Chapter Twentysix: Come to terms with the enemy

"So save your predictions
And burn your assumptions
Love is friction
Ripe for comfort
Endless equations
And tugging persuasions
Doors open up
To interpretation
Expecting perfection
Leaves a lot to ignore
When the past is the present
And the future's no more
When every tomorrow
Is the same as before
The looser things get
The tighter you become
The looser things get
Tighter
Not one man can be greater than the sun"

- Pearl Jam, Dance Of The Clairvoyants

Seth mi fissa, pare pensieroso. I suoi occhi mi hanno seguita per tutto il tempo, dal momento in cui sono rientrata, con la busta dei medicinali ancora stretta al petto, ad ora, mentre appoggio la tazza con il tè caldo sul suo comodino e rileggo per la centesima volta il dosaggio del paracetamolo.

Cerco di non incrociare il suo sguardo, in modo da impedirgli di leggermi in faccia la tristezza provocata dalle parole di Charlie, però sono conscia del fatto che presto o tardi i nostri visi finiranno per essere uno di fronte all'altro - e a quel punto, mentire mi servirà a poco.

«Se n'è andato?»

Mi mordo il labbro, fingendo di leggere una riga che in realtà non riesco a comprendere, troppo occupata a tenere la mente lontana dall'immagine ancora vivida dell'espressione di Benton, quella fatica fin troppo ovvia nel restare davanti a me e scambiare qualche parola.

«Sì, aveva da fare, non ricordi?»
Morgenstern annuisce, anche se la cosa non pare rincuorarlo in alcun modo, quasi ci fosse qualcosa rimasta in sospeso. Forse voleva ancora parlare con lui, discutere di ciò che è rimasto taciuto dopo quel messaggio; però non ne ha avuto modo, probabilmente a causa mia.

Afferro il blister: due pasticche da 500 mg.

«Avete parlato?» Il cuore inizia a battermi forte, sento l'agitazione stringermi le viscere. Che l'abbia notato? Che si sia accorto della mia distrazione? Vorrei saperlo. Mi piacerebbe così tanto poter entrare nella mente delle persone che amo, scavare tra i loro pensieri e scoprire cosa stanno per dire o si aspettano di sentire. Avere un super-potere al pari della telepatia mi aiuterebbe a evitare moltissimi guai, i fraintendimenti, gli allontanamenti. Eppure non sono l'eroina aliena di qualche fumetto, non c'è alcuna dote speciale a rendermi le cose meno complicate.

Tiro un sorriso, l'ennesimo in questa lunghissima giornata di cose andate male: «Giusto qualche minuto» confesso, appoggiando le pillole accanto al tè, «Te l'ho detto, era di fretta».

Seth mi fissa ancora, con la coda dell'occhio vedo il suo viso rivolto verso di me, solo che ora non ho più nulla che possa tenere il mio lontano, perso in qualche faccenda da infermierina preoccupata.
«Cosa ti ha detto?»
Corrugo le sopracciglia. Nel suo tono c'è una serietà insolita, ma non saprei dire se per via dell'argomento trattato o della stanchezza data dalla febbre.
«Nulla» mento, anche se solo a metà. Non posso certo raccontargli della ramanzina, o di quello squallido commento sulla nostra inesistente vita sessuale: conosco Morgenstern, il suo caratteraccio lo farebbe balzare in piedi e cercare vendetta. «Mi ha semplicemente chiesto perché stavo piangendo, prima» rimetto via il foglietto illustrativo, sedendomi subito dopo sul bordo del letto. La trapunta pare aver placato i tremori, anche se il suo sguardo e le sue guance continuano a testimoniare la presenza della febbre.

«Davvero?»
Annuisco.
«E tu che gli hai risposto?»

Mi bagno le labbra, soppesando le parole da usare. E se anche lui usasse le medesime frasi di Benton? Potrebbe, il mio ragazzo, dirmi in faccia che non sono altro che un'ipocrita egoista? E come reagirei di fronte a un suo attacco?

«Che Caroline ed io abbiamo litigato» soffio, sentendo la testa pesante. Sto pensando troppo, forse. E' da ore, se non giorni, che rimugino e mi arrovello su tutto ciò che è successo, un flusso non-stop di dubbi, paranoie e scenari tutt'altro che piacevoli; il confronto di poco fa con Charlie non ha certo aiutato a calmare la situazione al di là del mio cranio.

Lui storce le labbra: «Parli della tipa bionda che avrebbe voluto spaccarmi una sedia in fronte?» domanda, rivangando il loro primo, e alquanto tragico, incontro.
Sorrido di fronte a tale descrizione, trovandola perfettamente in linea con il carattere spumeggiante di lei: «Vedo che te la ricordi bene».
«Difficile dimenticare qualcuno che ti vorrebbe picchiare a sangue, soprattutto in una situazione del genere» stavolta sono i lati della sua bocca ad alzarsi, formando una mezzaluna perfettamente bianca. Nonostante le sigarette e il caffè, il suo dentista fa sempre un ottimo lavoro.

«Già...»

«E perché avete litigato?»
Ora mi volto verso di lui, scruto il suo volto con eccessiva intensità. Mi riterrebbe infantile se gli confessassi la verità? Conoscendolo, so che ne sarebbe capace; la sua lingua è tanto calda quanto tagliente, saprebbe sgozzarmi semplicemente passando a filo sulla pelle del collo - ed è forse per questo che ogni volta che mi bacia temo di morire tra felicità e paura. Eppure, ora, pare non avere le forze per compiere una simile malignità - così cedo: «Non abbiamo propriamente litigato...» Con un movimento sgraziato mi porto le ginocchia al petto: «Ho solo scoperto che si vede con Misha».
Lui ingoia le pillole di paracetamolo, beve un sorso di tè ancora bollente per riuscire a mandarle giù con più facilità e poi, corrugando le sopracciglia, mi domanda: «Che problema c'è se ha altre amiche? Finché non vi costringe a stare insieme...»
«Non in quel senso, Seth. Si vedono nel modo in cui ci vediamo tu ed io» puntualizzo.

«Oh, ora capisco» sogghigna, appoggiando la tazza nuovamente sul comodino.
«Cosa?»
La confusione ha la meglio su di me, così mi sporgo appena, cercando di leggergli nello sguardo una risposta che già so di non poter immaginare - perché lui è imprevedibile, sfugge dalle dita come la sabbia asciutta e, per questo, continuo a bramare la sua consistenza. Tutto ciò che non ci è assicurato, che in parte resta inafferrabile, è per noi fonte di desiderio.
A sua volta si tira verso di me, staccando la schiena dalla testata del letto e arrivando a una spanna dal mio viso: «Che vuoi l'esclusiva».
Rido, nervosa: «Ma che stai dicendo?»
«Eppure...» una sua mano si allunga verso di me, mi cinge l'avambraccio più vicino e, d'improvviso, cogliendomi del tutto impreparata, mi tira a sé per un bacio.
Dolce, poi avaro.
Le sue labbra si schiudono con sempre maggior frenesia, mentre le dita che non mi stringono prendono a infilarsi tra i capelli, impedendo alla testa di allontanarsi - però io non sono lui, ho bisogno d'aria. Non può chiedermi un'apnea tanto prolungata, non sopravvivrò alla forza delle sue onde, l'ho già constatato più e più volte nel corso di queste settimane.

Ma ecco che, proprio come mi ha sorpresa, avvinghiandomi alla sua bocca, si ferma sorridendomi malignamente.

Apre le palpebre, dandomi completa visione del verde acquoso delle sue iridi: «Pensavo di bastarti».

Ho il cuore in gola, il fiato corto; e non riesco a non chiedermi se il rossore delle sue gote sia dato da questo slancio, con annessa l'ennesima frase d'effetto capace di inumidire gli slip delle giovani e caste fanciulle, o se sia per colpa della febbre che sta salendo.

Deglutisco, provando a mandar giù il cuore e rimetterlo al proprio posto, ma ritrovandomi invece a fallire miseramente.

«Sbaglio?»

No.
Però se evitassi di farmi titubare così spesso e mi svelassi ciò che mi tieni segreto potrei cedere con più semplicità.
Peccato che non possa dirglielo. Non ora e nemmeno così, quindi d'un tratto alzo il palmo, mettendoglielo sulla fronte.
«Ma dici sempre tutte queste scemenze, quando hai la febbre?»

***

Dal tavolo della cucina, dove con Liz fingo di studiare per qualche imminente esame, odo il campanello d'ingresso suonare un paio di volte, poi scorgo la sagoma di Josephine passare oltre l'arco che collega la stanza con l'androne, in direzione della porta.
«Aspetti qualcuno?» domando a mia sorella, tutta occupata a completare un esercizio di matematica che io nemmeno saprei da che parte iniziare. Lei nemmeno alza lo sguardo, resta fissa sulla sua calligrafia perfetta. Nonostante il rappacificamento, alle volte fatica ancora a considerarmi come un membro effettivo della famiglia, o un essere vivente dotato del verbo.
«No».

Così torno a fissare con curiosità lo spicchio di spazio che mette in comunicazione i due ambienti, avvertendo lo stomaco stringersi un poco.

E se fosse Charlie? Magari è venuto sin qui per accettare le mie scuse, per chiarirci una volta per tutte, visto che continua a ignorare i miei messaggi... Oppure è Seth? La febbre dovrebbe essergli scesa, quindi potrebbe benissimo aver deciso di venire a farmi visita; sarebbe un mefistofelico invito a rinunciare allo studio ed io, da santa quale non sono, cederei con fin troppa semplicità alla sua tentazione.

Peccato che quando nostra nonna compare, infrangendo i miei sogni, al suo seguito non c'è nessuno dei due, bensì la ragazza che meno di tutte mi sarei aspettata di vedere qui, tra le mura di casa Raven. A dire il vero, nemmeno sapevo che conoscesse il mio indirizzo: mi avrà forse fatta pedinare?

Resto interdetta a fissarla, così come sembra far lei, poi dal nulla Elizabeth si riscuote dal torpore dei suoi infiniti calcoli, infrangendo la cappa di silenzioso astio che si è andata a creare nel momento in cui l'ospite, seppur indesiderato, ha messo piede in cucina: «Oh, cazzo! Misha?» E il suo stupore è quasi paragonabile al mio, se non ci fosse di mezzo anche una nauseante dose di ribrezzo.

«Ciao» lo sforzo che compie nel sorriderci non potrebbe essere nascosto da nessuna dote teatrale - e la cosa è reciproca, o almeno per la sottoscritta, visto che mia sorella prova per la signorina MacCoy la stessa ammirazione di molte nostre compagne. Ovviamente ignare del suo segreto.

Liz salta in piedi, incurante dei pantaloni con gli orsacchiotti che indossa: «Santi numi, che ci fai qui? No, no! Scusa! Accomodati pure. Posso offrirti qualcosa? Una coca, acqua, caffé... o forse preferisci del tè?» E' così agitata da sputare una domanda dietro l'altra, trasformandosi in una mitragliatrice umana di quesiti del tutto inutili. Inoltre, dovrebbe sapere che non bisogna mai offrire qualcosa al nemico, nemmeno un tè alle cinque del pomeriggio.

Misha scuote la testa: «No, grazie mille. Sono qui per tua sorella a dire il vero».
«Che?» domando io, all'unisono con la mia consanguinea - non so nemmeno dire chi, tra le due, sia più sconvolta da una simile confessione.
«Sì, dobbiamo parlare».
«Tu ed io?» è difficile trattenere l'ilarità di fronte a situazioni tanto assurde, così mi sfugge una mezza risata che, di conseguenza, mi fa guadagnare un'occhiataccia ben più severa del solito. A quanto pare sono l'unica a trovare ridicola una possibile conversazione tra me e lei.

«A meno che non abbiate una terza sorella...»
«No! No, abbiamo solo un fratello maggiore» Liz cerca nuovamente d'apparire carina, ma sfortunatamente per lei, con la sua incomprensione dell'ironia della nostra ospite, dà reale dimostrazione di essere imparentata con me. Un punto a suo sfavore, se voleva ingraziarsi una tra le ragazze più popolari della scuola.
«Sono a conoscenza dell'esistenza di... Jace, giusto? Ma grazie lo stesso per la precisazione» ancora una volta le sue labbra sforzano un'espressione amichevole, peccato che non sia abbastanza brava: «Ora, di grazia, puoi vestirti e venire con me, Jane?»

La fisso, soppesando la sua richiesta. Perché dovrei seguirla? Per quale ragione dovrei sprecare il mio tempo uscendo con lei? Non ha forse rovinato la mia vita a sufficienza? Non è forse per colpa sua se la mia adolescenza è stata costellata da momenti di totale inadeguatezza all'interno delle mura scolastiche?

«Di cosa dovremmo parlare, noi due?»
«Lo sai».

Ah, giusto... della sua ormai-non-più-segreta tresca con la mia migliore amica.
Ma voglio farlo? Non dovrebbe forse essere Caroline a presentarsi qui in lacrime e chiedermi di poter parlare e chiarire la situazione?
Mentre me lo chiedo però, un flashback mi riporta a ieri, a quelle scale i cui gradini, sotto ai calzi, mi sono apparsi gelidi come lo sguardo di Charlie. La sua voce inizia a riecheggiare nelle orecchie e improvvisamente mi sento schiacciare dalla consapevolezza di non poter comportarmi così di fronte alla questione - quindi annuisco, alzandomi.

«Fammi mettere una felpa e le scarpe» e così dicendo, nemmeno dieci minuti dopo, mi ritrovo al fianco della mia nemesi a percorrere un marciapiede pressoché vuoto.
Camminiamo una accanto all'altra con le mani in tasca e lo sguardo perso un po' ovunque; l'importante è non guardarci a vicenda, perché renderebbe la situazione ancor più strana di quel che già è.

Avanziamo in silenzio per qualche centinaio di metri, allontanandoci il più possibile da orecchie indiscrete di qualsiasi persona presente nel quartiere, come se oltre a Liz ci possa essere qualcuno che vuole impicciarsi dei nostri affari.
Io fumo pigramente, lasciando che sia il vento, più che i miei polmoni, a respirare la nicotina della sigaretta, mentre lei di tanto in tanto soffia via dal viso le ciocche sfuggite dalla coda. Il rosso dei suoi capelli, alla luce del sole, pare essere fuoco.
«Sai, Jay» d'un tratto, forse convincendosi di essere arrivata abbastanza lontana da poter intavolare la conversazione per cui è venuta fino a casa mia, la sua voce irrompe tra noi sotto forma di sussurro: «a me Caroline piace».
«Davvero?» fingo stupore.
Lei mi lancia un'occhiata bieca, rallenta il passo e alla fine si ferma, costringendomi a farlo a mia volta. Per poterla vedere devo girarmi e alla fine finiamo faccia a faccia.

«Hai finito di fare la stronza?»
Alzo le spalle, dubbiosa. Non che mi vada molto, ma a quanto pare le alternative sono meno di quelle che avrei sperato e visto che non riesco a scrollarmi di dosso il disprezzo con cui Charlie mi ha colpita finisco col sospirare, arrendendomi.
«Non sarei mai venuta da te, se non fossi seria» si morde il labbro, un po' come faccio anche io: «dopo quello che mi hai fatto...»
«Che ti ho fatto? E cosa ti avrei fatto esattamente, Misha? No, perché da quel che so sei tu che mi stai rovinando la vita da ben tre anni, per non dimenticare che ti scopi la mia migliore amica!»
La ragazza davanti a me contorce la smorfia, un mix di rabbia e confusione a cui non riesco dare una reale spiegazione, poi muove un paio di passi in avanti, accorciando la distanza tra noi in modo evidente.

«Tu hai idea di quanto sia stata dura, per me, stare ogni giorno nella stessa classe della persona che mi ha spezzato il cuore? E' ovvio che mi dovessi sfogare in qualche modo!» La sua voce prende toni acuti, mi pizzica i timpani in modo fastidioso - e sinceramente trovo le motivazioni del suo odio per me infinitamente assurde. Dopotutto non ho scelto volontariamente di rinnegare il suo amore, è stata una conseguenza ovvia ai sentimenti che già provavo per Seth. Non ho deciso di rifiutarla per puro sadismo, semplicemente non trovavo alcuna attrattiva in lei. Per quanto bella, Misha MacCoy non potrebbe mai farmi innamorare di sé; non al pari di Morgenstern, quantomeno - e questa è una cosa incontrollabile.
Mi afferra per i lacci della felpa, tirandomi più vicina: «Jay, ho fatto fatica a ignorarti. Tu eri sempre lì, davanti a me, sia in classe, fisicamente, sia in altri momenti semplicemente tra i miei pensieri, e non sapevo più come lasciare andare la presa sui sentimenti che nutrivo per te, eppure li combattevo ogni giorno. E poi è arrivata lei. Caroline mi ha fatto dimenticare te» ha gli occhi fissi nei miei, un'espressione tanto seria che per la prima volta mi asciuga la gola. Cosa dovrei risponderle? Come potrei difendermi di fronte a questa sua confessione?

«E sai una cosa? Non sono disposta né a mettere a repentaglio quello che c'è tra noi, né a vederla triste ogni giorno per colpa tua! Sant'Iddio! Non dovresti essere la sua migliore amica? O l'unica, per quel che ne so...»

Mi mordo la lingua.
Anche Charlie ha detto una cosa simile, ma lui nel farlo è stato sicuramente più tagliente.

Sono la sua migliore amica, così come lei lo è per me, quindi non dovrei volerle abbastanza bene d'andare oltre a una cosa di questo tipo? Non è forse ciò che chiedo ogni giorno, a un'entità sconosciuta, quando penso a Jace e Seth e tutto ciò che vi sta nel mezzo?

Pigio forte, lasciando che i denti creino la propria impronta sulla carne della lingua e cercando di mettere da parte l'orgoglio. Sì, si tratterà pur sempre di Misha, ma le risate, le chiacchiere e i momenti di tranquillità con Caroline valgono più del mio disprezzo per lei, soprattutto ora che sento il legame con Benton allentarsi. Pare quasi che i fili che negli anni ci hanno tenuti stretti l'un l'altra si stiano slegando e presto arriverà il momento in cui cadranno a terra, inermi come me.

Non voglio rinunciare anche a Caro, non ora.

«Ho solo bisogno di metabolizzare la cosa, MacCoy».
«Due giorni non ti bastano? Oppure sei davvero tarda come credo, Raven?»

La fisso. Sicuramente, per essere una che è venuta sin qui per sotterrare l'ascia di guerra e chiedermi un favore, non ha idea di quali siano le tecniche migliori per imbonirmi.

«Non è questo il punto, Misha» butto il mozzicone ancora fumante, poi scaccio le sue mani dai lacci della mia felpa, in modo da non aver alcun contatto indesiderato con lei. Rimetto tra noi una distanza "di sicurezza", così da poterla guardare meglio: «Se una persona a cui vuoi bene ti tenesse segreto che si vede con qualcuno che non sopporti, ti starebbe bene? Riusciresti a passarci sopra con assoluta accondiscendenza? Conoscendoti, no. E lo sai benissimo anche tu». Con un gesto di stizza affondo i pugni nelle tasche.
Per quanto diverse, io e lei abbiamo sicuramente una cosa in comune: entrambe siamo orgogliose. Nessuna di noi potrebbe accettare con facilità un colpo tanto basso, quindi dovrebbe capire la mia riluttanza a tornare da Caroline dopo un tempo così breve. Però voglio farlo, lo giuro, solo a modo mio e secondo le tempistiche biologiche di un corpo e una mente che ora vogliono solo un momento di pace - anche se avrei davvero bisogno di un confronto con lei.

La rossa di fronte a me allontana lo sguardo, evidentemente colta in flagrante, poi prende a picchiettare la punta della scarpa sull'asfalto scuro. Pare riflettere, però difficilmente saprei comprendere il significato dei suoi atteggiamenti.

«Come vuoi. L'importante è che la perdoni».

Mi passo una mano sul viso: «Sì, non preoccuparti. Non la farò scegliere tra noi due».

E rincuorata dalla mia velata promessa, Misha annuisce. Non sembra del tutto certa di ritornare sui propri passi, così, dopo qualche falcata, si gira ancora verso di me: «Tu sarai stata la mia prima cotta andata male, Jay, ma spero che lei sia il mio primo amore... quindi vedi di non fottere tutto».

Alzo una mano, la saluto e al contempo asserisco alla sua ultima precisazione, anche se è un rischio, visto che ultimamente ho dato prova di rovinare qualsiasi rapporto che credevo solido.

Ania
si vede che questa quarantena mi fa male: aggiorno ogni tre/quattro giorni...

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top