al momento, gradirei non incorrere in tali evenienze.

«Se ti azzardi a continuare la frase, no!» Il rossore sul mio viso ad ogni modo potrebbe tradire qualsiasi tentativo di nascondere l'imbarazzo, così strattono Caroline, oltrepassando il primo angolo disponibile e pregando qualunque divinità di non peggiorare la già di per sé frustrante situazione.

«Ti prego,» esorto la mia amica: «non dire certe cose ad alta voce, né qui né di fronte a lui.»
«Quindi me lo presenti?»
Il suo entusiasmo nel ripetere la domanda mi fa sospettare che non abbia dato alcuna importanza al tono o al significato delle mie parole, però il sorriso che ha in viso è sufficiente a farmi tirare un sospiro e rinunciare. Sembra tenerci veramente a questo incontro, ma non riesco a capirne il motivo. Curiosità? Neuroni latenti? O forse è un'altra di quelle cose, a me sconosciute, tipiche dell'amicizia tra ragazze? Vorrei saperlo, peccato che in quest'ambito io abbia la stessa inesperienza delle relazioni amorose.

«Promettimelo però» dal basso del mio metro e settanta parecchio scarso le lanciò un'occhiata bieca. Dubito fortemente che dalle sue labbra possano uscire commenti innocenti, dopotutto ho appurato varie cose in queste settimane: Caro è loquace, alle volte non presta nemmeno attenzione a ciò che dice, apparendo così infinitamente sincera; è spumeggiante, un po' come Jim Carrey in "The Mask", però è anche terribilmente buona e affettuosa. La sua spontaneità in alcune occasioni mi è parsa difficile da gestire, eppure è una delle cose che più ho apprezzato di lei.

Annuisce, allargando il sorriso: «Ci provo, però non ti assicuro nulla» mi avverte, forse conscia come me del suo carattere tanto particolare e, prima che possa aggiungere altro, mi afferra per la mano, incamminandosi verso un punto del tutto casuale.

Dovrei dirle che la fermata del nostro autobus è dall'altra parte?

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